AIDC - Sezione di Milano

Denuncia del 01/03/2009
Illegittimità comunitaria della tassazione sul traferimento della residenza in altro paese comunitaro da parte di soggetti che esercitano imprese commerciali (cd. Exit Tax) (come prevista dall'art. 166 del D.P.R. n. 917/1986)


D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 166

Denuncia del 1 marzo 2009 n. 5
Illegittimità comunitaria della tassazione sul traferimento della residenza in altro paese comunitaro da parte di soggetti che esercitano imprese commerciali (cd. Exit Tax)(come prevista dall'art. 166 del D.P.R. n. 917/1986)
SOMMARIO
»
» Art. 1
» Art. 2
» Art. 3
» Art. 4
» Art. 5
» Art. 6
» Art. 7
» Art. 8
» Art. 9
» Art. 10
» Art. 11
» Art. 12

Commissione

DENUNCIA - FISCALITA' DIRETTA
A CURA DELLA COMMISSIONE PER L'ESAME DELLA COMPATIBILITA' COMUNITARIA DI NORME E PRASSI TRIBUTARIE ITALIANE

Componenti:

Bozzi Avv. Aldo

Centore Avv. Paolo

Piazza Dott. Marco - correlatore

Poggi Longostrevi Dott. Stefano (Segret. e deleg. alla divulgazione)

Savorana Dott. Alessandro - relatore

Vismara Prof. Avv. Fabrizio

Presidente:

Holzmiller Dott. Joseph

Esperti:

Capelli Prof. Fausto

Marzorati Dott. Guido

Rizzardi Dott. Raffaele

Roscini Vitali Rag. Franco

Santacroce Avv. Benedetto

Zizzo Prof. Giuseppe

Partecipante di diritto

Rigamonti Dott. Marco (Presidente dell'A.D.C.)

Art. 1

1. Norma nazionale confliggente

L' art. 166 del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (2) ("Testo Unico delle imposte sui redditi"), inserito nel corpus della legge al TITOLO III recante disposizioni comuni in materia di imposizione diretta, disciplina gli effetti tributari del Trasferimento all'estero della residenza da parte dei contribuenti che esercitano imprese commerciali .
La norma, al comma 1, dispone:
" Il trasferimento all'estero della residenza dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi, costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dell'azienda o del complesso aziendale, salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato. La stessa disposizione si applica se successivamente i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano distolti. Si considerano in ogni caso realizzate, al valore normale, le plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all'estero. Per le imprese individuali e le società di persone si applica l'articolo 17, comma 1, lettere g) e l) ".
I successivi commi 2, 2-bis e 2-ter dispongono quanto segue:
" I fondi in sospensione d'imposta, inclusi quelli tassabili in caso di distribuzione, iscritti nell'ultimo bilancio prima del trasferimento della residenza, sono assoggettati a tassazione nella misura in cui non siano stati ricostituiti nel patrimonio contabile della predetta stabile organizzazione " (3) .
" Le perdite generatesi fino al periodo d'imposta anteriore a quello da cui ha effetto il trasferimento all'estero della residenza fiscale, non compensate con i redditi prodotti fino a tale periodo, sono computabili in diminuzione del reddito della predetta stabile organizzazione ai sensi dell'articolo 84 e alle condizioni e nei limiti indicati nell'articolo 181 " (4) .
" Il trasferimento della residenza fiscale all'estero da parte di una società di capitali non dà luogo di per sè all'imposizione dei soci della società trasferita " (5) .
I soggetti cui la disposizione domestica torna direttamente applicabile sono:
i) le persone fisiche , residenti nel territorio dello Stato, che esercitano imprese commerciali, ai sensi dell'art. 55 del D.P.R. n. 917/1986 (6) ;
ii) le società di persone , residenti nel territorio dello Stato, indicate nell'art. 5 del D.P.R. n. 917/1986 (7) , e precisamente:
· società in nome collettivo;
· società in accomandita semplice;
· le società di armamento;
· le società di fatto;
iii) i soggetti indicati nell'art. 73, primo comma, del D.P.R. n. 917/1986 (8) e precisamente:
· le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione, nonchè le società europee di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 e le società cooperative europee di cui al regolamento (CE) n. 1435/2003 residenti nel territorio dello Stato ;
· gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonchè i trust , residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali.
La residenza (fiscale) è, dunque, il presupposto fondamentale che determina il regime impositivo del contribuente sia esso persona fisica, imprenditore individuale, sia esso società o ente commerciale, tema che sarà sinteticamente analizzato in quanto, come sopra evidenziato il trasferimento ( o la perdita) della residenza comporta l'applicazione del regime impositivo previsto dall'art. 166 in esame.
La persona fisica ( imprenditore individuale ) si considera residente ai fini fiscali, ex art. 2 del D.P.R. n. 917/1986 (9) , se, per la maggior parte del periodo d'imposta, è iscritto nelle anagrafi della popolazione residente o ha nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile italiano (10) .
Per le società e gli enti la residenza ( fiscale ) è stabilita, rispettivamente,
· per le società di persone soggette all'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) (11) , dall'art. 5, 3° comma, lett. d), del D.P.R. n. 917/1986 (12) ;
· per le società e gli enti soggetti all'imposta sul reddito delle società (IRES), agli effetti che qui interessano dall'art. 73 (13) , 3° comma, 1° e 2° periodo, del D.P.R. n. 917/1986,
che così stabiliscono:
" si considerano residenti le società e le associazioni che per la maggior parte del periodo d'imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato. L'oggetto principale è determinato in base all'atto costitutivo, se esistente in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, e in mancanza, in base all'attività effettivamente esercitata ".
" Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale la sede dell'amministrazione l'oggetto principale nel territorio dello Stato . Si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Paesi diversi da quelli indicati nel decreto del Ministro delle finanze 4 settembre 1996 , pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 19 settembre 1996, e successive modificazioni, in cui almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato ... ".
Rispetto alle persone fisiche, per le persone giuridiche appare determinante definire in modo puntuale il concetto di residenza , poichè coesistono nell'ordinamento nazionale due definizioni, una in ambito della legge civile, una in ambito fiscale.
In ambito civilistico , l'art. 25 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) (14) definisce due criteri:
i) il primo riguarda il luogo di costituzione . Sono soggetti alla legge italiana, in linea di principio, solo le società, associazioni, fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato costituite in Italia, mentre sono assoggettati alla legge straniera le società costituite fuori dal territorio italiano. Il primo criterio di collegamento riguarda, dunque, il luogo di perfezionamento del procedimento di costituzione della società o dell'ente.
ii) il secondo criterio aggiunge la previsione che qualora, nonostante la costituzione della società sia avvenuta all'estero, si possa localizzare sul territorio italiano la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale della società, sarà comunque applicabile la legge nazionale.
Riprendendo quanto già indicato, in ambito fiscale la residenza fiscale è disciplinata dalle norme del Testo Unico delle Imposte dei Redditi, approvato con D.P.R. n. 917/1986: l'art. 5 si occupa delle società di persone e l'art. 73 delle società di capitali.
In particolare, occorre ricordare che la norma stabilisce che sono considerati residenti i soggetti che " ... per la maggior parte del periodo d'imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato ... ".
Secondo la normativa fiscale non è solo importante la localizzazione della sede legale della società sul territorio italiano, ma anche l'effettiva localizzazione in Italia della sede dell'amministrazione o dello svolgimento (in concreto), nel nostro Paese, dell'oggetto principale dell'impresa, in entrambi i casi, per la maggior parte del periodo d'imposta. I due criteri non sono esclusivi: è sufficiente che ne valga uno solo dei due per ritenere la società soggetto residente fiscalmente in Italia. In tal modo, la definizione fiscale di residenza per i soggetti diversi dalle persone fisiche è sostanzialmente coincidente con quella civilistica.
Da quanto sopra ne deriva che il trasferimento della sede legale in altro Stato CE non implica il venir meno della residenza fiscale qualora l'amministrazione centrale resti localizzata in Italia. Inoltre, la società risulterà sempre residente fiscalmente in Italia anche qualora trasferisca la sede dell'amministrazione in altro Stato membro della Comunità, se permane nel territorio la sede legale per la maggior parte del periodo di imposta.
Il trasferimento della residenza ( fiscale ) della società italiana, in senso reale ed effettivo, potrà essere attuato solo se:
1. vi sia il trasferimento della sede legale e della sua sede amministrativa (o centrale) e posto sempre che il luogo ove si esplicano la direzione, il controllo e l'impulso per il raggiungimento dell' oggetto sociale , siano anch'essi posti all'estero;
2. sia attuato conformemente alle leggi dello Stato Italiano e di quello ospitante (3° comma art. 25 della legge n. 218/1995);
3. consegua la cancellazione dal Registro delle Imprese della società, compiuta la procedura di costituzione secondo la nuova legge di appartenenza, senza peraltro che vi sia obbligo di procedere alla liquidazione della società o dell'ente in Italia, in quanto, alla stato, è fattispecie normativa non prevista dall'ordinamento domestico (15) .
Dunque, allorchè un imprenditore individuale, una società o un ente trasferisce la propria residenza o la sede legale, perde lo status di residente fiscale , e questo evento costituisce il presupposto impositivo per l'assoggettamento a tassazione delle eventuali plusvalenze sui beni (o diritti) componenti l'azienda o del complesso aziendale "trasferito", sulla base di un a "valore normale", salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato.
La mancata "costituzione" di una stabile organizzazione sul territorio italiano determina, quindi, l'assoggettamento a tassazione delle componenti plusvalenti l'azienda, ovvero limitatamente ai quei beni che non sono confluiti nella P.E. La norma contiene, inoltre, una disposizione antielusiva che prevede l'assoggettamento ad imposizione dei plusvalori " virtuali " " ... se successivamente i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano distolti ".
Non fa eccezione alla regola della tassazione "virtuale" immediata il trasferimento della residenza (fiscale) della Società europea (SE) (16) o di una Società cooperativa europea (17) allorchè siano trasferiti anche gli attivi, ed anche dopo gli emendamenti apportati alla direttiva sulle fusioni 90/434/CEE, dalla Direttiva 2005/19/CE del Consiglio del 17 febbraio 2005.
La SE (Società europea) può di trasferire la sua sede sociale in un altro Stato membro senza che tale operazione implichi lo scioglimento della società o la creazione di una nuova persona giuridica. Ma, come detto, allo stato della normativa tributaria italiana (art. 166 del T.U.I.R.), gli emendamenti del 2005 apportati alla direttiva sulle fusioni (90/434/CEE) che il trasferimento della sede sociale di una SE o di una Società cooperativa europea (SCE) da uno Stato membro in un altro, non si tradurranno in un'immediata tassazione delle plusvalenze non realizzate sull'attivo anch'esso "trasferito" nello Stato membro dal quale è stata trasferita la sede sociale (18) .
Dunque, tutte le intraprese economiche con sede in Italia soggiacciono ad una normativa interna penalizzante, con tassazione al valore normale di plusvalori " latenti " insiti nel complesso aziendale trasferito, tenendo altresì conto che in ogni caso devono considerarsi realizzate (sempre al valore normale ), le plusvalenze relative alle eventuali stabili organizzazioni all'estero.
Per la legislazione domestica, il valore normale è definito nell'art. 9, commi 3 e 4, del D.P.R. n. 917/1986 (19) , che, rispettivamente, dispongono quanto segue:
" Per valore normale, salvo quanto stabilito nel comma 4 per i beni ivi considerati, si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d'uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore ".
" 4. Il valore normale è determinato:
a) per le azioni, obbligazioni e altri titoli negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo mese;
b) per le altre azioni, per le quote di società non azionarie e per i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, in proporzione al valore del patrimonio netto della società o ente, ovvero, per le società o enti di nuova costituzione, all'ammontare complessivo dei conferimenti;
c) per le obbligazioni e gli altri titoli diversi da quelli indicati alle lettere a) e b), comparativamente al valore normale dei titoli aventi analoghe caratteristiche negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri e, in mancanza, in base ad altri elementi determinabili in modo obiettivo ".
L'imposizione si articola, pertanto, attraverso un processo di valutazione a valore normale (sostanzialmente, il ) dei beni costituenti il complesso aziendale trasferito, nonchè dell'eventuale ramo aziendale costituente una stabile organizzazione all'estero, da confrontare con il costo fiscalmente riconosciuto, che nella generalità dei casi coincide con il costo d'acquisto, al netto di eventuali ammortamenti per i beni strumentali o dell'attivo immobilizzato, tenuto conto di eventuali rivalutazioni di legge. Se dal confronto emergono plusvalori, seppur " latenti ", questi si considerano " realizzati " soggiacendo alle ordinarie aliquote d'imposta nell'esercizio in cui il trasferimento si è perfezionato (20) .
Si aggiunge, inoltre, ulteriore materia imponibile costituita dalla tassazione dei fondi in sospensione d'imposta , inclusi quelli tassabili in caso di distribuzione, iscritti nell'ultimo bilancio (o rendiconto) prima del trasferimento della residenza.
Le perdite fiscali, che non possono essere compensate con i plusvalori da assoggettare a tassazione benchè non conseguiti , con il trasferimento della residenza all'estero si perdono in via definitiva, con ulteriore penalizzazione per il contribuente.
Unica (parziale) attenuazione dell'imposizione, per limitare il fenomeno di doppia imposizione, è costituita dal riconoscimento in sede di calcolo dell'imposta italiana di un credito d'imposta derivante dal prelievo che si attuerebbe nello Stato estero in cui si trova una preesistente stabile organizzazione se i beni facenti di quest'ultima venissero realizzati al valore normale (21) (22) .
L'imposizione immediata delle plusvalenze latenti in caso di trasferimento della residenza è avvalorata dalle istruzioni alla compilazione della dichiarazione dei redditi che ne dedica apposito capitolo (23) .
Anche da ultimo, con risoluzione del 30 ottobre 2008, n. 409/E (24) , l'amministrazione finanziaria italiana ha ribadito che:
" ... ... costituisce principio immanente nell'ordinamento interno che la perdita della residenza fiscale da parte dell'imprenditore comporta necessariamente la tassazione delle plusvalenze latenti medio tempore generatesi sui componenti patrimoniali costituenti l'azienda, essendo tale fattispecie assimilata dall'ordinamento all'estromissione dei cespiti dal regime d'impresa o alla destinazione degli stessi a finalità estranee all'impresa (25) .
Nel rispetto di tale assunto, l'articolo 166, comma 1, del T.U.I.R., ad esempio, prevede che il trasferimento all'estero della società cui consegue anche la perdita della residenza fiscale costituisce per la società , al valore normale, dei componenti dell'azienda o del complesso aziendale, "salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato" .
Il presupposto impositivo "virtuale e anticipato" che colpisce il contribuente che intende trasferire la propria residenza in altro Stato della Comunità è lesivo della libertà di stabilimento, costituendo una restrizione che ne ostacola e limita l'esercizio avendo, perlomeno, un effetto dissuasivo nei confronti di chi desidera stabilirsi in un altro Stato membro.
Il principio generale è stato ribadito anche in un caso in cui una compagnia di assicurazione comunitaria ha deciso di cessare l'operatività in Italia in forma di "libertà di stabilimento" (mediante una stabile organizzazione) per continuarla in forma di "libera prestazione di servizi". L'Agenzia, con risoluzione 7 novembre 2006, n. 124/E (26) , ha affermato, in proposito che:
" qualora le concrete modalità di esercizio dell'attività assicurativa in regime di libera prestazione di servizi siano tali da non integrare - ai fini fiscali - una stabile organizzazione, la fattispecie in esame configurerebbe pertanto un'ipotesi di trasferimento all'estero di attività aziendali. Di conseguenza tale fattispecie comporterebbe, per la stabile organizzazione presente in Italia, il realizzo - sulla base del valore normale - dei componenti del complesso aziendale composto, tra l'altro, dalla lista clienti e dalle competenze e know-how propri della struttura esistente. In proposito, si evidenzia che il trasferimento all'estero del citato complesso aziendale decorre dal momento in cui la casa madre inizia ad esercitare in regime di libera prestazione di servizi le attività già svolte dalla stabile organizzazione, a nulla rilevando che i contratti assicurativi in essere continuino sino alla scadenza ad essere gestiti dalla stabile organizzazione stessa ".

Nota (2): Allegato 1. Testo in vigore dal 24 novembre 2007 dopo le modifiche apportate dall'art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 199.

Nota (3): Comma modificato dall'art. 11, comma 2, lett. c), D.Lgs. 18 novembre 2005, n. 247.

Nota (4): Comma aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 199.

Nota (5): Comma aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 199.

Nota (6): Allegato 2.

Nota (7): Allegato 3.

Nota (8): Nel testo attualmente in vigore dal 22 agosto 2008, dopo le modifiche apportate dall'art. 82, comma 22, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, modificato in sede di conversione. Allegato 4.

Nota (9): Allegato 5.

Nota (10): L'art. 43 del codice civile (approvato con R.D. 16 marzo 1942, n. 262), prevede che il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La residenza è invece nel luogo in cui la persona ha la sua dimora abituale.

Nota (11): Il reddito conseguito dalle società di persone è, per trasparenza , direttamente imputato ai soci, e viene determinato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) sulla base delle disposizioni vigenti in materia di reddito d'impresa per le persone fisiche imprenditori.

Nota (12): Rif. Allegato 3.

Nota (13): Nel testo attualmente in vigore dal 22 agosto 2008, dopo le modifiche apportate dall'art. 82, comma 22, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, modificato in sede di conversione (rif. Allegato 4).

Nota (14): L'art. 25 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), recita:
1. Le società, le associazioni, le fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione. Si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell'amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l'oggetto principale di tali enti.
2. In particolare sono disciplinati dalla legge regolatrice dell'ente:
- la natura giuridica;
- la denominazione o ragione sociale;
- la costituzione, la trasformazione e l'estinzione;
- la capacità;
- la formazione, i poteri e le modalità di funzionamento degli organi;
- la rappresentanza dell'ente;
- g) le modalità di acquisto e di perdita della qualità di associato o socio nonchè i diritti e gli obblighi inerenti a tale qualità;
- h) la responsabilità per le obbligazioni dell'ente;
- le conseguenze delle violazioni della legge o dell'atto costitutivo.
3. I trasferimenti della sede statutaria in altro Stato e le fusioni di enti con sede in Stati diversi hanno efficacia soltanto se posti in essere conformemente alle leggi di detti Stati interessati .

Nota (15): Sotto quest'ultimo aspetto si pongono particolari problemi per la mancanza di una normativa coordinata a livello comunitario, come peraltro recentemente emerso nella Sentenza della Corte di Giustizia nella causa "Cartesio" (C-210/06 del 16 dicembre 2008). Soccorre a questo fine il principio cardine che la Corte ha espresso nella causa in argomento stabilendo, in via generale che " ... non può segnatamente giustificare che lo Stato membro di costituzione, imponendo lo scioglimento e la liquidazione di tale società, impedisca a quest'ultima di trasformarsi in una società di diritto nazionale dell'altro Stato membro nei limiti in cui detto diritto lo consenta ". (punto 112). La Corte ha pertanto statuito che " Un siffatto ostacolo all'effettiva trasformazione di una società di questo tipo, senza previo scioglimento e previa liquidazione, in una società costituita a norma della legge nazionale dello Stato membro in cui intende trasferirsi costituirebbe una restrizione alla libertà di stabilimento della società interessata che, a meno che non sia giustificata da ragioni imperative di interesse pubblico, è vietata in forza dell'art. 43 CE " (punto 112).

Nota (16): Regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio dell'8 ottobre 2001.

Nota (17): Regolamento (CE) n. 1435/2003 del Consiglio del 22 luglio 2003.

Nota (18): Codesta Commissione Europea, nella Com 825 del 19 dicembre 2006, par. 3.1, rileva anch'essa che " ... gli emendamenti non menzionano gli attivi che non restano connessi a una stabile organizzazione nello Stato membro dal quale la sede sociale è stata trasferita ... ", pur valutando che i principi enunciati nella sentenza de Lasteyrie (C-92, 11 marzo 2004) dovrebbero applicarsi a tali attivi "trasferiti".

Nota (19): Allegato 6.

Nota (20): Per le imprese individuali e le società di persone l'art. 17, comma 1, lett. g) e l), del D.P.R. n. 917/1986 (Allegato 7), prevede un sistema opzionale di " tassazione separata " per i redditi derivanti dalle plusvalenze "latenti" emerse a seguito del trasferimento di residenza, in alternativa al regime ordinario di determinazione della base imponibile. L'opzione per la tassazione separata può però essere esercitata a condizione che il trasferimento della residenza fiscale avvenga decorsi almeno 5 anni dall'inizio dell'attività imprenditoriale.
L'imposta "separata" è determinata applicando all'ammontare conseguito o imputato, l'aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del contribuente nel biennio anteriore all'anno in cui i redditi sono stati rispettivamente conseguiti o imputati (art. 21, comma 1, secondo periodo, del D.P.R. n. 917/1986. Allegato 8).

Nota (21): Art. 179, 5° comma, del D.P.R. n. 917/1986, oggetto di integrazione per effetto dall'art. 1, comma 1, lett. e), n. 2), D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 199 (Allegato 9).

Nota (22): In ogni caso, con integrazione apportata dall'art. 1 comma 1, lett. b) del D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 199, il trasferimento della residenza fiscale all'estero da parte di una società di capitali non dà luogo di per sè all'imposizione dei soci della società trasferita, come statuito dall'art. 166, comma 2-ter del D.P.R. n. 917/1986.

Nota (23): Istruzioni alla dichiarazione dei redditi delle società di capitali (Mod. Unico 2009 SC) Appendice pag. 194, approvato con Provvedimento Ag. Entrate. del 31 gennaio 2009 (Allegato 10).

Nota (24): Pag. 7 - Allegato 11.

Nota (25): La supposta assimilazione all'estromissione dei cespiti al regime d'impresa nel particolare caso del trasferimento di residenza è una forzatura, tenuto conto dei principi che governano la normale conduzione aziendale. I beni formanti un complesso aziendale funzionante non possono, infatti, essere "estromessi". Sono trasferiti anch'essi per continuare ad assolvere la loro funzione strutturale nell'impresa, caratterizzata, quest'ultima, da un determinato oggetto (produzione o scambio di beni o servizi) e da specifiche modalità di svolgimento (organizzazione, economicità e professionalità.). Pertanto, se intendiamo l'impresa quale complesso di interdipendenze tra beni e persone che operano scambiando con l'esterno conoscenza e produzione e perseguendo un comune obiettivo consistente nella produzione di valore, non può esservi alcuna estromissione forzata ai fini fiscali, mantenendo i componenti l'azienda una continuità implicita alla funzione cui sono assegnati.

Nota (26): Pag. 4 e 5 - Allegato 12.

Art. 2

2. Norma comunitaria prevalente

La norma del diritto comunitario che si ritiene violata dalla disposizione nazionale sopra illustrata ( art. 166 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 - "Testo Unico delle imposte sui redditi"), è la seguente:
Articolo 43 del Trattato CE (27)
L'art. 43 del Trattato CE dispone:
"1. Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di uno Stato membro.
2. La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonchè la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell'articolo 48, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei con fronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali ".

Nota (27): Per gli imprenditori individuali si potrebbe profilare anche la violazione dell'art. 18 del Trattato, come discusso dalla Corte di Giustizia nella sentenza "N", caso C-470/04, del 7 settembre 2006.

Art. 3

3. Motivi di conflitto della norma interna con la norma comunitaria prevalente

L'esponente Commissione di Studio ritiene che la normativa nazionale sopra illustrata configga con la prevalente normativa comunitaria, poichè i contribuenti, che intendano trasferirsi in altro Stato della CE, sono assoggettati ad imposizione immediata qualora non facciano confluire i componenti dell'azienda o del complesso aziendale in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato, ma siano anch'essi trasferiti in altro Stato comunitario.
Allo stesso modo, la normativa nazionale confligge con la norma primaria comunitaria, allorchè, pur avendo fatto confluire in un primo momento, in tutto o in parte, i componenti dell'azienda o del complesso aziendale in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato, successivamente li trasferiscano in altro Stato della CE per esigenze imprenditoriali dovendo soggiacere alla tassazione degli attivi trasferiti, e continuino ad utilizzare gli asset nell'esercizio della loro dell'attività d'impresa.
L'imposizione delle plusvalenze latenti, non realizzate, (anche concernenti una stabile organizzazione situata in altro Stato della CE), è misura che è idonea ad ostacolare, dissuadere o, quantomeno, a rendere meno attraente, da parte degli imprenditori italiani, l'esercizio della libertà di stabilimento garantita dal Trattato .
Nessuna imposizione "anticipata" è invece prevista per coloro che cambiano la propria residenza nello Stato italiano, ovvero effettuino un trasferimento di attivo da una sede principale ad una filiale o succursale sempre situata in Italia (28) . E', dunque, innegabile, che la norma italiana determina un trattamento fiscale diverso tra chi permane nel territorio italiano e chi, invece, intende trasferire la propria azienda e con essa la sua residenza fiscale.
In tale contesto, secondo costante giurisprudenza della Corte di giustizia delle comunità europee (29) , la libertà di stabilimento ha duplice portata: da un lato essa garantisce il trattamento dei residenti nello Stato ospitante, e vieta a tale Stato di limitare lo svolgimento di un'attività economica autonoma da parte dei cittadini di un altro Stato membro; dall'altro vieta che lo Stato di provenienza ostacoli lo stabilimento dei propri cittadini in un altro Stato membro.
Nella fattispecie prospettata la situazione è la seconda descritta.
Nella sentenza De Lasteyrie du Saillant (30) , la Corte ha già affermato che una disciplina la quale preveda la tassazione di plusvalenze non ancora realizzate soltanto perchè un soggetto passivo sposta all'estero la propria residenza è idonea a limitare l'esercizio della libertà di stabilimento. Essa conduce infatti ad un trattamento sfavorevole per coloro che hanno utilizzato il proprio diritto alla libera circolazione rispetto ai soggetti passivi che risiedono all'interno del paese. Mentre per questi ultimi l'imposta sui redditi viene determinata soltanto quando essi effettivamente realizzano le plusvalenze e dunque ceduti i beni o il complesso aziendale, nel caso dei contribuenti che intendano trasferire la propria attività imprenditoriale in altro Stato CE, l'imposta non solo è determinata già al momento del trasferimento, tramite un processo dichiarativo, ma vi è anche l'obbligo di versarla (Sic!) .
Ed è esattamente questa la fattispecie che viene a verificarsi per effetto dell'art. 166 del T.U.I.R.
Il trasferimento del'impresa da parte degli imprenditori individuali o delle società unitamente ai beni costituenti il complesso aziendale non è fattispecie teorica.
Le merci possono essere spedite, al pari di macchinari e impianti. Solo i beni immobili non possono "fisicamente" spostarsi, ma possono sempre essere oggetto di vendita o di locazione, senza che per questo possa desumersi la permanenza di una stabile organizzazione nello Stato di origine ai fini delle imposte dirette.
Soprattutto possono "muoversi" i cd. intangibili , quali i marchi, i brevetti, i diritti di copyright, le opere dell'ingegno in generale, che anche se interamente ammortizzati costituiscono capitale intellettuale ancora utile all'economia dell'impresa.
Possono anche "spostarsi" le partecipazioni di controllo o di collegamento in altre società, sì che una società Holding possa trasferire la propria residenza in altro Stato membro CE per ragioni di convenienza economica o societaria; dalla regolamentazione di un mercato azionario che presenta costi di compliance più contenuti, ad un ordinamento di diritto societario maggiormente rispondente alle strategie di governance e policy degli investimenti, ad un mercato finanziario più attivo che consente maggiori opportunità per il reperimento di risorse finanziarie.
D'altra parte anche codesta Commissione Europea ha ritenuto che l'interpretazione della libertà di stabilimento fornita dalla Corte di giustizia delle Comunità europee nella causa de Lasteyrie, per quanto concerne le norme di imposizione all'uscita applicabili alle persone fisiche abbia anche implicazioni dirette sulle norme in materia di tassazione in uscita che gli Stati membri applicano alle società (31) .
Dalla sentenza de Lasteyrie codesta Commissione Europea ricava che " ... i contribuenti che esercitano il loro diritto alla libertà di stabilimento spostandosi in un altro Stato membro non possono essere soggetti a un onere fiscale applicato prima o più elevato rispetto a quello cui sono soggetti i contribuenti che continuano a risiedere nello stesso Stato membro. Se uno Stato membro autorizza il differimento fiscale per i trasferimenti di attivi tra le differenti sedi di una società stabilita in tale Stato membro, ogni tassazione immediata al momento del trasferimento degli attivi in un altro Stato membro può costituire una violazione delle libertà sancite dal trattato CE. Uno Stato membro che intenda esercitare i suoi diritti di imposizione sulla differenza tra il valore contabile e il valore di mercato degli attivi al momento del trasferimento può calcolare l'ammontare del reddito sul quale intende preservare il suo diritto di imposizione, a condizione che ciò non si traduca in un'imposizione immediata e che il differimento non sia subordinato a nessun'altra condizione ".
Ad avviso della nostra Commissione di Studio, quanto sopra è ancor più avvalorato in base alle statuizioni dalla Corte di Giustizia nel caso N (32) . Nel ribadire il principio ostativo dell'art. 43 a che uno Stato membro istituisca un regime impositivo sulle plusvalenze, nel caso di trasferimento di residenza di un contribuente al di fuori di tale Stato membro, la Corte ha parimenti censurato la costituzione di garanzie quale condizione per la sospensione del pagamento dell'imposta, ove non tenga interamente conto delle riduzioni di valore che possono intervenire successivamente al cambio di residenza dell'interessato e che non sono state considerate dallo Stato membro ospitante (33) .
Nel caso italiano non sono richieste garanzie per la sospensione dell'imposta perchè questa nei termini di legge, previa presentazione di una dichiarazione fiscale. Nè vige un sistema di neutralità, al pari di quello assicurato dalla direttiva fusioni o dall'art. 176 del T.U.I.R. Un sistema, quindi, particolarmente punitivo.
La violazione delle norme primarie comunitarie è palese e, al pari di altre contestazioni sull' exit tax già mosse da codesta Commissione (34) , il pregiudizio all'esercizio di una libertà garantita dal Trattato per le società o anche per il singolo imprenditore di potersi trasferire in altro Stato comunitario è reale, poichè l'art. 166 del T.U.I.R. è norma fortemente dissuasiva sotto l'aspetto finanziario atteso che si devono anticipare le imposte senza aver realizzato alcuna plusvalenza.
E sotto tale ultimo aspetto non è ininfluente ricordare che la Corte di Giustizia ha reiteratamente dichiarato che costituiscono restrizioni alla libertà di stabilimento misure che vietano, ostacolano o scoraggiano l'esercizio la libertà di stabilimento (35) .

Nota (28): La neutralità dell'imposizione è assicurata dal nuovo articolo 176 del D.P.R n. 917 (Allegato 13), come modificato dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, in vigore dal 1° gennaio 2008.

Nota (29): Sentenze: 27 settembre 1988, causa 81/87, Daily Mail and General Trust (punto 16), 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars (punto 28), e 11 marzo 2004, causa C-9/02 De Lasteyrie du Saillant (punto 42).

Nota (30): Sentenza De Lasteyrie du Saillant, cit., (punti 45 e 46).

Nota (31): Com (825) del 19 dicembre 2006, che trova naturale estensione anche agli imprenditori individuali e agli enti commerciali. La successiva risoluzione del Consiglio datata 2 dicembre 2008 (2008/C 323/01 non ha portata risolutiva del problema. Essa fornisce un indirizzo di comportamento allo Stato di accoglienza delle attività economiche trasferite, nel caso in cui lo Stato di uscita si riservi il diritto di tassare i plusvalori latenti le riserve di utili in sospensione d'imposta, o riprendere gli accantonamenti dedotti, prevedendo, che lo Stato di accoglienza si impegni a riconoscere il valore fiscale degli elementi patrimoniali già tassati nello Stato di uscita, ma introducendo ulteriori complesse procedure che, basandosi sulle attuali esperienze in casi analoghi, rischiano di mantenere per un tempo indeterminato gravi situazioni di incertezza: fra queste, che gli Stati risolvano fra loro eventuali controversie riguardo al valore venale delle attività alla data del trasferimento. della sede all'estero, sarebbe stata pagata all'atto del realizzo delle attività o della distribuzione delle riserve in sospensione e non prima.

Nota (32): Sentenza 7 settembre 2006, causa C-470/04 "N".

Nota (33): Nello stesso senso sentenza de Lasteyrie du Saillant, cit., punto 47, ove la Corte ha affermato che " ... Tali garanzie hanno di per sè un effetto restrittivo, in quanto privano il contribuente della disponibilità del patrimonio dato in garanzia ".

Nota (34): Svezia procedimento 2007/2372; Portogallo, procedimento 2007/2365; Spagna procedimento 2007/2382.

Nota (35): In tal senso, sentenze: 15 gennaio 2002, causa C-439/99, Commissione/Italia, punto 22; 30 marzo 2006, causa C-451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti, punto 31; 13 marzo 2008, causa C-248/06, Commissione/Spagna, punto 21 e 4 dicembre 2008, causa C-330/07, Jobra, punto 19.

Art. 4

4. Motivi di inapplicabilità di eventuali deroghe comunitarie

Le considerazioni esposte nel precedente punto 2) riguardo alla violazione, da parte dell'Italia, dell'art. 43 del Trattato CE sono soggette ai limiti contenuti nei principi generali dell'ordinamento comunitario secondo cui:
i) i cittadini di uno Stato membro non possono tentare, grazie alle possibilità offerte dal Trattato, di sottrarsi abusivamente all'impero delle loro leggi nazionali, nè possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario (36) ;
ii) la lotta contro l'evasione o la frode fiscale e le necessità di un controllo fiscale, costituiscono motivi imperativi d'interesse generale, che possono, in linea di principio, giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento (37) ;
Le limitazioni al principio di libertà di stabilimento, sopra illustrate, possono essere - a parere degli scriventi - esaminate congiuntamente.
In primo luogo occorre prendere atto del fatto che il trasferimento della residenza non costituisce di per sè un abuso, quanto l'esplicitazione più ampia della libertà di insediamento nel territorio comunitario.
In secondo luogo, non si tratta di evitare alcuna imposizione, ma di consentire al contribuente di pagare le imposte solo quando gli utili sono effettivamente realizzati, al pari dei soggetti che mantengano la loro residenza in Italia.
Quand'anche un contribuente volesse insediarsi in altro Stato comunitario per ragioni fiscali ciò, in via di principio, non costituirebbe un abuso.
Secondo costante giurisprudenza della Corte di giustizia delle comunità europee un cittadino comunitario, persona fisica o giuridica, non può essere privato della possibilità di avvalersi delle disposizioni del Trattato solo perchè ha inteso approfittare dei vantaggi fiscali offerti dalle norme in vigore in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede (38) .
Quanto alla libertà di stabilimento, la Corte ha già dichiarato che la circostanza che la società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà (39) .
Certo, i cittadini di uno Stato membro non possono tentare, grazie alle possibilità offerte dal Trattato, di sottrarsi abusivamente all'impero delle loro leggi nazionali, nè possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario (40) .
Ma non è questo il punto o la ragione prevalente del contrasto qui contestato.
Il trasferimento della residenza attiene, come sopra analizzato, a motivi di strategia imprenditoriale e il fatto di minimizzare l'onere fiscale può essere una delle ragioni, ma non quella esclusiva, atteso che l'intrapresa economica è incentrata sul conseguimento del profitto. La sede dove localizzare i propri affari è, dunque, scelta che prescinde da meri arbitraggi fiscali e, più propriamente, volta a conseguire obiettivi economici di medio/lungo periodo laddove sono più favorevoli le condizioni per raggiungerli, in funzione di un pluralità di fattori che soddisfano e favoriscono la crescita e lo sviluppo dell'impresa.
Inoltre, l'obiettivo legittimo al mantenimento della tutela della ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri non viene meno (41) . Ciò che confligge e ostacola il trasferimento è il gravoso impegno finanziario immediato richiesto dal fisco italiano, in luogo di una più misurata "sospensione" del prelievo allorchè le potenziali plusvalenze si siano realizzate, nonchè dell'equa riscossione dell'imposta sulla effettiva base imponibile, atteso che, nel medio periodo, le plusvalenze possono essersi ridotte o addirittura annullate.
Per quanto sopra considerato, si esclude che la restrizione alla libertà di stabilimento derivante dal'art. 166 del T.U.I.R. possa essere giustificata dallo Stato italiano come misura di contrasto alle costruzioni di puro artificio.
La Corte di Giustizia ha infatti precisato che " ... una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento ... è ammessa solo se concerne specificamente le finalizzate a sottrarre l'impresa alla legislazione dello Stato membro interessato " (42) (sentenza Cadbury Schweppes , cit. punto 51 e giurisprudenza ivi citata).
" Ne consegue che, perchè sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale " (43) .
Peraltro, a maggior rigore, occorre sottolineare come la Corte abbia già affermato che l'art. 43 CE (così come l'art. 39 CE) è applicabile già prima che venga intrapresa un'attività economica in un altro Stato membro; in tal modo dette disposizioni garantiscono che un cittadino di uno Stato membro possa recarsi e trattenersi in un altro Stato membro per cercare un'attività autonoma o dipendente (44) .
In tal modo, l'invocazione della libertà di stabilimento nei confronti dello Stato di provenienza al momento del trasferimento non può essere fatta dipendere dal fatto che sia già stato fissato uno stabilimento nello Stato ospitante.
Per cui non ricorrono ipotesi di abuso " a priori ", che al limite si dovrebbero accertare solo dopo che il contribuente ha lasciato il territorio di uno Stato per insidiarsi stabilmente in un altro Stato CE.
Ma, ripetiamo, non è questo il caso. Il contribuente deve poter partecipare, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio Stato di origine, per insediarvi la propria attività economica, trasferendola anche in toto dal proprio Stato di origine, avvalendosi pienamente dell'art. 43 del Trattato.
Lo scopo perseguito dal legislatore italiano con l'art. 166 del T.U.I.R. ha duplice natura:
a) la prima, collegata alla riduzione delle entrate fiscali e di contrasto all'evasione fiscale;
b) l'altra prettamente antielusiva , allo scopo di impedire che il trasferimento all'estero della residenza costituisca un espediente per sottrarre al sistema tributario italiano materia imponibile sul quale esercitare il prelievo.
Come si evince dalla relazione governativa al D.L. n. 41/1995 (45) " ... la disposizione tende a consolidare i rapporti tributari inerenti ai presupposti verificatesi nel territorio dello Stato in capo ai soggetti che, a seguito del trasferimento all'estero della residenza fiscale, non sono più assoggettabili alle imposte italiane; ... Tale operazione può, infatti, determinare, a prescindere dall'intento elusivo della stessa, la perdita implicita nei plusvalori o nei potenziali maggiori ricavi risultanti dalla differenza fra valori e costi fiscalmente riconosciuti e valore normale dei beni facenti parte dell'azienda ... E', infatti, evidente che il mutamento della residenza fiscale non deve consentire il conseguimento di indebiti vantaggi fiscali, come del resto è previsto dagli altri ordinamenti fiscali e, in particolare, da quelli comunitari ... ".
Che si tratti poi anche di provvedimento "antielusivo" è confermato dalla collocazione dell'art. 30 del D.L. n. 41/1995, rubricato sotto il , Sezione IV intitolata Misure Antielusive , nonché dalla recente modifica apportata all'art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Decreto in materia di accertamento delle imposte sui redditi) (46) rubricato nel titolo " Disposizioni antielusive ".
In particolare, quest'ultima disposizione prevede che:
[1] Sono inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti.
[2] L'amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 1, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione.
[3] Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano a condizione che, nell'ambito del comportamento di cui al comma 2, siano utilizzate una o più delle seguenti operazioni:
... ... ... ... ... ... ... ... ... ...
e) operazioni di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 544 , recante disposizioni per l'adeguamento alle direttive comunitarie relative al regime fiscale di fusioni, scissioni, conferimenti d'attivo e scambi di azioni , ; ... ...
Nel caso del trasferimento della residenza fiscale all'estero, il contribuente per sottrarsi alla presunzione di elusività deve dimostrare che, nella particolare fattispecie, l'effetto elusivo non poteva verificarsi. A tal fine il contribuente deve presentare istanza al direttore regionale delle entrate competente per territorio, descrivendo compiutamente l'operazione e indicando le disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione (comma 8 dell'art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600).
In realtà, il contribuente dovrà provare l'effettivo insediamento in altro Stato della comunità per non essere considerato - ancora e successivamente al trasferimento - residente fiscalmente nello Stato italiano, perché la determinazione dell'imponibile e la liquidazione (nonché versamento) delle imposte sulle plusvalenze " latenti " è disposizione normativa che non può essere disapplicata (47) .
Gli Stati hanno sempre opposto, quale giustificazione alle proprie disposizioni "restrittive", la tutela degli interessi economici derivanti da una riduzione delle entrate fiscali ovvero che le misure erano a atte a prevenire il rischio di evasione e, pertanto, destinate ad impedire le frodi o gli abusi.
Anche questo argomento è stato contraddetto con forza dalla Corte di giustizia.
La Corte ha sempre sostenuto che la riduzione delle entrate fiscali " ... non può essere considerata come un motivo imperativo di interesse generale che possa essere fatto valere per giustificare un provvedimento in linea di principio in contrasto con una libertà fondamentale " (48) .
Non meno decisa è stata la Corte nel respingere norme contrarie ai principi del Trattato, allorchè fu posta di fronte all'argomento che le disposizioni interne miravano a prevenire ed evitare evasioni fiscali, statuendo che " ... ... una presunzione generale di evasione o di frode fiscale non può giustificare una misura fiscale che pregiudichi l'esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato " (49) .
Inoltre, sempre in base ad una giurisprudenza costante (50) , perchè una disposizione anti-abuso o anti-evasione possa essere accolta, deve non solo essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito, ma è necessario, inoltre, " ... ... che essa non restringa le libertà fondamentali derivanti dal diritto comunitario in maniera eccessiva rispetto a quanto necessario per conseguire detto obiettivo ... (51) "; va da sè che non deve nemmeno provocare una disparità di trattamento in base alla residenza, vietata dal trattato (52) .
Vi è dunque una esigenza che salvaguardi il principio di proporzionalità , sia interno , nei confronti dei propri cittadini, sia esterno nei confronti di soggetti fiscalmente residenti in altri Stati CE.
Da quanto precede discende che il carattere di una misura nazionale controversa, impedisce di ritenerla giustificata dalle esigenze del controllo fiscale contro la frode o l'evasione, ed è quindi in contraddizione con una giurisprudenza consolidata della Corte.
I principi sopra esposti atteso che l'art. 166 del T.U.I.R.:
1) è norma che vincola il contribuente al pagamento immediato dell'imposta per contrastare una " presunta " riduzione del gettito , senza che allo stesso sia consentito differirlo e calcolarlo in base a quanto effettivamente realizzato, così come invece concesso agli imprenditori che mantengano la loro residenza fiscale in Italia;
2) la norma italiana viola i fondamentali principi dell'ordinamento comunitario della causalità e della proporzionalità , che costituiscono un pilastro della legislazione comunitaria (53) , secondo i quali il diritto dello Stato di contrastare eventuali comportamenti che potrebbero, al limite, costituire una forma di abuso delle norme Trattato, anche attraverso disposizioni anti-evasione , pur se formalmente leciti, trova un limite nella necessità che l'azione dello Stato:
- sia idonea a conseguire lo scopo perseguito, nel senso cioè che colpisca solo gli abusi della norma e non anche operazioni che non hanno questo fine ( principio di causalità );
- e non ecceda quanto necessario per raggiungerlo ( principio di proporzionalità ).
3) se da un lato la norma antielusiva recata dall'art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 può apparire compatibile con l'ordinamento comunitario, da altro lato essa rende di fatto ancor più gravoso e dissuasivo l'onere per il contribuente di provare che ha trasferito la propria residenza fiscale, contrastandone le decisioni imprenditoriali, atteso che già gli artt. 5, 51 e 73 del T.U.I.R., come sopra ricordato al capitolo 1, provvedono a definire i presupposti e le condizioni che presiedono ad individuare la residenza fiscale in Italia (54) .
E' sostenuto da questa Commissione di Studio che il problema posto alla radice della restrizione della libertà di stabilimento compromessa dall'art. 166 del T.U.I.R., è il pagamento anticipato dell'imposta sul redito a fronte di plusvalenze non realizzate al momento del trasferimento, su una base imponibile che non tiene minimamente conto della possibile riduzione o annullamento degli stessi plusvalori, che possono intervenire successivamente al cambio di residenza dell'interessato e che non sono state considerate dallo Stato membro ospitante .
Non s'intende certo sostenere che il contribuente possa eludere il proprio obbligo tributario, nè sottrarsi ad accertamenti fiscali, ma solo usufruire di un regime di "sospensione" fino a che le "potenziali" plusvalenze insite nel complesso aziendale trasferito non si siano realizzate.
Si pongono, quindi, due ordini di problemi;
a) da un lato, la tutela della ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri, ed in specie dell'Italia, contemperata da una parallela garanzia del contribuente a che subisca una doppia imposizione;
b) da altro lato, l'efficacia dei controlli fiscali al fine di evitare che il contribuente possa sottrarsi al proprio obbligo tributario.
Purtroppo, nessuna misura di unificazione o di armonizzazione diretta ad eliminare le doppie imposizioni è stata adottata nell'ambito comunitario, e gli Stati membri non hanno stipulato, in forza dell'art. 293 CE, nessuna convenzione multilaterale in materia (55) .
È in tale contesto che la Corte ha già affermato che, in mancanza di disposizioni comunitarie di unificazione o di armonizzazione, gli Stati membri rimangono competenti per definire, in via convenzionale o unilaterale, i criteri per ripartire il loro potere impositivo, in particolare al fine di eliminare la doppia imposizione (56) .
A tale proposito non è irragionevole, per gli Stati membri, ispirarsi alla prassi internazionale, e in particolare ai modelli di convenzione elaborati dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) (57) .
Ma il problema, noto, è che la disparità tra i rispettivi sistemi fiscali e la carenza di una armonizzazione comunitaria in materia di imposizione diretta, crea una situazione di profonda incertezza, che non risolve pienamente le legittime aspettative sia dell'imprenditore sia dello Stato di origine, nonchè dello Stato membro ove la nuova intrapresa si è stabilita (58) .
Dunque, in carenza di un'armonizzazione comunitaria, occorre verificare se la normativa dettata dall'art. 166 del T.U.I.R. non ecceda quanto è necessario per conseguire l'obiettivo che essa persegue. La questione va, pertanto, inquadrata sotto l'aspetto dei controlli fiscali e del diritto alla riscossione del tributo da parte dello Stato italiano all'atto dell'effettivo realizzo dei beni sulle plusvalenze maturate fino alla data di trasferimento della residenza , ovviamente tenuto interamente conto delle riduzioni di valore che possono intervenire successivamente al cambio di residenza del contribuente.
La Corte di Giustizia ha più volte affermato che " l'efficacia dei controlli fiscali costituisce un motivo imperativo d'interesse generale idoneo a giustificare una restrizione dell'esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato " (59) .
In difetto di misure di unificazione o di armonizzazione, il legislatore comunitario ha però già adottato taluni provvedimenti di armonizzazione, i quali perseguono in sostanza i medesimi obiettivi. In concreto, la direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette (GU L 336, pag. 15), come modificata dalla direttiva del Consiglio 16 novembre 2004, 2004/106/CE (GU L 359, pag. 30), permette ad uno Stato membro di chiedere alle autorità competenti di un altro Stato membro tutte le informazioni che gli sono necessarie per determinare correttamente l'imposta sul reddito (60) .
Inoltre, la direttiva del Consiglio 15 marzo 1976, 76/308/CEE, (GU L 73, pag. 18), come modificata dalla direttiva del Consiglio 15 giugno 2001, 2001/44/CE (GU L 175, pag. 17), prevede che uno Stato membro possa chiedere l'assistenza di un altro Stato membro per il recupero dei crediti relativi a talune imposte, tra le quali quelle sul reddito e sul capitale (61) (62) (63) .
Risulta tuttavia altresì dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia che, benchè l'art. 8, n. 1, della direttiva 77/799 non imponga la cooperazione tra le amministrazioni finanziarie degli Stati membri, quando la legislazione o le pratiche amministrative di questi ultimi non consentono alle competenti autorità di raccogliere o di utilizzare informazioni per le necessità di tali Stati, l'impossibilità di richiedere tale collaborazione non può giustificare il rifiuto di un'agevolazione fiscale (64) , che nel caso specifico si potrebbe attuare attraverso una sospensione della tassazione fino al realizzo dei plusvalori e nella misura effettiva.
Infatti, nulla impedirebbe alle autorità fiscali interessate di esigere dal contribuente le prove che esse reputino necessarie per la corretta determinazione delle imposte e delle tasse di cui trattasi (65) e, se del caso, di negare la sospensione richiesta qualora tali prove non vengano fornite.
Così, non potrebbe escludersi a priori che il contribuente sia in grado di produrre i pertinenti documenti probatori che consentano alle autorità tributarie dello Stato membro d'imposizione (nel caso quello italiano), di verificare, in modo chiaro e preciso, che egli non tenta di evitare o eludere il pagamento di imposte (66) .
Infine, in tale contesto, può essere considerato proporzionato all'obiettivo perseguito soltanto un sistema di riscossione dell'imposta sul reddito che tenga interamente conto delle diminuzioni di valore che possono intervenire successivamente al trasferimento della residenza del contribuente interessato.
Di conseguenza l'art. 166 del T.U.I.R. apertamente viola i principi sopra indicati, ponendosi come norma fortemente dissuasiva all'esercizio del libero stabilimento quale garantita dal Trattato.

Nota (36): Sentenze: 7 febbraio 1979, causa 115/78, Knoors , punto 25; 3 ottobre 1990, causa C-61/89, Bouchoucha , punto 14; 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros , punto 24 e 12 settembre 2006, causa C-196/04 Cadbury Schweppes , punto 35.

Nota (37): Sentenza 28 aprile 1998, causa C-118/96, Safir .

Nota (38): Sentenze: 11 dicembre 2003, causa C-364/01, Barbier, punto 71 e Cadbury Schweppes, cit., punto 36. Risulta poi dalla giurisprudenza della Corte che un imprenditore ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale (in particolare, sentenze: 6 aprile 1995, causa C-4/94, LP roup, punto 22; 9 ottobre 2001, causa C-108/99, Cantor Fitzgerald International, punto 33; 21 febbraio 2006, causa C-255/06, Halifax plc, punto 73).

Nota (39): In tal senso sentenze: Centros, cit., punto 27, e 30 settembre 2003, causa C-167/01, Inspire Art, punto 96.

Nota (40): Sentenze: 7 febbraio 1979, causa 115/78, Knoors, punto 25; 3 ottobre 1990, causa C-61/89, Bouchoucha, punto 14; 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros, punto 24.

Nota (41): Sentenze: 13 settembre 2005, causa C-466/03, Marks & Spencer, punto 45 e 7 settembre 2006, causa C-470/04, N, punto 42.

Nota (42): In tal senso, sentenze: ICI, cit., punto 26; 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst, punto 37; De Lasteyrie du Saillant, cit., punto 50; Marks & Spencer, cit., punto 57; Cadbury Schweppes , cit., punto 55; 2 maggio 2006, causa C-341/04, Eurofood IFSC, punti 34 e 35.

Nota (43): Nel caso Cadbury Schweppes la Corte conclude che «alla luce di quanto sopra, perchè la legislazione sulle SEC sia conforme al diritto comunitario, la tassazione da essa prevista non deve trovare applicazione se, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la costituzione di una SEC corrisponde a una realtà economica. Tale costituzione deve corrispondere a un insediamento reale che abbia per oggetto l'espletamento di attività economiche effettive nello Stato membro di stabilimento» (sentenza citata, punti 65 e 66).

Nota (44): Sentenza 8 aprile 1976, causa 48/75, Royer, punti 31-33.

Nota (45): D.L. 23 febbraio 1995, n. 41 (G.U. n. 45 del 23 febbraio 1995), che per effetto di quanto disposto nell'art. 30, ha introdotto nell'ordinamento italiano l'art. 20-bis del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (ora trasfuso nell'art. 166 del T.U.I.R.) la disposizioni in commento.

Nota (46): Integrazione recata dall'art. 1, comma 2, D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 199. La disposizione si applica ai trasferimenti effettuati dal 1° gennaio 2008 (Allegato 14).

Nota (47): La norma in esame, infatti, è maggiormente diretta a vincere la presunzione di residenza ex art. 73 del D.P.R. n. 917/1986, non dovendo il contribuente dare prova di valide ragioni economiche sottese alla sua decisione di trasferirsi in altro stato CE; diversamente, si rivelerebbe una "prova diabolica", facendo assurgere alla norma i connotati di una presunzione assoluta . Infatti, l'istituzione di una norma di portata generale, avente quindi i connotati di presunzione assoluta, a prescindere da un'effettiva evasione o frode fiscale, eccederebbe quanto è necessario per evitare una tale frode o evasione fiscale non rispettando, dunque, il principio di proporzionalità, e pregiudicherebbe gli obiettivi perseguito dal Trattato " ... e questo si verificherebbe anche se una norma di questo tipo fosse corredata da una semplice possibilità di deroga e fosse lasciata alla discrezionalità dell'autorità amministrativa (Sentenza 17 luglio 1997, causa C-28/95, A. Leur-Bloeum). Nè si tace che se così interpretata, il contribuente italiano resterebbe di fatto "prigioniero" dello Stato italiano sine die , con scarse possibilità di emigrare se non passando attraverso una liquidazione della sua impresa per ricostituirla in altro Stato CE sostenendo proibitivi costi di compliance .

Nota (48): Sentenze: 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, punto 28; 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkooijen, punto 59; 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst Gmbh, punto 36.

Nota (49): Sentenze: 26 settembre 2000, causa C-478/98, Commissione/Belgio, punto 45; 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, punto 26; 21 novembre 2002, causa C-436/00, punto 62; 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst Gmbh, punto 37.

Nota (50): Sentenze: 15 maggio 1997, causa C-250/95, Futura Participations e Singer; 14 settembre 2006, C-386/04, Centro di Musicologia Walter Stauffer .

Nota (51): Avv. Generale Jean Mischio nelle osservazioni sulla causa C-436/00 X,Y e Riksskatteverket.

Nota (52): 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst Gmbh, punto 37.

Nota (53): Sentenze della Corte di Giustizia Cadbury Schweppes , punto 47; 15 maggio 1997, C-250/95, Futura Participations e Singer , punto 26; 17 luglio 1997, C-28/95, Leur-Bloem , punto 48; 11 marzo 2004, C-9/02, De Lasteyrie du Saillant , punto 49, C-446/03 del 13 dicembre 2005, Marks & Spencer , punto 35.

Nota (54): Facciamo presente che, da parte dell'Amministrazione italiana, la tendenza a presumere un intento elusivo del contribuente tutte le volte che un bene contenente una plusvalenza implicita sia trasferito da un comparto non assoggettato ad imposta in Italia ad uno che, invece, vi è soggetto è consolidata. Come pure quella ad estendere la presunzione nel caso in cui, all'atto del trasferimento, il bene sia valorizzato "al costo", anzichè al valore venale e il costo sia superiore al "valore venale", così da indurre il contribuente al valorizzare, nell'ambito del reddito d'impresa, i beni provenienti dalla sfera non commerciale (v. risoluzione n. 242/E del 2002, Allegato 15) o iscritti per la prima volta in contabilità a causa del trasferimento in Italia della sede (nota 954-5/2002, Allegato 16), al MINORE fra il costo effettivo e il valore venale.

Nota (55): In tal senso, sentenze: 12 maggio 1998, causa C-336/96, Gilly, punto 23, e D., cit., punto 50).

Nota (56): Sentenze: Gilly, cit., punti 24 e 30; 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint-Gobain ZN, punto 57; 12 dicembre 2002, causa C-385/00, De Groot, punto 93, e 23 febbraio 2006, causa C-513/03, van Hilten-van der Heijden, punti 47 e 48; "N", cit., punto 44.

Nota (57): Citate sentenze Gilly, punto 31, e van Hilten-van der Heijden, punto 48.

Nota (58): Come ha acutamente osservato codesta Commissione Europea (Com (825) 19 dicembre 2006, pag. 5 paragrafo 2.2.), " ... ... indipendentemente dal metodo scelto dagli Stati membri per risolvere le disparità tra i rispettivi sistemi fiscali, una cooperazione amministrativa efficace costituirà un fattore determinante per la riuscita di tali misure. Lo Stato di uscita potrà esercitare i propri diritti di imposizione al momento della cessione solo se ne è informato. Analogamente, se il contribuente che trasferisce il proprio domicilio fiscale si rifiuta di pagare le imposte, lo Stato di uscita dovrà far affidamento sul nuovo Stato di residenza perchè riscuota le imposte a suo nome. Pertanto gli Stati membri devono approfittare pienamente delle possibilità offerte dalla direttiva sulla reciproca assistenza e da quella sul recupero dei crediti ".

Nota (59): In particolare, sentenze: 20 febbraio 1979, causa C-120/78, Rewe-Zentral, detta «Cassis de Dijon», punto 8; Futura Participations e Singer, cit. punto 31, nonchè sentenza 14 settembre 2006, C-386/04, Centro di Musicologia Walter Stauffer, punto 47.

Nota (60): In tal senso sentenze: 28 ottobre 1999, causa C-55/98, Vestergaard, punto 26; 26 giugno 2003, causa C-422/01, Skandia e Ramstedt, punto 42; Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit., punto 71; Centro di Musicologia Walter Stauffer, cit., punto 50; "N", cit, punto 52.

Nota (61): Sentenza "N", cit., punto 53.

Nota (62): Peraltro, le Convenzioni volte ad evitare la doppia imposizione, prevedono una clausola generale, detta di assistenza alla riscossione, con la quale gli Stati si impegnano ad accordarsi reciproco aiuto per riscuotere le imposte oggetto della convenzione.

Nota (63): Inoltre, occorre sottolineare come l'Italia, con legge 10 febbraio 2005 n. 19, ha aderito alla convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1998, concernente la reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa ed i Paesi membri dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico-OCSE, dandovi piena esecuzione.

Nota (64): Sentenza 11 ottobre 2007, Causa C-451/05, Elisa, punto 94. In tal senso, va aggiunto che nella sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation , cit, è stato espressamente sancito che le difficoltà incontrate dallo Stato nel conseguire lo scambio di informazioni con Stati non comunitari non sono una giustificazione sufficiente per introdurre una limitazione alla libertà dei movimenti di capitale nei confronti degli Stati terzi.

Nota (65): In tal senso sentenze: Elisa, cit, punto 95; sentenza Commissione/Danimarca, cit., punto 54.

Nota (66): In tal senso sentenze: 8 luglio 1999, causa C-254/97, Baxter e a., Racc. pag. I-4809, punti 19 e 20, e 10 marzo 2005, causa C-39/04, Laboratoires Fournier, Racc. pag. I-2057, punto 25; Elisa, cit, punto 96.

Art. 5

5. Verifica della sussistenza dei requisiti di diretta applicabilità della norma comunitaria

Benchè la materia delle imposte dirette rientri nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitare tale competenza nel rispetto del diritto comunitario (67) .
Pertanto, eventuali disposizioni tributarie in conflitto con il Trattato CE devono considerarsi non applicabili.

Nota (67): Sentenze: 11 agosto 1995, C-80/94, Wielockx , punto 16; Verkooijen , cit., punto 32; 4 marzo 2004, C-334/02, Commissione/Francia , punto 21; 15 luglio 2004; Lenz , cit., punto 19; 14 novembre 2006, C-513/04, Mark Kerckhaert , punto 15; sentenze 29 aprile 1999, causa C-311/97, Royal Bank of Scotland , punto 19; 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen , punto 19, e 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer , punto 29.

Art. 6

6. Considerazioni ricognitive e conclusive della commissione di studio

Da quanto richiamato nelle pagine che precedono, risulta che la disposizione recata dall'art. 166 del Testo unico delle imposte sui redditi confligge con l'art. 43 del Trattato CE e ne offende lo spirito.
In particolare costituisce una evidente restrizione alla libertà di stabilimento poichè prevede l'immediato assoggettamento ad imposizione e pagamento dell'imposta sul reddito:
- dei plusvalori "latenti", non realizzati, allorchè l'impresa o la società trasferisca la sua residenza, unitamente ai beni componenti il complesso aziendale, in altro Stato membro della Comunità, senza alcuna eccezione, deroga o sospensione;
- delle plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all'estero facenti capo all'impresa o alla società che intenda trasferirsi in altro Stato CE;
- dei fondi in sospensione di imposta, inclusi quelli tassabili in caso di distribuzione, iscritti nell'ultimo bilancio o rendiconto prima del trasferimento della residenza;
- dei plusvalori "latenti" di quei beni che, pur confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato italiano, successivamente siano trasferiti all'estero per necessità organizzative dell'impresa o della società che ha già trapiantato la propria residenza in altro Stato CE.
La norma, inoltre:
- costituisce una misura "eccessiva" rispetto allo scopo di contrastare "pratiche intese a null'altro che ad eludere l'imposta normalmente dovuta sul reddito d'impresa" e di dare "efficacia ai controlli fiscali" in quanto, colpisce indiscriminatamente tutti quei contribuenti che intendono lasciare l'Italia ed insediarsi in altro Stato comunitario per opportunità imprenditoriali;
- è del tutto sproporzionata, in quanto tassando nell'immediato le supposte plusvalenze "virtuali", non tiene in minimo conto dell'onere finanziario gravoso, e anticipato, cui deve andare incontro l'impresa o la società e che quelle plusvalenze - iscritte solo "sulla carta" - potrebbero nel tempo ridursi o del tutto annullarsi;
- costituisce una strenua difesa alla "", che secondo una giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, non può essere considerata come una ragione imperativa di interesse generale, che possa essere fatta valere per giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento. Infatti, un simile obiettivo è di natura puramente economica e non può pertanto costituire una ragione imperativa di interesse generale.
E' indubbio che tassare ciò che non è stato ancora "realizzato" comporta, di per sè, una misura che inibisce significativamente la decisione di qualsiasi imprenditore individuale o società a trasferirsi in un altro Stato CE. Non ne limita solo il desiderio, ma altresì ne incide significativamente nella sfera dei suoi interessi economici e patrimoniali, allorchè alla base del trasferimento vi sia un potenziale accordo con un altro operatore economico stabilito in altro Stato membro, ovvero una opportunità da sfruttare per la crescita e lo sviluppo di quella impresa o società.
Il punto in discussione non è, dunque, il diritto al trasferimento , ma le condizioni (ed il prezzo sproporzionato da pagare) per esercitare questa libertà .
L'onerosità del sistema tributario italiano che assoggetta ad imposizione le plusvalenze "virtuali" non può essere considerato, proprio perchè iniqua, motivo giustificato per combattere un'evasione fiscale, oltre a rappresentare una misura assolutamente sproporzionata. Si tratta, in sostanza, di una tipica restrizione "all'uscita" dal territorio.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia appare puntuale e precisa nel censurare misure che vietano, ostacolano o scoraggiano l'esercizio la libertà di stabilimento, qual'è la norma recata dall'art. 166 del T.U.I.R. (68) .
L'eccesso impositivo dell'esercizio della libertà di stabilimento nel caso di specie viene poi ulteriormente aggravato dall'affiancamento di un'altra disposizione di legge di matrice antielusiva (art. 37-bis D.P.R. n. 600/1973) volta ad accertare se effettivamente l'impresa abbia effettivamente trasferito o meno la sua residenza fiscale, ponendo, altresì, in capo al contribuente, l'onere di presentare apposito interpello motivando le proprie ragioni economiche dell'operazione per potersi sottrarre dalle presunzioni di elusione. E ciò malgrado Egli sia già comunque chiamato a corrispondere tutte (!) relative ai beni aziendali che seguono lo spostamento della residenza dell'impresa in altro Stato Comunitario.
Una norma, quella antielusiva, che sarebbe forse più accettabile qualora l'imprenditore potesse usufruire di un differimento dell'imposizione al verificarsi di cause realizzative degli attivi trasferiti. In tal caso, detta norma anti-abuso potrebbe essere anche funzionale alla verifica del nuovo insediamento dell'impresa, attuabile mediante scambio di informazioni tra amministrazioni fiscali degli Stati membri. Ma così non è.
La Corte di Giustizia, per la giurisprudenza sopra richiamata, da sempre sostiene che:
- la riduzione delle entrate fiscali " ... non può essere considerata come un motivo imperativo di interesse generale che possa essere fatto valere per giustificare un provvedimento in linea di principio in contrasto con una libertà fondamentale " (69) ;
- " ... ... una presunzione generale di evasione o di frode fiscale non può giustificare una misura fiscale che pregiudichi l'esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato " (70) ;
- inoltre, perchè una disposizione anti-abuso o anti-evasione possa essere accolta, in tema di libertà fondamentali del Trattato deve, non solo essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito, ma necessita anche " ... ... che essa non restringa le libertà fondamentali derivanti dal diritto comunitario in maniera eccessiva rispetto a quanto necessario per conseguire detto obiettivo ... "; va da sè che non deve nemmeno provocare una disparità di trattamento in base alla residenza, vietata dal trattato (71) .
Il trasferimento della residenza fiscale non può costituire abuso di diritto qualora l'imprenditore intenda insediarsi in altro Stato della comunità anche per avvalersi di regole per la determinazione del reddito fiscale più favorevoli. Non si tratta di artifizi elusivi o di comportamenti evasivi, ma di decisione non primaria volta "anche" a risparmiare le imposte, cioè di contenere un flusso finanziario a favore dello sviluppo dell'impresa ovvero a migliorare la remunerazione dei soci.
Una volta che l'organizzazione imprenditoriale si è insediata effettivamente e stabilmente in altro Stato membro ed è per questa riconoscibile dai terzi, la decisione imprenditoriale perde qualunque connotato di elusività .
Giova rilevare che il trasferimento delle sede di un'impresa e con essa la sua residenza fiscale, non può essere operazione che viene decisa solo sulla mera convenienza fiscale. Si pensi infatti ai costi di compliance che devono sostenersi per il trasferimento dei beni e degli uffici, al mantenimento dei rapporti con clienti e fornitori nello Stato di origine, alla verifica dell'efficienza delle infrastrutture (poste, autostrade, porti, ecc.) e alla preventiva analisi dei costi di gestione (affitti, costi del personale, spese per la consulenza, servizi bancari, ecc.) che l'imprenditore troverà nello Stato membro ospitante. La decisione è molto più complessa di quel che si posa pensare e il fattore fiscale è solo uno degli elementi oggetto di esame, ma non è quello principale o prevalente.
Sostenere significativi costi di trasferimento, aumentare considerevolmente le spese di gestione, amplificare le problematiche di organizzazione aziendale per carenza di adeguate infrastrutture, pur in supposta presenza di un minor carico fiscale, una soluzione ottimale sotto il profilo gestionale.
L'enfasi "tributaria" che lo Stato italiano poggia sull'art. 166 del T.U.I.R. non tiene minimamente conto delle necessità e delle aspirazioni dell'imprenditore, contravvenendo al rispetto di una fondamentale libertà comunitaria, dettata da un Trattato che non intende onorare.
Peraltro, "sospendere" l'imposizione non significa rinunciare all'esazione del tributo. Infatti, i beni costituenti il complesso aziendale "trasferiti" possono essere oggetto di controllo da parte delle singole autorità in virtù della cooperazione tra gli Stati membri per effetto la Direttiva (77/799/CEE), relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e indirette, la quale garantisce un reciproco scambio d'informazioni.
Inoltre, le Convenzioni volte ad evitare la doppia imposizione, prevedono una clausola generale, detta di assistenza alla riscossione, con la quale gli Stati si impegnano ad accordarsi reciproco aiuto per riscuotere le imposte oggetto della convenzione.
Ma lo Stato italiano pretende di incassare subito l'imposta, riservandosi, successivamente, di contestare al contribuente la natura elusiva del trasferimento. E' un sistema viziato e di profonda sperequazione che non trova adesione anche da parte di codesta Commissione Europea, che ha elevato, per lo stesso motivo, contestazioni anche ad altri Stati comunitari.
Alle stesse identiche conclusioni sulla incompatibilità ECJ'S di una exit-charge giunge anche un'apposito studio realizzato dalla Ernst&Young su incarico di codesta Commissione Europea, pubblicato il 22 gennaio 2009 sul sito Taxation and Customs Union .
Peraltro questa Commissione di Studio ha ben presenti le conseguenti implicazioni anche ai fini dell'imposta sul Valore aggiunto, le quali, esulando dal presente studio in tema di imposizione sul reddito, saranno oggetto di un prossimo studio e di possibile segnalazione alla Commissione Europea ad iniziativa della stessa Commissione esponente.
In definitiva la scrivente Commissione di Studio ritiene che le denunciate disposizioni dettate dall'art. 166 del T.U.I.R. costituiscano una grave restrizione della libertà di stabilimento, attuata in conflitto con i dettami enunciati dall'art. 43 del Trattato CE e, di conseguenza, auspica che codesta Commissione Europea, nell'ambito dei suoi compiti di vigilanza e di tutela del diritto comunitario, possa presto intraprendere una adeguata azione nei confronti dello Stato italiano ai fini di un sollecito superamento del segnalato conflitto normativo.

Nota (68): Sentenze: 15 gennaio 2002, causa C-439/99, Commissione/Italia, punto 22; 30 marzo 2006, causa C-451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti, punto 31; 13 marzo 2008, causa C-248/06, Commissione/Spagna, punto 21 e 4 dicembre 2008, causa C-330/07, Jobra, punto 19.

Nota (69): Sentenze: 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, punto 28; 6 giugno 2000, causa C- 35/98, Verkooijen, punto 59; 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst Gmbh, punto 36.

Nota (70): Sentenze: 26 settembre 2000, causa C-478/98, Commissione/Belgio, punto 45; 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, punto 26; 21 novembre 2002, causa C-436/00, punto 62; 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst Gmbh, punto 37.

Nota (71): Sentenza: 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst Gmbh, punto 37.

Art. 7

Allegati

Allegati - Documentazione

Art. 8

Documenti successivi - Lettera AIDC - 19 marzo 2010

Art. 9

Lettera Commissione Europea - 7 marzo 2012

Art. 10

Lettera AIDC Sezione Milano - 3 aprile 2012

Art. 11

Lettera UE - 3 settembre 2013

Art. 12

Lettera AIDC - 27 settembre 2013