AIDC - Sezione di Milano

Denuncia del 01/02/2007
Illegittimità comunitaria della solidarietà d'imposta del cessionario ai fini IVA (come prevista dall'art. 60-bis D.P.R. n. 633/1972)


D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 60-bis

Denuncia del 1 febbraio 2007 n. 2
Illegittimità comunitaria della solidarietà d'imposta del cessionario ai fini IVA(come prevista dall'art. 60-bis D.P.R. n. 633/1972)
SOMMARIO
» Premessa
» Art. 1
» Art. 2
» Art. 3
» Art. 4
» Art. 5
» Art. 6
» Art. 7

Premessa

Premessa

DENUNCIA - FISCALITA' INDIRETTA
A CURA DEL COMITATO PER LO STUDIO DELLA COMPATIBILITA' COMUNITARIA DELLA NORMATIVA TRIBUTARIA ITALIANA

Composto da:

Prof. Paolo Centore

Dott. Joseph Holzmiller (relatore)

Prof. Marco Piazza

Art. 1

1. Norma nazionale confliggente

L'attuale art. 60-bis D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633(in seguito "art. 60-bis") - Alleg. 1 - disciplinante l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto nello Stato italiano, ha introdotto un obbligo di solidarietà del cessionario nel pagamento dell'imposta (IVA) dovuta dal cedente in relazione a talune cessioni di beni quando siano connotate dalle seguenti tre circostanze:
- i beni oggetto di cessione siano quelli individuati con apposito D.M. 22 dicembre 2005 (in seguito D.M.) - Alleg. 2-;
- il prezzo contrattualmente stabilito fra le parti sia inferiore al "valore normale";
- il cedente non abbia versato l'imposta (IVA) applicata al prezzo di vendita.
Detta disposizione di legge, fondata su una presunzione legale di complicità (o quantomeno di connivenza) fra cedente e cessionario, ammette la possibilità di prova contraria - a carico dello stesso cessionario - purchè detta prova abbia natura esclusivamente "documentale" e sia idonea a dimostrare che il prezzo, praticato in misura inferiore a quello "normale", è stato determinato:
- da eventi o situazioni oggettivamente rilevabili
- oppure in base a specifiche disposizioni di legge;
- senza alcuna connessione con il mancato pagamento dell'imposta dovuta dal cedente.
A tal fine il D.M. ha individuato i beni cui vanno collegati gli effetti dell'art. 60-bis epilogandoli nei seguenti:
a) autoveicoli, motoveicoli, rimorchi (v.d. 87.02; v.d. 87.03; v.d. 87.04);
b) prodotti di telefonia e loro accessori (v.d. 85.17; v.d. 85.25; v.d. 85.28; v.d. 85.29);
c) personal computer, componenti ed accessori (v.d. 84.71; v.d. 84.73);
d) animali vivi della specie bovina, ovina e suina e loro carni fresche (capitolo 01; capitolo 02).
Infine, la circolare generale successivamente emanata dall'Agenzia delle Entrate n. 41/E del 26 settembre 2005, al punto "6" - Alleg. 3 -, riferisce tra l'altro quanto segue:
"La finalità della norma in commento è quella di rendere più efficace l'azione di contrasto alle frodi IVA, anche in ambito comunitario, prevedendo una responsabilità solidale del cessionario per l'imposta non versata dal cedente.
Come si evince dalla relazione di accompagnamento alla finanziaria 2005, la norma già in vigore in altri Paesi UE, si ricollega al disposto dell'art. 21, comma 1, della Direttiva CEE n. 388 del 1977, secondo cui «gli stati membri possono individuare una persona diversa dal debitore dell'imposta come responsabile in solido del versamento della stessa» ed è stata proposta dalla Commissione Europea per il suo forte connotato di deterrenza (Comm. 2004/260 del 16 aprile 2004) ".
Fatta riserva di tornare sulle richiamate indicazioni delle Commissioni C.E. nel successivo paragr. n. 6 dedicato alle considerazioni dell'esponente Comitato, va intanto osservato che la chiamata in presunta correità o connivenza del cessionario, finalizzata al suo versamento (solidale) dell'imposta non versata dal cedente, comporta di fatto un secondo pagamento da parte del primo, della stessa imposta da egli già regolarmente assolta nell'operazione di acquisto (a monte) senza alcuna possibilità di effettuare la detrazione di questo secondo pagamento di imposta.
Il descritto obbligo del cessionario si traduce dunque in una vera e propria rifusione dell'imposta da egli già regolarmente detratta in conseguenza del mancato pagamento della stessa imposta dovuta dal soggetto cedente. Il cessionario, infatti, risulta normalmente impossibilitato a fornire la prova contraria con i precisi requisiti richiesti, difficilmente rinvenibili nella pratica corrente ed in assenza di qualsiasi pronuncia giurisdizionale al riguardo che abbia accertato la responsabilità dello stesso cessionario colpito dalla disposizione di legge in commento.
In buona sostanza, in una situazione del genere in cui il prezzo pattuito fra le parti non sia almeno eguale al valore normale dei beni ceduti, il mancato pagamento dell'imposta dovuta dal soggetto cedente produce l'effetto postumo di negare al cessionario il suo diritto - peraltro già esercitato - di detrarre l'imposta, regolarmente già assolta "a monte", mediante il sopraggiunto obbligo di riversamento della stessa e ciò anche in totale assenza di qualsiasi correità o connivenza dello stesso cessionario .
Ad aggravare la posizione del contribuente è intervenuto il recentissimo "Provvedimento" dell'Agenzia delle Entrate in data 21 dicembre 2006 - Alleg. 4 - che impone il rilascio di idonea fideiussione bancaria (o equivalente polizza fideiussoria) da parte di qualsiasi operatore economico prima di effettuare acquisti intracomunitari degli stessi beni elencati nel suddetto Decreto Ministeriale entro i tre anni successivi all'attribuzione della partita IVA.
Giova precisare che detta misura (preventiva) di cautela fiscale non sostituisce quella generalizzata della solidarietà di imposta del cessionario, ma si somma alla stessa ingenerando forti ostacoli limitativi anche alla libera circolazione di tali beni .

Art. 2

2. Norma comunitaria prevalente

I) Tenuto conto che la solidarietà del cessionario nel pagamento dell'IVA dovuta dal cedente si traduce nella rifusione dell'IVA detratta dal primo e quindi, in buona sostanza, nel venir meno del diritto alla detrazione, è dato ritenere che la norma comunitaria violata sia costituita dall'art. 17 paragrafi 1 e 2 i quali così recitano:
"1. Il diritto a deduzione nasce quando l'imposta deducibile diventa esigibile.
2. Nella misura in cui i beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall'imposta di cui è debitore:
a) l'imposta sul valore aggiunto dovuto o assolta all'interno del paese per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo;
b) l'imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per i beni importati all'interno del paese;
c) ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... (omissis) ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ".
* * *
II) Il venir meno della responsabilità solidale del cessionario è condizionato dall'esistenza di un valore imponibile della transazione che sia almeno pari o superiore al valore normale della stessa.
Al contrario, il riferimento al valore normale, quale eccezione al principio del valore soggettivamente determinato dalle parti, risulta rigorosamente circoscritto alle sole seguenti ipotesi previste dall'art. 11, parte "A" della Sesta Direttiva in materia di IVA:
" Art. 11
A. All'interno del paese
1. La base imponibile è costituita:
... ... ... ... ... ... ... ... ... ... (omissis) ... ... ... ... ... ... ... ... ... ...
d) per le operazioni di cui all'articolo 6, paragrafo 2, dal valore normale dell'operazione in questione
... ... ... ... ... ... ... ... ... ... (omissis) ... ... ... ... ... ... ... ... ... ...
6. Allo scopo di prevenire la frode e l'evasione fiscale, gli Stati membri possono adottare misure affinché la base imponibile per una cessione di beni o una prestazione di servizi sia pari al valore normale. L'opzione si esercita soltanto per la cessione di beni e la prestazione di servizi a destinatari con cui sussistono legami familiari o altri stretti vincoli personali, gestionali, di associazione, di proprietà, finanziari o giuridici quali definiti dallo Stato membro.
A tal fine, i vincoli stretti possono comprendere il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore dipendente, la famiglia del lavoratore dipendente o altre persone strettamente collegate al lavoratore dipendente.
Il campo di applicazione del primo comma è limitato ai seguenti casi :
a) se il corrispettivo è inferiore al valore normale e l'acquirente dei beni o il destinatario dei servizi non ha interamente diritto alla detrazione ai sensi dell'articolo 17;
b) se il corrispettivo è inferiore al valore normale e il cedente o prestatore non ha interamente diritto alla detrazione ai sensi dell'articolo 17 e l'operazione è esente ai sensi dell'articolo 13 o dell'articolo 28, paragrafo 3, lettera b);
c) se il corrispettivo è superiore al valore normale e il cedente o prestatore non ha interamente diritto alla detrazione ai sensi dell'articolo 17.
Ai fini del primo e secondo comma gli Stati membri possono stabilire le categorie di prestatori o destinatari di servizi cui si applicano le suddette disposizioni ".
III) Un'altra fonte del diritto comunitario che si ritiene gravemente violata è costituita dal noto
"PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA'"
proprio del diritto comunitario e trasfuso, quasi per osmosi, negli ordinamenti interni degli Stati membri.
In virtù di tale principio le misure di uno Stato membro, imposte da motivi imperativi di interesse pubblico come la lotta alla frode fiscale, devono, non solo perseguire efficacemente gli obiettivi prefissati, ma anche non eccedere quanto strettamente necessario a tal fine.
Ora, anche alla luce dei recenti insegnamenti della Corte di Giustizia, sembra invece che il contenuto della disposizione di legge italiana in commento (art. 60-bis) sia stato così dettato anche in spregio al principio di proporzionalità come sarà meglio evidenziato appresso.
Nel caso in esame poi l'eccesso legislativo italiano appare ulteriormente aggravato dalla già descritta imposizione del rilascio di fideiussione bancaria o assicurativa prima di effettuare qualsiasi acquisto comunitario dei beni in questione nei primi tre anni dalla data di attribuzione della partita IVA (v. precedente paragr. 1).
Ora, quanto risulti eccessivo il gravame imposto agli operatori intervenuti nelle cessioni in questione (tanto al cedente quanto al cessionario) rispetto alle pur valide ragioni di contrasto alla frode fiscale, non abbisogna di particolari spiegazioni risultando di tutta evidenza la sproporzione in commento.

Art. 3

3. Motivi di inapplicabilità di eventuali deroghe comunitarie

Lo Stato italiano ha emanato la norma in commento (citato art. 60-bis) con la dichiarata finalità di evitare frodi ed abusi nelle negoziazioni di beni di riferimento della norma medesima.
Ora, salvo errori, non risulta che lo stesso Stato abbia richiesto ed ottenuto la specifica autorizzazione ad introdurre misure particolari in deroga alle prescrizioni della Sesta Direttiva (come anche interpretate dalla Corte di Giustizia), prevista, per i casi di specie, dall'art. 27 della Direttiva medesima.
Men che meno risulta applicabile la deroga prevista dall'art. 17 - paragr. 7 - della stessa Direttiva poiché essa è riferita alla negoziazione di taluni beni di investimento ed è applicabile solo per motivi di ordine congiunturale, del tutto estranei alla finalità suddetta.
Infatti non risulta che lo Stato italiano abbia esperito la correlata procedura di consultazione prevista dall'art. 29 della Direttiva medesima.
Infine, non risulta neppure che lo Stato italiano abbia informato il Comitato istituito à sensi dell'art. 29 della ripetuta Direttiva come previsto dal novellato art. 11, parte A, paragr. 6, concernente l'autorizzazione alla tassazione al valore normale, in quanto restrittivamente applicabile alle condizioni e nei limiti ivi previsti, anch'essi estranei alla norma italiana di cui viene qui contestata la legittimità.

Art. 4

4. Verifica della sussistenza dei requisiti di diretta applicabilità della norma comunitaria

Le disposizioni prima analizzate della VI Direttiva Comunitaria esplicano diretta efficacia in quanto esse appaiono dal punto di vista sostanziale:
- incondizionate "sì da non lasciare margine di discrezionalità agli Stati membri nella loro attuazione";
- sufficientemente precise "nel senso che la fattispecie astratta ivi prevista ed il contenuto del precetto ad esse applicabile devono essere determinati con compiutezza in tutti i loro elementi".
Risulta infine che lo Stato Italiano, sull'importante punto controverso, non ha dato corretta attuazione alla direttiva in questione pur essendo abbondantemente scaduto il termine ultimo (1° gennaio 1978 prorogato al 1° gennaio 1979 con Direttiva n.78/583/CEE) per la sua attuazione .
Pertanto, di fronte a disposizioni di diritto interno emanate dallo Stato membro in deroga a dette disposizioni ma non autorizzate dalle Istituzioni CEE, oppure davanti a disposizioni nazionali emendatrici non collegate in modo specifico alla VI Direttiva, il singolo contribuente può chiedere ai giudici nazionali di far valere direttamente le norme CEE, così come confermato da sentenze della Corte di Giustizia (per tutte v. Sent. 24 marzo 1987 in C-286/85) e dalla stessa Corte Costituzionale con sentenza n. 168 dell'8 aprile 1991.
Anche la Pubblica Amministrazione è obbligatoriamente tenuta a dare immediata applicazione alle disposizioni comunitarie disapplicando la configgente normativa nazionale così come ribadito dalla sentenza medesima.
Men che meno la Pubblica Amministrazione può forzare l'interpretazione della norma comunitaria sostenendo la liceità di una misura di prevenzione alla frode fondata sulla solidarietà d'imposta in spregio ai limiti ed al rigore dei diversi presupposti previsti dalla Direttiva come interpretati dalla Corte di Giustizia.
Circostanza, questa, che pone detta norma nazionale in conflitto con la disposizione della direttiva comunitaria la quale ha tutti i requisiti per prevalere comunque sulla norma interna.
Al contrario, da queste disposizioni discende che, anche qualora si presentassero all'interprete possibili interpretazioni differenti, la Pubblica Amministrazione è tenuta ad adeguarsi all'interpretazione più aderente alle richiamate disposizioni della sesta Direttiva (IVA) dotate di efficacia diretta.
Giova anche considerare che le sentenze interpretative della Corte di Giustizia, emesse ex art. 234 CE, posseggono valore ed efficacia della norma comunitaria interpretata.
Ne consegue che la legge italiana contestata, confliggendo con le predette interpretazioni della stessa Corte, tratte dalla Sesta Direttiva (IVA), risulta - anche per questa via - configgente con la direttiva medesima.
Nel ricordare che le ripetute sentenze interpretative sono immediatamente applicabili, lo Stato italiano non può mantenere, nel proprio Ordinamento, la contrastante norma in questione.
Per l'identificazione delle sentenze interpretative relative al caso di specie viene fatto rinvio al successivo paragrafo 5 in tema di "precedenti giurisprudenziali".

Art. 5

5. Precedenti giurisprudenziali

A) Sulla solidarietà/riversamento dell'IVA detratta
Non risulta, a questo Comitato, che la Corte di Giustizia abbia emesso sentenze in ordine a specifici casi di solidarietà di imposta in tema di IVA.
Tuttavia, come si è già detto, detta solidarietà si traduce sostanzialmente in una negazione postuma del diritto alla detrazione già esercitata dal cessionario a causa di una sua presunta partecipazione ad una frode che si assume consumata (in via altrettanto presuntiva, sic!) dal soggetto cedente solo perché inadempiente all'obbligo di versamento dell'imposta.
In quest'ottica appaiono decisive le due recenti sentenze della Corte di Giustizia che costituiscono l'attuale posizione raggiunta dalla Corte di Giustizia a seguito di un percorso evolutivo composito:
I) 12 gennaio 2006, nei procedimenti riuniti C-354/03, C-355/03 e C-484/03 "Optigen"
II) 6 luglio 2006, nei procedimenti riuniti C-439/04 e C-440/04, Alex Killel
In esse la Corte vieta , in modo tassativo, la possibilità di negare, al cessionario, la detrazione dell'IVA assolta "a monte" nell'operazione di acquisto dei beni, ancorché inserita in una catena di operazioni (c.d. "carosello") effettuate in frode alla legge IVA allorché detta frode sia effettuata senza alcuna partecipazione e consapevolezza dello stesso cessionario.
Ricordato che, invece, il contestato art. 60-bis ignora persino la necessità che venga previamente provata almeno la frode del soggetto cedente, basti richiamare qui le statuizioni contenute in dette sentenze, ritenute più significative al riguardo.
Punto 45: come la Corte ha dichiarato al punto 24 della sentenza 6 aprile 1995, causa C-4/94, BLP Group (Racc. pag. I-983), l'obbligo per l'amministrazione fiscale di procedere ad indagini per accertare la volontà del soggetto passivo sarebbe contrario agli scopi del sistema comune IVA di garantire la certezza del diritto e di agevolare le operazioni inerenti all'applicazione dell'imposta dando rilevanza, salvo in casi eccezionali, alla natura oggettiva dell'operazione di cui trattasi.
Punto 46: sarebbe a maggior ragione in contrasto con i detti obiettivi l'obbligo dell'amministrazione fiscale, allorché deve accertare se una data operazione costituisca una cessione effettuata da un soggetto passivo che agisce in quanto tale e un'attività economica, di tenere conto dell'intenzione di un operatore diverso dal soggetto passivo di cui trattasi, che intervenga nella stessa catena di cessioni e/o dell'eventuale natura fraudolenta, della quale il detto soggetto passivo non aveva e non poteva avere conoscenza, di un'altra operazione facente parte di tale catena, precedente o successiva all'operazione compiuta dal detto soggetto passivo.
Punto 52: il diritto di un soggetto passivo che effettua simili operazioni di dedurre l'IVA pagata a monte non può neanche essere compromesso dalla circostanza che, nella catena di cessioni in cui si inscrivono le dette operazioni, senza che tale soggetto passivo lo sappia o possa saperlo, un'altra operazione, precedente o successiva a quella da esso realizzata, sia inficiata da frode IVA.
Punto 53: infatti, come la Corte ha più volte ricordato, il diritto alla deduzione previsto agli artt. 17 e seguenti della sesta direttiva costituisce parte integrante del meccanismo dell'IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni. Il detto diritto va esercitato immediatamente per tutte le imposte che hanno gravato sulle operazioni effettuate a monte (v., in particolare, sentenze 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz, Racc. pag.I-1883, punto 18, e Gabalfrisa e a., cit., punto 43).
Punto 54: è irrilevante, ai fini del diritto del soggetto passivo di dedurre l'IVA pagata a monte, stabilire se l'IVA dovuta sulle operazioni di vendita precedenti o successive riguardanti i beni interessati sia stata versata o meno all'Erario (v., in questo senso, ordinanza 3 marzo 2004, causa C-395/02, Transport Service, Racc. pag. I-1991, punto 26). Emerge da una giurisprudenza costante della Corte che, in base al principio fondamentale inerente al sistema comune IVA e risultante dagli artt. 2 della prima e sesta direttiva, l'IVA si applica a qualsiasi operazione di produzione o di distribuzione, detratta l'imposta gravante direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo (v., in particolare, sentenze 8 giugno 2000, causa C-98/98, Midland Bank, Racc. pag. I-4177, punto 29, e Zita Modes, cit., punto 37).
Punto 55 (parte): ... ... il diritto di un soggetto passivo che effettua simili operazioni di dedurre l'IVA pagata a monte non è pregiudicato dal fatto che, nella catena di cessioni in cui si inscrivono tali operazioni, senza che il medesimo soggetto passivo lo sappia o lo possa sapere, un'altra operazione, precedente o successiva a quella operazione da quest'ultimo, sia inficiata da frode IVA.
Dispositivo - (parte): ... ... il diritto di un soggetto passivo che effettua simili operazioni di dedurre l'imposta sul valore aggiunto pagata a monte non è pregiudicato dal fatto che, nella catena di cessioni in cui si inscrivono tali operazioni, senza che il medesimo soggetto passivo lo sappia o lo possa sapere, un'altra operazione, precedente o successiva a quella realizzata da quest'ultimo, sia inficiata da frode all'imposta sul valore aggiunto.
Punto 42: come rilevato dalla Corte al punto 24 della sentenza 6 aprile 1995, causa C-4/94, BLP Group (Racc. pag. I-983), l'obbligo, per l'Amministrazione Finanziaria, di effettuare indagini per accertare la volontà del soggetto passivo sarebbe contrario agli scopi del sistema comune dell'Iva di garantire la certezza del diritto e di agevolare le operazioni inerenti all'applicazione dell'imposta dando rilevanza, salvo in casi eccezionali, alla natura oggettiva dell'operazione di cui trattasi.
Punto 43: sarebbe a maggior ragione in contrasto con i detti obiettivi l'obbligo dell'Amministrazione Finanziaria, allorché deve accertare se una data operazione costituisca una cessione effettuata da un soggetto passivo, che agisce in quanto tale, e un'attività economica, di tenere conto dell'intenzione di un operatore diverso dal soggetto passivo di cui trattasi, che intervenga nella stessa catena di cessioni e/o dell'eventuale natura fraudolenta, della quale il detto soggetto passivo non avesse né potesse avere conoscenza, di un'altra operazione facente parte di tale catena, precedente o successiva all'operazione compiuta dal detto soggetto passivo (sentenza Optigen e a., cit., punto 46).
Punto 45: la Corte ha precisato che il diritto di un soggetto passivo che effettua simili operazioni di dedurre l'Iva pagata a monte non può neanche essere compromesso dalla circostanza che, nella catena di cessioni in cui si inscrivono le dette operazioni, senza che tale soggetto passivo lo sappia o possa saperlo, un'altra operazione, precedente o successiva a quella da esso realizzata, sia inficiata da frode all'Iva (sentenza Optigen e a., cit., punto 52).
Punto 46: tale conclusione non può variare allorché siffatte operazioni, senza che il soggetto passivo lo sappia o possa saperlo, vengano compiute nel contesto di una frode commessa dal venditore.
Punto 49 (parte): è irrilevante, ai fini del diritto del soggetto passivo di dedurre l'IVA pagata a monte, stabilire se l'IVA dovuta sulle operazione di vendita precedenti o successive riguardi i beni interessati sia stata versata o meno all'Erario.
Punto 51: alla luce delle suesposte considerazioni, risulta che gli operatori che adottano tutte le misure che possono essere da essi ragionevolmente pretese al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode, che si tratti di frode all'IVA ovvero di altre frodi, devono poter fare affidamento sulla liceità di tali operazioni senza rischiare di perdere il proprio diritto alla deduzione dell'Iva pagata a monte.
Punto 53: per contro, i criteri obiettivi su cui si fondano le nozioni di cessioni di beni effettuate da un soggetto passivo in quanto tale e di attività economica (ai fini della detrazione - n.d.r.) non sono soddisfatti in caso di frode fiscale perpetrata dallo stesso soggetto passivo (v. sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax e a., Racc. pag. I-0000, punto 59).
Punto 55: se l'Amministrazione Finanziaria rileva che il diritto alla deduzione è stato esercitato in modo fraudolento, può chiedere, con effetto retroattivo, il rimborso degli importi dedotti (v., segnatamente, sentenze 14 febbraio 1985, causa 268/83, Rompelman, Racc. pag. 655, punto 24; 29 febbraio 1996, causa C-110/94, INZO, racc. pag. I-857, punto 24, e Gabalfrisa e a., cit., punto 46) e spetta al giudice nazionale negare il beneficio del diritto a detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo (v. sentenza Fini H, cit., punto 34).
Punto 59: Pertanto, spetta al giudice nazionale negare il beneficio del diritto alla deduzione qualora risulti acclarato, alla luce di elementi obiettivi, che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un'operazione che si iscriveva in una frode all'Iva, anche se l'operazione in oggetto soddisfaceva i criteri oggettivi sui quali si fondano le nozioni di cessioni di beni effettuate da un soggetto passivo che agisce in quanto tale e di attività economica.
Dispositivo - (parte): ... ... qualora risulti acclarato, alla luce di elementi obiettivi, che la cessione sia stata effettuata nei confronti di un soggetto passivo che sapesse o avrebbe dovuto sapere di partecipare, con il proprio acquisto, ad un operazione che si iscriveva in una frode all'imposta sul valore aggiunto, spetta al giudice nazionale negare al detto soggetto passivo il beneficio del diritto alla deduzione.
In conclusione, anche secondo la Corte di Giustizia, quando una norma nazionale sanzioni la del contratto che ha dato luogo all'applicazione dell'Iva "nell'operazione a monte", il soggetto nei cui confronti questa è stata addebitata , da elementi obiettivi, che il proprio acquisto si iscriveva inconsapevolmente in una frode avente per oggetto proprio l'IVA.
Infine, l'accertamento della frode e della connivenza del cessionario non può essere presunto ma deve essere eseguito dal Giudice nazionale.
* * *
B) Sull'applicazione dell'IVA al valore normale
Pur consapevole che la disposizione in commento (art. 60-bis) non impone l'applicazione dell'IVA al valore normale dell'operazione compiuta, codesto Comitato ritiene che una norma di legge nazionale non possa fare neppure riferimento a tale valore per ricollegare, alla sua mancanza, l'effetto punitivo contestato al riguardo fatte salve le ricordate eccezioni previste all'art. 11 parte A punti 5, 6 e 7 della Sesta Direttiva, giova ricordare che esiste un rigoroso indirizzo univoco e consolidato della Corte di Giustizia di cui valga ricordare qui le seguenti emblematiche statuizioni:
"Dalle suesposte considerazioni consegue che gli artt. 2, 5, n. 6, e 6, n. 2, lett b), della sesta direttiva devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che consideri, quale prelievo di un bene o quale prestazione di servizi per esigenze private, operazioni per le quali venga effettivamente versato un corrispettivo, ancorché tale corrispettivo sia inferiore al prezzo di costo del bene ceduto o del servizio fornito ".
"Occorre ricordare anzitutto che il corrispettivo ottenuto o da ottenere dal prestatore per la prestazione di un servizio, che costituisce la base imponibile di tale operazione ai sensi dell'articolo 11, A, n. 1, lett. A), sesta direttiva, secondo una giurisprudenza dev'essere inteso come il corrispettivo effettivamente ricevuto a tal fine, il quale costituisce un valore soggettivo e non un valore stimato secondo criteri oggettivi (v. sentenza 16 ottobre 1997, causa C-258/95 Fillibeck, Racc. pag. I-5577, punto 13, e giurisprudenza ivi citata). Secondo la stessa giurisprudenza, tale corrispettivo deve poter essere espresso in denaro (v. sentenza Fillibeck, punto 14, e giurisprudenza ivi citata) ".
"E' altresì giurisprudenza costante che la base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio è costituita dal corrispettivo realmente ricevuto a tal fine. Tale corrispettivo costituisce quindi il , ossia realmente percepito in ogni caso concreto, e non un valore stimato secondo criteri oggettivi (v. sentenza 5 febbraio 1981, causa 154/80, Cooperatieve Aardappelenbewaarplaats, Racc. pag. 445; 23 novembre 1988, causa 230/87, Naturally Yours Cosmetics, Racc. pag. 6365; 27 marzo 1990, causa C-126/88, Boots Company, Racc. pag. I-1235, e 5 maggio 1994, causa C-38/93, Glawe, Racc. pag. I-1679, punto 8; 2 giugno 1984, causa C-33/93, Empire Stores, Racc. pag. I-2329 punto 18, e 24 ottobre 1996, causa C-288/94, Argos Distributors, Racc. pag. I-5311, punto 16) ".
* * *
E l'elenco di simili pronunce potrebbe continuare. Ma bastino qui i riferimenti giurisprudenziali in chiusura dell'ultima statuizione citata per apprezzare il consolidato orientamento della Corte di Giustizia sulla rilevanza, ai fini IVA, del solo corrispettivo effettivo (soggettivo) e sul rifiuto di assumere valori stimati ancorché con criteri obiettivi quali quelli costituiti dal valore normale dei beni oggetto di negoziazione.

Art. 6

6. Considerazioni del comitato di vigilanza

Da quanto richiamato nelle pagine che precedono, risulta che le disposizioni recate dal ripetuto art. 60-bis e del conseguente D.M. 22 dicembre 2005 confliggono sia con le disposizioni dettate dall'art. 17 della Sesta Direttiva sia con le riferite conclusioni raggiunte dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Oltre ad evidenziare gli elementi di conflitto normativo emersi dall'esposizione che precede, questo comitato ritiene di non poter sottacere le seguenti considerazioni:
a) La semplice omissione del pagamento IVA da parte del cedente costituisce sicuramente un suo grave inadempimento autonomamente sanzionabile come tale, ma questa circostanza non autorizza a ritenere consumata una frode ed ancor meno autorizza (sic!) a ritenere coinvolto in quella presunta frode (ancora tutta da provare) anche il cessionario che abbia potuto convenire un prezzo per l'acquisto dei beni inferiore (ancorchè di poco) al valore normale degli stessi
Questa eventualità, infatti, si manifesta assai frequentemente per una molteplicità di motivi del tutto estranei alla "frode" poiché ascrivibili esclusivamente o alla posizione di maggiore forza contrattuale del cessionario o alla particolare posizione del soggetto cedente connotata, ad esempio, da situazioni contingenti di eccedenza di magazzino ovvero di fabbisogno di liquidità;
b) Il cessionario in commento, per evitare di dover riformare allo Stato una somma che è pari all'IVA già regolarmente detratta, viene caricato del gravoso onere di dover fornire una prova pressochè "diabolica" perchè difficilmente producibile nelle forme e con i contenuti richiesti dalla citata disposizione di legge italiana;
c) La norma nazionale contestata non prevede che sia il giudice nazionale ad accertare la correità o, quantomeno, la connivenza del cessionario in una frode consumata dal soggetto cedente che sia stata, a sua volta, anch'essa accertata dal giudice nazionale.
La colpevolezza del cessionario è qui solo presunta in via generale dalla legge attraverso una presunzione "di secondo grado" derivata da altra presunzione (di primo grado) di frode compiuta dal soggetto cedente.
La necessità di un accertamento di colpevolezza o di correità o di connivenza del cessionario, eseguito dal giudice nazionale, è dunque del tutto assente nella nella previsione della citata norma di legge italiana in spregio alla consolidata posizione assunta dalla Corte di Giustizia con riferimento ai casi di specie. Non è chi non veda come - in simili casi - la violenza perpetrata a danno del cessionario che non sapeva e non avrebbe neppure potuto sapere dell'esistenza di una frode, si rivela del tutto abnorme e tradisce indiscutibilmente quel criterio di proporzionalità che deve sempre essere punto di riferimento in ogni iniziativa dello stato nazionale anche quando agisce per la tutela dell'erario e della legalità.
d) Il riferimento al valore normale è previsto solo negli specifici casi dettati dall'art. 11 parte A della sesta Direttiva.
Trattandosi di particolari deroghe alla regola generale, la loro applicazione non può che essere effettuata in modo rigorosamente restrittivo in ossequio agli insegnamenti della Corte di Giustizia.
Men che meno il criterio del valore normale può essere assunto, in via generale, a presidio della liceità di una operazione come vorrebbe la norma italiana contestata (art. 60-bis cit.).
Questa, invece, prescindendo totalmente dalla dimensione soggettiva del prezzo stabilito fra le parti contraenti, assume il riferimento ad un valore oggettivamente determinabile in totale spregio del consolidato orientamento della Corte di Giustizia innanzi riferito.
Per completezza valgano infine le seguenti brevi notazioni riferite al contenuto della comunicazione della Commissione CE "COM (2004) 260 definitivo" del 16 aprile 2004 con la quale, a dire dell'Agenzia delle Entrate (circolare n. 41 cit.), la stessa Commissione Comunitaria avrebbe proposto l'introduzione di una solidarietà di imposta come quella prevista dalla norma in commento (art. 60-bis cit.).
In realtà le cose stanno ben diversamente!
La succitata comunicazione della Commissione CE emanata nel 2004 (ossia prima dell'emanazione del ripetuto art. 60-bis), trattando delle società fittizie autrici delle frodi c.d. "carosello", al punto 6.1.4. ricorda che taluni Stati membri " hanno rafforzato la loro legislazione antifrode introducendovi la responsabilità in solido " in materia di IVA di modo che, se un soggetto d'imposta " sapeva o avrebbe dovuto sapere " delle attività fraudolente compiute dall'altro contraente, questo stesso soggetto diventa responsabile del pagamento dell'IVA dovuta dall'altro contraente.
Al riguardo, la stessa Commissione nel precisare che questa misura trova fondamento giuridico nell'art. 21 della Sesta Direttiva ricorda molto opportunamente che la validità di una tale misura è subordinata alla condizione che sia rispettato il "principio di proporzionalità ".
A risultanza delle considerazioni che precedono e contrariamente a quanto sostenuto dall'Agenzia delle Entrate, è dato vedere come la norma italiana contestata (art. 60-bis cit.) si discosti completamente dai canoni di validità indicati dalla Commissione CE in quanto:
1) la prova di connivenza del soggetto acquirente deve essere previamente accertata e la Corte di Giustizia precisa che un simile accertamento di colpevolezza non possa essere compiuto che dal Giudice nazionale.
Al contrario la norma italiana sostituisce la necessità di quell'accertamento giudiziale di colpevolezza con il più semplicistico riferimento al "valore normale" della transazione;
2) il legislatore italiano trascura persino la necessità che venga accertata l'esistenza di una frode compiuta dall'altro contraente (soggetto cedente) sussumendola consumata al semplice verificarsi del mancato pagamento dell'imposta di quest'ultimo il quale, invece, può avere così agito per i più svariati motivi - ancorché deplorati - ben diversi dalla frode fino a ricomprendere quello dell'intervenuta situazione di insolvenza dello stesso soggetto cedente;
3) attese le considerazioni che precedono viene in rilievo il totale spregio al principio di proporzionalità espresso dal contenuto della norma in commento posto che:
a) il cessionario responsabilizzato in solido può essere chiamato a rispondere, non solo in caso di sua totale innocenza, ma anche in assenza di qualsiasi frode consumata dal soggetto cedente;
b) la produzione della prova contraria, ad iniziativa del cessionario coinvolto, seppure prevista dalla disposizione in predicato, si rivela, nei fatti, estremamente difficoltosa (spesso impossibile) in via generale essendo richiesta esclusivamente la forma scritta (documentale) nonché per i precisi contenuti richiesti dalla stessa norma, tali da configurarla addirittura quale "prova diabolica";
c) l'eccesso di cautela fiscale sottesa all'imposizione del previo rilascio di fideiussione bancaria o assicurativa nei casi ricordati a conclusione dei paragrafi "1" e "2", aggrava ulteriormente la già evidente sproporzione fra i gravami imposti a tutti gli operatori delle transazioni in commento (nei primi tre anni di attività) rispetto alle pur valide ragioni di contrasto alla frode fiscale poiché questa è praticata, di fatto, solo da una parte degli operatori del mercato in commento la quale, ancorché ampliatesi in questi ultimi anni, resta pur sempre infima rispetto alla globalità degli operatori attivi nello stesso mercato.
Peraltro con il medesimo Provvedimento succitato (21 dicembre 2006), la stessa Agenzia delle Entrate riconosce essere " un forte elemento dissuasivo la richiesta di polizza fideiussoria o di fideiussione bancaria prodromica alla possibilità di effettuare acquisti nell'area comunitaria " in settori considerati a rischio.
Senonchè la generalizzazione di tale Provvedimento in tale settore si rivela troppo gravosa per la quasi totalità dei relativi operatori connotati da correttezza tributaria.
Allegati:
1) Art. "60-bis" del D.P.R. n. 633/1972 (legge IVA)
2) D.M. 22 dicembre 2005
3) Estratto dalla Circolare Agenzia delle Entrate n. 41/E del 26 settembre 2005 concernente l'emanazione del ripetuto art. "60-bis".
4) Provvedimento dell'Agenzia delle Entrate del 21 dicembre 2006

Art. 7

Documenti successivi - Lettera Commissione Europea - 10 settembre 2008