AIDC - Sezione di Milano

Denuncia del 01/06/2009
Illegittimità comunitaria della presunta residenza fiscale in italia di società ed enti avente la sede in altro stato comunitario (come prevista dall'art. 73 del D.P.R. n. 917/1986)


D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 73

Denuncia del 1 giugno 2009 n. 6
Illegittimità comunitaria della presunta residenza fiscale in italia di società ed enti avente la sede in altro stato comunitario(come prevista dall'art. 73 del D.P.R. n. 917/1986)
SOMMARIO
»
» Premessa 1
» Art. 2
» Art. 3
» Art. 4
» Art. 5
» Art. 6
» Art. 7
» Art. 8
» Art. 9
» Art. 10
» Art. 11
» Art. 12
» Art. 13
» Art. 14

Commissione

DENUNCIA FISCALITA' DIRETTA
ILLEGITTIMITA' COMUNITARIA DELLA PRESUNTA RESIDENZA FISCALE IN ITALIA DI SOCIETA' ED ENTI AVENTE LA SEDE IN ALTRO STATO COMUNITARIO - come prevista dall'art. 73 del D.P.R. n. 917/1986
A CURA DELLA COMMISSIONE PER L'ESAME DELLA COMPATIBILITA' COMUNITARIA DI NORME E PRASSI TRIBUTARIE ITALIANE

Presidente:

Holzmiller Dott. Joseph

Componenti:

Bozzi Avv. Aldo

Centore Avv. Paolo

Piazza Dott. Marco - correlatore

Poggi Longostrevi Dott. Stefano (Segret. e deleg. alla divulgazione)

Savorana Dott. Alessandro - relatore

Vismara Prof. Avv. Fabrizio

Esperti:

Capelli Prof. Fausto

Marzorati Dott. Guido

Rizzardi Dott. Raffaele

Roscini Vitali Rag. Franco

Santacroce Avv. Benedetto

Zizzo Prof. Giuseppe

Partecipante di diritto

Rigamonti Dott. Marco (Presidente dell'A.D.C.)

Premessa 1

Premessa

Il Trattato CEE non istituiva una semplice unione doganale, limitata alla libera circolazione delle merci, ma ha inteso attuare un disegno ben più vasto, mirando alla libera circolazione delle persone e dei fattori produttivi: non si trattava solamente di liberalizzare gli scambi commerciali, ma di assicurare l'abolizione, tra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, dei servizi, dei capitali.
Ora, nell'ambito delle varie norme liberalizzatrici, riveste un'importanza essenziale, quella concernente la libera circolazione delle persone che costituisce la chiave di volta e il fondamento stesso di tutto il sistema comunitario. E, in effetti, la libera circolazione delle iniziative economiche non avrebbe possibilità concreta di attuazione se i capitali, a loro volta, non potessero circolare liberamente. E' evidente perciò che per un'effettiva realizzazione della libertà di stabilimento degli imprenditori, parte oltremodo importante della libera circolazione delle persone, è necessario disporre di strumenti finanziari propri che ne garantiscano l'operatività. Anche la libera circolazione delle merci e dei servizi appare una conseguenza necessaria di quelle libertà, giacché se un datore di lavoro deve poter assumere liberamente alle sue dipendenze cittadini degli altri Stati membri, se le imprese devono poter sorgere liberamente negli Stati della Comunità europea indipendentemente dalla nazionalità di coloro che le costituiscono, la portata di queste amplissime facilitazioni resterebbe frustrata qualora dette imprese fossero costrette ad operare in un mercato asfittico in cui le ricordate libertà fossero intralciate da normative protezionistiche: in tal caso, l'incremento economico produttivo che la circolazione delle imprese, dei capitali, dei lavoratori mira a favorire, sarebbe invero irrealizzabile. In altri termini, mentre la libera circolazione delle merci e dei capitali può costituire un fenomeno a sé stante, quella delle persone e delle imprese, invece, sarebbe praticamente inconcepibile se non fosse connessa alle prime, onde essa veramente è da considerare il fulcro del disegno liberalizzatore che ispira il Trattato dell'Unione Europea.
Il quadro di riferimento della presente denuncia si fonda necessariamente sui principi posti a fondamento del Trattato di cui la libertà di stabilimento, come sopra espresso, costituisce l'architrave portante della costruzione del mercato unico.

Art. 2

1. Norma nazionale confliggente

L'articolo 73 del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (2) "Testo Unico delle imposte sui redditi", inserito nel corpus della legge al TITOLO II recante disposizioni in materia di imposta sul redito delle società ( IRES ) , individua i soggetti passivi dell'imposta determinandone l'imposizione, su base worldwide tax system , in relazione alla loro residenza fiscale .
La norma, ai commi 1 e 2, dispone:
" 1. Sono soggetti all'imposta sul reddito delle società:
a) le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione, nonché le società europee di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 e le società cooperative europee di cui al regolamento (CE) n. 1435/2003 residenti nel territorio dello Stato;
b) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;
c) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;
d) le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato.
2. Tra gli enti diversi dalle società, di cui alle lettere b) e c) del comma 1, si comprendono, oltre alle persone giuridiche, le associazioni non riconosciute, i consorzi e le altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti delle quali il presupposto dell'imposta si verifica in modo unitario e autonomo. Tra le società e gli enti di cui alla lettera d) del comma 1 sono comprese anche le società e le associazioni indicate nell'articolo 5. Nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell'atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali ".
I successivi commi stabiliscono i presupposti fondamentali della :
" Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale la sede dell'amministrazione l'oggetto principale nel territorio dello Stato . Si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Paesi diversi da quelli indicati nel decreto del Ministro delle finanze 4 settembre 1996 , pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 19 settembre 1996 (3) , e successive modificazioni, in cui almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato. Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato diverso da quelli indicati nel citato decreto del Ministro delle finanze 4 settembre 1996, quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un'attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi.
L'oggetto esclusivo o principale dell'ente residente è determinato in base alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l'attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall'atto costitutivo o dallo statuto.
In mancanza dell'atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l'oggetto principale dell'ente residente è determinato in base all'attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato; tale disposizione si applica in ogni caso agli enti non residenti. ".
Secondo la normativa fiscale non è solo importante la localizzazione della sede legale della società sul territorio italiano, ma anche l'effettiva localizzazione in Italia della sede dell'amministrazione o dello svolgimento, nel nostro Paese, dell'oggetto principale dell'impresa, in entrambi i casi, per la maggior parte del periodo d'imposta. I tre criteri non sono esclusivi: è sufficiente che ne valga uno solo dei tre per ritenere la società soggetto residente fiscalmente in Italia.
Con il Decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, all'art. 73 sono stati aggiunti i commi 5- bis e 5- ter e con il Decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, il comma 5- quater , che costituiscono .
I commi in esame così dispongono:
" Salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell'amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1 (4) , se, in alternativa:
a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell'articolo 2359, primo comma , del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.
Ai fini della verifica della sussistenza del controllo di cui al comma 5-bis, rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato. Ai medesimi fini, per le persone fisiche si tiene conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all'articolo 5, comma 5.
Salvo prova contraria, si considerano residenti nel territorio dello Stato le società o enti il cui patrimonio sia investito in misura prevalente in quote di fondi di investimento immobiliare chiusi di cui all'articolo 37 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e siano controllati direttamente o indirettamente, per il tramite di società fiduciarie o per interposta persona, da soggetti residenti in Italia. Il controllo è individuato ai sensi dell'articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile, anche per partecipazioni possedute da soggetti diversi dalle società. ".
In sostanza, un ente o una società con sede (legale) e residenza (fiscale) in altro Stato membro può essere considerato fiscalmente residente in Italia (quindi avente doppia residenza fiscale) operando la presunzione legale (supposta ""), qualora:
· detenga il controllo di una società domestica sia controllata, anche indirettamente, ai sensi dell'articolo 2359, 1° e 2° comma, del codice civile, da soggetti (persone fisiche o giuridiche) residenti nel territorio dello Stato (5) ;
· detenga il controllo di una società domestica sia amministrata da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato;
· il patrimonio sia investito in misura prevalente in quote di fondi di investimento immobiliare chiusi sia controllata, anche indirettamente, ai sensi dell'articolo 2359, 1° e 2° comma, del codice civile, da soggetti (persone fisiche o giuridiche) residenti nel territorio dello Stato.
Schematicamente, in via esemplificativa, di seguito rappresentiamo come la presunzione opera nelle diverse fattispecie:
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Peraltro, come specificato dall'Agenzia delle Entrate nella circolare n. 28/E (6) , la norma è applicabile " ... anche nelle ipotesi in cui tra i soggetti residenti controllanti e controllati si interpongano più sub-holding estere. La presunzione di residenza in Italia della società estera che direttamente controlla una società italiana, renderà operativa, infatti, la presunzione anche per la società estera inserita nell'anello immediatamente superiore della catena societaria; quest'ultima si troverà, infatti, a controllare direttamente la sub-holding estera, considerata residente in Italia ".
Questa ulteriore ipotesi può essere rappresentata dal seguente schema:
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Il "collegamento" con il territorio italiano nelle fattispecie sopra delineate viene, pertanto, presunto, alternativamente, in base:
1. alla :
a) che controllano, anche indirettamente, una società posta in altro Stato comunitario che investe il suo patrimonio in Italia detenendo una partecipazione di controllo in società residente anch'essa residente in Italia;
b) ovvero controllano, anche indirettamente, per il tramite di società fiduciarie o per interposta persona, una società posta in altro Stato comunitario con patrimonio prevalentemente investito in quote di fondi di investimento immobiliare chiusi di diritto italiano;
2. alla , che sono chiamati a gestire una società comunitaria che controlla direttamente una società italiana. In questo caso, non è necessario che i soci esteri, anche comunitari, detengano il controllo della società "Madre" domiciliata in altro Stato UE, in quanto basta che essa sia amministrata, in maggioranza, da persone residenti in Italia (7) .
Le modifiche legislative hanno, quindi, tracciato un duplice sistema per l'accertamento della residenza fiscale.
Da un lato, infatti, la residenza fiscale in Italia di società comunitarie, deve essere soggetta ad un'approfondita indagine sulla scorta di elementi specifici da valutare ed esaminare caso per caso, restando quindi l' a carico dell'amministrazione finanziaria .
Da altro lato, la presunzione legale (supposta " relativa ") introdotta con il D.L.4 luglio 2006, n. 223, pone l' inversione dell'onere della prova a carico delle società comunitarie , allorché si verificano i presupposti di "collegamento" con il territorio italiano, previsti dai commi 5- bis , 5- ter e 5- quater dell'art. 73/917.
Sotto un primo aspetto, anticipando una constatazione che verrà ripresa in seguito, è palese la discriminazione operata dalla norma domestica, attesa la differenza di trattamento riservata in fase di accertamento in situazione perfettamente analoghe sotto il profilo degli investimenti attuati nel territorio italiano.
Per esempio, l'amministrazione finanziaria italiana non può presumere la residenza di una società comunitaria che investa il suo patrimonio in quote di fondi di investimento immobiliare chiusi oppure nel "controllo" di società di capitali italiane, allorché i soci di maggioranza non siano residenti in Italia. Analogamente, la presunzione non opera qualora la maggioranza degli amministratori preposti alla gestione della società UE non sia residente in Italia.
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Fattispecie analoghe vengono, pertanto, trattate diversamente sotto il profilo del riconoscimento della residenza fiscale; una disparità di trattamento, discriminante, che contrasta con i più elementari principi di diritto comunitario.
Nella Circolare n. 28/E (8) l'Agenzia delle Entrate precisa che " Gli elementi di collegamento con il territorio dello Stato individuati dalla norma sono astrattamente idonei a sorreggere la presunzione di esistenza nel territorio dello Stato della sede dell'amministrazione delle società in esame. Si tratta, infatti, di elementi già valorizzati nella esperienza interpretativa e applicativa, sia a livello internazionale che nazionale. Essi si ispirano sia a criteri di individuazione dell'effective place of management and control elaborati in sede OCSE, sia ad alcuni indirizzi giurisprudenziali.
La norma prevede, in definitiva, l'inversione, a carico del contribuente, dell'onere della prova, In tale ottica la norma persegue l'obiettivo di migliorare l'efficacia dell'azione di contrasto nei confronti di In particolare, essa intende porre un freno al fenomeno delle cosiddette , consistenti nella localizzazione della residenza fiscale delle società in Stati esteri al prevalente scopo di sottrarsi agli obblighi fiscali previsti dall'ordinamento di appartenenza; a tal fine la norma valorizza gli aspetti certi, concreti e sostanziali della fattispecie, in luogo di quelli formali, in conformità al principio della "substance over form" utilizzato in campo internazionale.
... Nel suo complesso la previsione normativa vale a circoscrivere l'inversione dell'onere della prova alle ipotesi in cui il collegamento con il territorio dello Stato è particolarmente evidente e continuativo. Ovviamente, la norma non preclude all'amministrazione la possibilità di dedurre, - anche in altri casi e - la residenza in Italia di entità estero vestite ".
Allorché una società "estero vestita" è considerata fiscalmente residente in Italia, ad essa tornano applicabili gli obblighi strumentali e sostanziali che l'ordinamento prevede per le società e gli enti residenti.
In questo senso, sinteticamente, gli obblighi concernono: ( i ) l'attivazione di un codice fiscale; ( ii ) l'apertura di una partita IVA (se la società non ha optato per l' identificazione diretta ); ( iii ) la tenuta dei libri e registri di contabilità e ai fini dell'imposta sul valore aggiunto; ( iv ) la presentazione delle dichiarazioni annuali dei redditi (IRES), dell'imposta regionale (IRAP), I.V.A. e quella dei sostituti d'imposta, con conforme applicazione delle norme specifiche interne; ( v ) la liquidazione e il pagamento delle imposte dovute o delle ritenute d'imposta operate.
A titolo esemplificativo, come illustra la Circolare n. 28/E (9) , " ... gli effetti di più immediato impatto per le sub-holding esterovestite riguarderanno i capital gain realizzati dalla cessione di partecipazioni da assoggettare al regime di imponibilità o di esenzione previsti dagli articoli 86 e 87 del T.U.I.R.; le ritenute da operare sui pagamenti di interessi dividendi e royalty corrisposti a non residenti o sui pagamenti di interessi e royalty corrisposti a soggetti residenti fuori del regime di impresa; il concorso al reddito in misura pari al 100 per cento del loro ammontare degli utili di partecipazione provenienti da società residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata. Al contrario, i predetti soggetti non dovranno subire ritenute sui flussi di dividendi, interessi e royalty in uscita dall'Italia e potranno scomputare in sede di dichiarazione annuale le ritenute eventualmente subite nel periodo di imposta per il quale sono da considerare residenti, anche se - ad inizio - operate a titolo di imposta. ".
Il punto nodale è che se gli obblighi non sono stati predisposti fin dall'origine, la società considerata, in via "postuma", fiscalmente residente in Italia sarà soggetta alle amministrative che l'ordinamento domestico commina nei casi di omesso o carente adempimento delle disposizioni di carattere tributario e, nei casi più gravi, anche a sanzioni di natura (10) .
Per cui, se la società UE , subirà gli effetti sanzionatori previsti dalle norme italiane. E " ... Il contribuente, per vincere la presunzione, dovrà dimostrare, , che la sede di direzione effettiva della società non è in Italia, bensì all'estero. Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che, nonostante i citati presupposti di applicabilità della norma, esistono elementi di fatto, situazioni od atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero (11) .

Nota (2): Allegato 1. Testo in vigore dal 22 agosto 2008 dopo le modifiche apportate dall'art. 82, comma 22, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, modificato in sede di conversione.

Nota (3): Sono gli Stati con i quali è attuabile lo scambio di informazioni ai sensi delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni sul reddito in vigore con la Repubblica italiana.

Nota (4): L'articolo 2359 del codice civile italiano (Società controllate e società collegate), nel testo attualmente in vigore (approvato con R.D.16.03.1942 n. 262) recita:
" Sono considerate società controllate:
1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria;
2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;
3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi.
Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa. ".

Nota (5): Ricade nell'alveo della presunzione anche una società comunitaria che detenesse solo il 40 per cento del capitale sociale della società italiana, quando il restante 60% sia polverizzato, oppure nelle mani di soci di minoranza. Al riguardo, dovrebbe anche darsi rilievo alla stipulazione di patti parasociali che garantiscono il controllo della società.

Nota (6): Allegato 2. Circolare Agenzia delle Entrate n. 28/E del 4 agosto 2006. Paragrafo 8, da pag. 25.

Nota (7): L'articolo 43 del codice civile approvato con R.D. 16.03.1942 n. 262) prevede che il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La residenza è invece nel luogo in cui la persona ha la sua dimora abituale.
Inoltre, la persona fisica si considera residente ai fini fiscali, ex art. 2 del D.P.R. n. 917/1986, se, per la maggior parte del periodo d'imposta, é iscritto nelle anagrafi della popolazione residente o ha nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile italiano.

Nota (8): Cit. nota n. 5.

Nota (9): Cit. nota n. 5.

Nota (10): Principali reati tributari sono connessi alle dichiarazioni fiscali e agli inadempimenti contabili e documentali e sono disciplinati dal decreto legislativo n. 74 del 10 marzo 2000.
In quest'ambito, l'accertamento "postumo" della residenza fiscale potrebbe comportare, preliminarmente e al superamento delle soglie previste dalla disciplina specifica, l'applicazione delle sanzioni penali relativamente:
- all'omessa presentazione delle dichiarazioni annuali dei redditi, IRAP e I.V.A., superata una soglia di punibilità attualmente attestata a 77.468,53 euro per ciascuna imposta;
- all'omesso o carente versamento di IVA in misura superiore a 50.000 euro;
- all'omesso versamento di ritenute certificate per un ammontare superiore a 50.000 euro.
Vi è comunque da osservare che la presunzione fiscale trova un limite naturale in campo penale, ove l'onere probatorio rimane a carico dell'accusa, che dovrà, inoltre, dimostrare la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato (dolo).

Nota (11): Circolare n. 28/E, cit. nota 5.

Art. 3

2. Norma comunitaria prevalente

Le norme del diritto comunitario che si ritengono violate dalla disposizione nazionale sopra illustrata (articolo 73, commi 5- bis , 5- ter e 5- quater del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 - "Testo Unico delle imposte sui redditi"), sono le seguenti:
Articolo 43 del Trattato CE
"1. Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.
2. La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell'articolo 48, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei con fronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali ".
Articolo 48 del Trattato CE
"Le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l'amministrazione centrale o il centro di attività principale all'interno della Comunità, sono equiparate, ai fini dell'applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri.
Per società si intendono le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro ".
Articolo 14 del Trattato CE
"1. La Comunità adotta le misure destinate all'instaurazione del mercato interno nel corso di un periodo che scade il 31 dicembre 1992, conformemente alle disposizioni del presente articolo e degli articoli 15, 26, 47, paragrafo 2, 49, 80, 93 e 95 e senza pregiudizio delle altre disposizioni del presente trattato.
2. Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni del presente trattato ".
Articolo 18 del Trattato CE
"1.Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso ".
Articolo 39 del Trattato CE
"1. La libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità é assicurata.
2. Essa implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.
3. Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto:
a) di rispondere a offerte di lavoro effettive;
b) di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri;
c) di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un'attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali;
d) di rimanere, a condizioni che costituiranno l'oggetto di regolamenti di applicazione stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego ".
Articolo 49 del Trattato CE
"Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione.
Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, può estendere il beneficio delle disposizioni del presente capo ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo e stabiliti all'interno della Comunità ".
Articolo 50 del Trattato CE
"Ai sensi del presente trattato, sono considerate come servizi le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone.
I servizi comprendono in particolare:
a) attività di carattere industriale;
b) attività di carattere commerciale;
c) attività artigiane;
d) attività delle libere professioni.
Senza pregiudizio delle disposizioni del capo relativo al diritto di stabilimento, il prestatore può, per l'esecuzione della sua prestazione, esercitare, a titolo temporaneo, la sua attività nel paese ove la prestazione é fornita, alle stesse condizioni imposte dal paese stesso ai propri cittadini ".

Art. 4

3. Motivi di conflitto della norma interna con la norma comunitaria prevalente

L'esponente Commissione di Studio ritiene che la normativa nazionale sopra illustrata configga con la prevalente normativa comunitaria sotto tre diversi profili:
1. disparità di trattamento e ostacolo al libero stabilimento di iniziative economiche tramite società in altri Stati della Comunità europea, fondato discriminatamente ;
2. disparità di trattamento e ostacolo al libero stabilimento di iniziative economiche in Italia da parte di società residenti in altri Stati della Comunità europea, fondato discriminatamente sulla ;
3. la circostanza di cui al predetto punto "2" si pone anche come ostacolo alla libera circolazione delle persone e/o dei servizi garantita dagli artt. 14,18,39,49 e50 del Trattato a seconda che codesta Spett.le Commissione Europea consideri la funzione di amministratore di società alla stregua di attività salariale ovvero di attività di servizio;
4. violazione del precetto di proporzionalità nell'inversione dell'onere della prova a carico delle società residenti in altri Stati UE che, per effetto della norma domestica, costituisce una presunzione "predeterminata" di evasione o elusione fiscale.
Tratteremo separatamente i primi due motivi di incompatibilità nel presente capitolo, rinviando al successivo gli aspetti procedurali dell'accertamento della residenza fiscale.
1. La residenza dei soci quale restrizione alla libertà di stabilimento e discriminazione indiretta per le società costituite secondo la legislazione di uno Stato membro
La norma contenuta nell'art. 43 del Trattato mira a garantire il trattamento nazionale a qualsiasi cittadino di uno Stato membro che si stabilisca, anche solo in via secondaria, in altro Stato membro per esercitarvi un'attività non subordinata.
Nell'oggetto del diritto di stabilimento rientrano anche la costituzione e gestione di imprese, conformemente alle disposizioni che la legge del Paese di accoglienza stabilisce per i suoi cittadini, nonché la costituzione di agenzie, succursali o affiliate da parte dei cittadini comunitari stabiliti a titolo principale nel territorio di un altro Stato membro. A norma dell'art. 48 del Trattato, il diritto di stabilimento comprende, poi, per le imprese sociali costituite secondo il diritto di uno Stato membro , il diritto di operare in altro Stato membro mediante uno stabilimento secondario. Da questa libertà fondamentale ne discendono, come corollari, altre tre: ( i ) l'attività d'impresa può essere esercitata in forma societaria in uno Stato membro mediante una società nazionale di quello Stato o di un altro Paese membro; ( ii ) la società ha il diritto di scegliere, ai fini dello stabilimento secondario, fra la creazione di una filiale o di una succursale; e ( iii ) la società straniera è titolare, nello Stato dello stabilimento secondario in Italia, degli stessi diritti di cui quivi godono le società nazionali.
Poiché la disposizione liberale dell'originario art. 58 (ora art. 48) poteva essere interpretata nel senso dell'ammissione al beneficio della libertà di stabilimento secondario anche delle persone giuridiche aventi nel territorio comunitario la sede statutaria, ma non anche la sede sociale " reale ", , è presto emersa la necessità di precisare a quali condizioni tale libertà sia soggetta con riguardo alle società stabilite a titolo principale al di . Come ha chiarito il programma generale per la soppressione delle restrizioni alla libertà di stabilimento, stabilito dal Consiglio il 18 dicembre 1961, a tal fine dovrà essere soddisfatto un criterio di collegamento ulteriore, di natura economica: quello del legame " effettivo e continuato " con l'economia di uno Stato membro.
Il criterio di collegamento, in origine, era quindi riferito alle sole società extracomunitarie; successivamente, in virtù di un'evoluzione di pensiero della Corte di Giustizia delle Comunità europee già a partire dal caso Centros (12) , la presenza di un legame effettivo di natura economica con lo Stato UE di stabilimento è principio acquisito dall' acquis comunitario indipendentemente che si tratti di società costituite all'interno o all'esterno della comunità.
Il legame, pertanto, dovrà essere costituito dalla presenza di una dipendenza della società nel territorio di un Paese membro, purché l'attività dell'articolazione territoriale abbia carattere permanente, effettivo e rilevante , che detto legame possa dipendere (13) .
Quanto al contenuto del richiamato diritto di stabilimento secondario, la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha messo in luce che la sede delle società interessate " serve per determinare, al pari della cittadinanza delle persone fisiche, il loro collegamento all'ordinamento giuridico di uno Stato ". Ammettere che lo Stato membro di stabilimento possa liberamente riservare un trattamento diverso per il solo fatto che la sede di una società si trova in un altro Stato membro svuoterebbe quindi di contenuto la disposizione dell'art. 43 del Trattato (14) . Pertanto, qualora risultino soddisfatte le due condizioni di legittimità e di appartenenza ad uno dei Paesi membri, alle quali il citato art. 48 subordina il riconoscimento della nazionalità comunitaria di una società, quest'ultima avrà diritto al trattamento nazionale anche se svolge interamente le proprie attività commerciali in uno Stato membro diverso da quello dello stabilimento principale, mediante un'agenzia, una succursale o un'affiliata (15) .
Dalla giurisprudenza Corte di Giustizia si desume, poi, " che le norme sulla parità di trattamento vietano non solo le discriminazioni palesi a motivo della cittadinanza, o della sede nel caso delle società, ma anche ogni forma dissimulata di discriminazione che, applicando altri criteri distintivi, porti in pratica allo stesso risultato " (16) . Analogamente, la Corte ha dichiarato incompatibili con il Trattato misure statali non discriminatorie, e tuttavia suscettibili di ostacolare o scoraggiare l'esercizio da parte dei cittadini (o delle società) comunitari delle libertà fondamentali garantite dal diritto comunitario (17) .
Occorre poi ricordare che l'art. 43 CE non vieta soltanto le restrizioni alla creazione di una controllata in un altro Stato membro poste dallo Stato di stabilimento, ma anche quelle imputabili allo . Così, secondo una giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia, le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento, anche se, alla lettera, intendono specificamente assicurare il beneficio del trattamento nazionale nello Stato di stabilimento, vietano anche che lo Stato di origine intralci lo stabilimento in un altro Stato membro di uno dei suoi cittadini o di una società costituita in conformità della sua legislazione (18) (19) .
Peraltro, perché una normativa possa essere considerata come restrittiva della libertà di stabilimento, è sufficiente che essa sia tale da restringere l'esercizio di questa libertà in uno Stato membro per società o persone aventi sede in un altro Stato membro, senza che occorra dimostrare che la normativa di cui trattasi ha effettivamente avuto l'effetto di indurre alcune di dette società o persone a rinunciare all'acquisizione, alla creazione o al mantenimento di una controllata nel primo Stato membro (20) .
Le statuizioni di cui sopra tornano applicabili al fondamento della presente denuncia.
In via di principio, presumere una residenza fiscale come previsto dall'art. 73, commi 5- bis , ter e quater , del D.P.R. n. 917/86, equivale a una restrizione alla libertà di stabilimento e, parimenti, una discriminazione fondata sulla residenza dei soci o degli amministratori,
La norma di cui all'art. 73, commi 5- bis e 5- quater , fonda la presunzione sulla "mera detenzione" della maggioranza del capitale, in via diretta o indiretta, da parte di soggetti (persone fisiche o società) residenti in Italia, di una società costituita conformemente alla normativa di uno Stato comunitario che investa il suo patrimonio nel controllo, diretto, di una società residente in Italia ovvero, prevalentemente, in quote di fondi comuni chiusi di diritto domestico.
Si noti, peraltro, che la presunzione si innesca allorché una società UE detenga il controllo di una società italiana, e opera persino quando la prima abbia il proprio patrimonio investito in società residenti in altri Stati comunitari o extracomunitari.
La questione, sempre in via di principio e preliminarmente, non è senza conseguenze.
E' indubbio, infatti, che enti, società o anche persone fisiche residenti in Italia che intendano approfittare di una legislazione più vantaggiosa, anche sotto il profilo fiscale, per costituire o acquisire una società in altro Stato membro e alla stessa affidare il patrimonio da investire in attività economiche in Italia, ne siano fortemente scoraggiate o dissuase, con la naturale conseguenza di rinunciare all'acquisizione, alla creazione o al mantenimento di una controllata in altri Stati membri.
L'effetto di una "" (21) che potrebbe ricadere sulla controllata residente in altro Stato UE , non solo per i costi di compliance , ma anche sotto il profilo degli oneri finanziari dati dalla doppia imposizione e delle sanzioni connesse ai mancati od omessi adempimenti (22) .
E sotto tale ultimo aspetto non è ininfluente ricordare che la Corte di Giustizia ha reiteratamente dichiarato che costituiscono restrizioni alla libertà di stabilimento misure che vietano, ostacolano o scoraggiano l'esercizio alla libertà di stabilimento (23) .
Peraltro a parere della esponente Commissione di Studio una norma che presume la residenza fiscale, ove la prova contraria può essere solo "postuma", unitamente all'ampia discrezionalità di giudizio di cui usufruisce l'amministrazione finanziaria, oltre che dissuasiva è da annoverare tra le forme "sottili" di protezionismo fiscale (24) .
Più che un freno alle esterovestizioni, è indubbio che la disciplina in esame tenda anche ad imporre la concentrazione degli investimenti all'interno dello Stato italiano, in funzione prevalente di evitare una perdita un gettito fiscale altrimenti a vantaggio di altro Stato UE che applica una tassazione più favorevole.
Eppure dalla sentenza Centros si ricava il principio fondamentale secondo il quale, " ... il fatto che un cittadino di uno Stato membro che desideri creare una società scelga di costituirla nello Stato membro le cui norme di diritto societario gli sembrino meno severe e crei succursali in altri Stati membri non può costituire di per sé un abuso del diritto di stabilimento. Infatti, il diritto di costituire una società in conformità alla normativa di uno Stato membro e di creare succursali in altri Stati membri è inerente all'esercizio, nell'ambito di un mercato unico, della libertà di stabilimento garantita dal Trattato " (25) .
Inoltre, " ... il fatto che una società non svolga alcuna attività nello Stato membro in cui essa ha la sede e svolga invece le sue attività unicamente nello Stato membro della sua succursale non è sufficiente a dimostrare l'esistenza di un comportamento abusivo e fraudolento, che consenta a quest'ultimo Stato membro di negare a tale società di fruire delle disposizioni comunitarie relative al diritto di stabilimento " (26) .
Il diritto di stabilimento è essenziale per l'attuazione degli obiettivi prefigurati dal Trattato, che intende garantire, indistintamente a tutti i cittadini comunitari, la libertà di intrapresa economica, attraverso gli strumenti apprestati dal diritto nazionale, assicurando loro la chance di inserimento nel mercato, quali che siano gli intenti da cui il beneficiario possa esser mosso in concreto. " Altrimenti detto, è l'opportunità di iniziativa economica ad essere tutelata, ed insieme con essa la libertà negoziale di giovarsi degli strumenti a tal fine predisposti negli ordinamenti degli Stati membri " (27) .
E' questo il punto centrale di partenza.
Un soggetto italiano, sia esso persona fisica o giuridica, deve poter usufruire della libertà ex artt. 43 e 48 del Trattato qualora intenda insediare un'attività economica in un altro Stato membro a prescindere dalla circostanza che la sua filiale investa parte o tutto il suo capitale nel controllo, diretto o indiretto, di una società residente in Italia.
Pianificare l'attività economica e gli investimenti attraverso una società controllata in un altro Stato membro può costituire una forma appropriata di condurre i propri affari e non solo per conseguire vantaggi fiscali. Può essere il caso:
a) di joint venture con altri soggetti comunitari per attività imprenditoriali localizzate in Italia, ove la domiciliazione della società in altro Stato UE può essere condizione posta dai soci di minoranza, sia per ragioni legali od economiche (si pensi, per esempio, ai proprietari di diritti c.d. intangibili , e all'eventuale inferiore livello di tassazione su questi "attivi passivi" accordati dalla Stato ospitante), ovvero perché le disposizioni di diritto societario dello Stato UE di domicilio accordano maggiori diritti alle minoranze;
b) di società Holding o sub Holding costituite in altro Stato membro UE per ragioni di convenienza economica o societaria; dalla regolamentazione di un mercato azionario che presenta costi di compliance più contenuti, ad un ordinamento di diritto societario maggiormente rispondente alle strategie di governance e policy di dell'ente degli investimenti e, ad un mercato finanziario più attivo che consente maggiori opportunità per il reperimento di risorse finanziarie;
c) di società Industriali o commerciali costituite in altro Stato membro UE che localizzano parte degli investimenti in Italia e che si avvalgono di norme di diritto societario più vantaggiose ai fini della governance , di controllo della società e nei rapporti con i soci di minoranza.
La localizzazione della società in altro Stato membro della Comunità Europea può anche essere motivata da ragioni di pianificazione fiscale ( tax planning ), laddove:
i) l'imposizione diretta risulti più vantaggiosa (e dunque meno onerosa) non solo con riguardo all'aliquota nominale di tax rate , ma anche in funzione di regole per la determinazione della base imponibile più favorevoli (ad esempio: processi di ammortamento dei cespiti strumentali maggiormente rispondenti al grado di obsolescenza o senescenza dei beni; riconoscimento in deduzione di costi altrimenti non ammessi, o limitati, nello Stato di origine; legittime misure che consentono detrazioni e crediti d'imposta concessi per agevolare gli investimenti, ecc. ...);
ii) lo Stato UE disponga di una favorevole rete di Trattati contro le doppie imposizioni, che consenta significativi risparmi in termini di ritenute convenzionali su interessi, canoni di royalty, dividendi (c.d. witholding tax );
iii) costi di tax compliance significativamente inferiori, nonché chiara formazione di norme, regolamenti o atti amministrativi in materia tributaria e rapporti con l'amministrazione fiscale locale improntati su principi di parità e di reciproco rispetto (28) .
D'altra parte i soci/imprenditori sono particolarmente sensibili agli effetti fiscali dei propri investimenti. Il (lecito) risparmio di imposta è, da solo, motivo che ha una sua autonoma ragione economica.
Non va, infatti, dimenticato che il pagamento delle imposte equivale nella dottrina aziendale ad un flusso finanziario . Il risparmio di imposta consente di contenere questo flusso finanziario a diretto beneficio dello sviluppo degli investimenti, al mantenimento dei livelli occupazionali ovvero a migliorare la remunerazione dei soci (29) .
Ed è in forza di tutte le ragioni sopra esposte che , " ... un cittadino comunitario, persona fisica o giuridica, non può essere privato della possibilità di avvalersi delle disposizioni del Trattato solo perché ha inteso approfittare dei vantaggi fiscali offerti dalle norme in vigore in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede ... (30) ".
La libertà di stabilimento, che l'art. 43 CE attribuisce ai cittadini della Comunità e che implica per essi l'accesso alle attività non subordinate ed il loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese, alle stesse condizioni previste dalle leggi dello Stato membro di stabilimento per i cittadini di questo, comprende, ai sensi dell'art. 48 CE, per le società costituite a norma delle leggi di uno Stato membro e che abbiano la sede sociale, l'amministrazione centrale o la sede principale nel territorio della Comunità, il diritto di svolgere la loro attività nello Stato membro di cui trattasi mediante una controllata, una succursale o un'agenzia (30) .
Nel caso di specie, è pacifico che la legislazione italiana comporti una disparità di trattamento, sotto il profilo della presunzione "predeterminata" di elusione, frode od evasione fiscale, fra società comunitarie che si propongono i medesimi interessi economici.
Se, infatti, una società residente in Italia (31) ha costituito una filiale in altro Stato membro dove quest'ultima è soggetta, eventualmente, a un minor livello impositivo, la presunzione di residenza fiscale contenuta nell'art. 73 del T.U.I.R./917 comporta una della filiale stessa al rischio di una doppia imposizione su base mondiale, in quanto , senza alcuna normazione procedimentale di tutela, sopratutto preventiva, . Allo stesso modo soggiace alla presunzione anche una società UE ove la maggioranza degli amministratori é residente in Italia; in questa ipotesi, l'inversione dell'onere della prova potrebbe rivelarsi, più che improba, (32) .
Al contrario, se la società UE che detiene il controllo di una società di diritto italiano:
- a sua volta controllata da soggetti (persone fisiche o giuridiche) residenti in Italia;
- pur se controllata da soggetti domestici, in prevalenza il suo patrimonio in quote di fondi di investimento immobiliare chiusi;
- qualora sia controllata da soggetti (persone fisiche o giuridiche) residenti in Italia, il suo organo di gestione in prevalenza composto da persone residenti in Italia,
la presunzione torna applicabile e l'onere della prova, circa la sussistenza di una residenza fiscale nel territorio italiano, ricade interamente sull'amministrazione finanziaria.
Allo stesso modo, la presunzione tornerà applicabile a quelle società UE che, non controllate da soggetti residenti in Italia, investono il loro patrimonio in quote di fondi di investimento immobiliare chiusi.
Tale disparità di trattamento crea uno svantaggio (fiscale) per le società UE controllate da soggetti italiani, ovvero controllate da soggetti residenti in altri Stati della comunità che intendono affidare la cura dei propri interessi ad amministratori residenti in Italia (33) . E' indubbio.
Si noti, per inciso, che l'art. 73 del T.U.I.R./917, commi 5- bis , 5- ter e 5- quater , non pone alcuna condizione (ulteriore) circa il livello di tassazione dello Stato comunitario " anormalmente basso " o comunque " inferiore " a quello domestico, sì che la presunzione torna automaticamente applicabile anche se nello Stato della filiale non si consegua alcun beneficio di minor tassazione, ed anche se l'imposizione risultasse più elevata.
, inoltre, che è norma "indirettamente" discriminatoria, poiché il controllo da parte di persone (fisiche o giuridiche) della filiale UE reca a quest'ultima un immediato (possibile) pregiudizio e conseguente forte ostacolo (di natura dissuasiva) alla costituzione, acqusizione o al mantenimento di una controllata in un altro Stato membro.
Per quanto sopra esposto, ripercorrendo le statuizioni di una consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia delle comunità europee, appare di immediata percezione il contrasto dell'art. 73 del T.U.I.R. commi 5- bis , ter e quater , con gli articoli 43 e 48 del Trattato laddove :
- un cittadino comunitario, persona fisica o giuridica, non può, essere privato della possibilità di avvalersi delle disposizioni del Trattato solo perché ha inteso approfittare dei vantaggi fiscali offerti dalle norme in vigore in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede (34) ;
- la circostanza che la società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà (35) . Ne consegue che, il fatto che una Società abbia deciso di costituire controllate in altro Stato UE al fine di beneficiare del favorevole regime fiscale che tale stabilimento comporta non costituisce di per sé un abuso e quindi non preclude alla prima società la possibilità di invocare gli artt. 43 CE e 48 CE (36) ;
- le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento vietano che lo Stato d'origine intralci lo stabilimento in un altro Stato membro di un proprio cittadino o di una società costituita secondo la propria legislazione (37) ;
- un trattamento fiscale differenziato derivante da e lo svantaggio che ne risulta per le società residenti che dispongono di una controllata soggetta, in un altro Stato membro, ad un livello di tassazione inferiore sono atti che ostacolare l'esercizio della libertà di stabilimento da parte di tali società, dissuadendole dal costituire, acquisire o mantenere una controllata in uno Stato membro ... . Essi integrano, quindi, una restrizione alla libertà di stabilimento nel senso degli artt. 43 CE e 48 CE (38) ;
- la mera circostanza che una società residente crei uno stabilimento secondario, per esempio una controllata, in un altro Stato membro non può fondare una presunzione generale di frode fiscale, né giustificare una misura che pregiudichi l'esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (39) .
Vi è comunque da aggiungere un'ulteriore considerazione. Il dettato normativo domestico espone la società UE anche ad un successivo aggravio impositivo: precisamente alla tassazione in uscita ( exit tax ).
Questa Commissione di Studio ha già inoltrato a codesta Commissione Europea apposita denuncia dell'art. 166 del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (40) con la prevalente normativa comunitaria, cui si rinvia per il merito.
In questa particolare circostanza, vogliamo solo richiamare l'attenzione sul fatto che allorché la società madre UE viene considerata fiscalmente residente in Italia, la "perdita" della residenza per il venir meno di una delle condizioni previste dall'art. 73 commi 5- bis e quater , comporta anche, ai fini delle imposte sui redditi, . La stessa disposizione si applica se successivamente i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano distolti. Inoltre, i fondi in sospensione d'imposta, inclusi quelli tassabili in caso di distribuzione, iscritti nell'ultimo bilancio prima del trasferimento della residenza, sono assoggettati a tassazione nella misura in cui non siano stati ricostituiti nel patrimonio contabile della predetta stabile organizzazione.
In definitiva, alternativamente:
i) qualora il controllo della società UE venga trasferito da soggetti (persone fisiche o giuridiche) residenti in Italia a soggetti non residenti;
ii) l'organo di gestione della società UE, rinnovato, non sia più costituito, in maggioranza, da persone residenti in Italia;
iii) il patrimonio non risulti prevalentemente investito in Fondi comuni chiusi immobiliari,
la società non sarà più considerata residente fiscalmente in Italia, ma dovrà assoggettare ad imposizione immediata le eventuali plusvalenze non ancora realizzate relative al suo compendio aziendale.
Questa ipotesi è confermata dalla risoluzione dell'Agenzia delle Entrate n. 409/E del 30 ottobre 2008 (41) (42) , nella quale l'amministrazione finanziaria:
- da un lato ribadisce che la norma " ... ... ha l'obiettivo di migliorare l'efficacia dell'azione di contrasto nei confronti di pratiche elusive, facilitando il compito del verificatore nell'accertamento degli elementi di fatto per la determinazione della residenza effettiva delle società ... "
- da altro lato precisa che " ... il venir meno della applicabilità ... della disposizione di riqualificazione della residenza fiscale di cui al citato comma 5-bis, determini per la stessa la perdita di soggettività passiva d'imposta ai fini IRES (in conseguenza del trasferimento all'estero della residenza fiscale) e, conseguentemente ... l'obbligo per la società, in applicazione di quanto stabilito dal menzionato articolo 166 del T.U.I.R., di assoggettare a tassazione le plusvalenze derivanti dal realizzo, al valore normale, dei beni facenti parte del suo complesso aziendale salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ".
Si ipotizzi che due persone fisiche residenti in Italia costituiscano una S.p.A. di diritto italiano la quale detenga (direttamente o indirettamente) il controllo di una società costituita conformemente alla legislazione di uno Stato membro. Quest'ultima detiene a sua volta il controllo diretto in una società di capitali italiana.
Coordinando la presunzione dell'art. 73, comma 5- bis e la disposizione dell'art. 166 del T.U.I.R. si potrebbero avere le seguenti conseguenze a cascata:
1. presunzione di residenza fiscale in Italia della controllata UE;
2. se la S.p.A. trasferisce la sua residenza fiscale in altro Stato UE, non cessa la presunzione di residenza della controllata UE, che viene peraltro ad estendersi anche alla S.p.A. (che nel frattempo avrà modificato il proprio istituto giuridico in conformità alla normativa dello Stato ospitante), in quanto controllata da persone fisiche residenti in Italia (43) ; inoltre, la S.p.A. dovrà necessariamente soggiacere alla "tassazione in uscita" ai sensi dell'art. 166 del T.U.I.R.;
3. qualora a trasferire la propria residenza in altro Stato UE siano i soci che controllano la S.p.A., non viene a mutarsi la presunzione di residenza fiscale della filiale UE, poiché quest'ultima è controllata dalla S.p.A. italiana;
4. infine, il trasferimento della residenza fiscale in altro Stato UE sia dei soci di controllo sia della S.p.A. madre, fa sorgere il presupposto impositivo per l'assoggettamento a valore normale ex art. 166 T.U.I.R. tanto della controllante che della filiale controllata in altro Stato UE (44) .
Riteniamo dover sottolineare come la combinazione normativa di cui sopra, non solo è lesiva degli artt. 43 e 48 del Trattato, ma è, in tutto e per tutto, una pervicace forma di dissuasione a strenua difesa delle ragioni di gettito, tale da restringere drasticamente l'esercizio della libertà di stabilimento sia perché ha l'effetto di indurre a rinunciare all'acquisizione, alla creazione o al mantenimento di una consociata in un altro Stato membro, sia perché inibisce significativamente, causa gli sproporzionati oneri finanziari, di esercitare il diritto a stabilirsi in diverso Stato comunitario, ponendo del pari significative limitazioni all'intrapresa economica e all'investimento in capitale di rischio.
2. La residenza degli amministratori quale restrizione alla libertà di stabilimento e di circolazione delle persone/dei servizi, nonché discriminazione per le società costituite secondo la legislazione di uno Stato membro
Alle considerazioni svolte al paragrafo 1, che qui vengono integralmente richiamate, occorre aggiungere ulteriori analisi che riguardano specificatamente la residenza degli amministratori.
Come esposto, l'art. 73 del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, comma 5- bis lett. b), estende la presunzione di residenza a quelle società UE, che controllano direttamente una società domestica, il cui organo di gestione è composto in maggioranza da persone residenti in Italia. In questa circostanza, dunque, la discriminazione è fondata sulla residenza degli amministratori, limitando a soggetti di nazionalità italiana di ricoprire incarichi di gestione oltre frontiera, in un altro Paese Europeo.
Se da un lato é giurisprudenza costante che rientrano nell'ambito di applicazione materiale delle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento le disposizioni nazionali che si applicano alla detenzione da parte di un cittadino, nel capitale di una società stabilita in un altro Stato membro, di una partecipazione tale da conferirgli una sicura influenza sulle decisioni della società e da consentirgli di indirizzarne le attività (45) , non può non evidenziarsi come la norma interna domestica abbia anche effetti restrittivi sulla libera circolazione dei lavoratori ex art. 39 e sulla prestazione dei servizi ex artt. 49 e 50 del Trattato.
Infatti, se consideriamo isolatamente le norme del Trattato sopra richiamate, è evidente che la disposizione interna in esame ostacola la scelta del management più idoneo ad amministrare la società, sia per capacità professionali, sia per la conoscenza delle dinamiche economiche ed, anche, della legislazione nazionale italiana, introducendo una discriminazione che penalizza i prestatori d'opera residenti in Italia.
In tal senso, appare difficile giustificare questa restrizione basandola sulla mera presunzione che poiché gli amministratori sono in maggioranza residenti in Italia, il luogo della direzione effettiva della società deve, altresì, ritenersi stabilito in Italia. Non vi è nemmeno la discriminante dei poteri "delegati", intesi quali poteri, legittimamente conferiti, che consentano agli amministratori di compiere operazioni sia di natura ordinaria, sia straordinaria, in modo indipendente, sì che la presunzione opera persino quando gli amministratori italiani non abbiano alcun potere di gestione.
La presunzione, inoltre, non appare facilmente superabile; fornire la prova contraria, come sopra già commentato, può rivelarsi eccessivamente difficoltoso se non impossibile.
E', invero, difficile circoscrivere la nozione di amministrazione centrale. Anche quando designa il luogo di riunione del consiglio d'amministrazione, essa può non essere sufficiente a fornire un soddisfacente criterio di collegamento. Col progresso dei mezzi di comunicazione, non è più necessario organizzare riunioni formali del consiglio d'amministrazione. Le moderne riunioni in audio-video conferenza o la semplice teleconferenza, consentono ad ogni amministratore di esporre il proprio punto di vista e di partecipare ad una decisione senza una presenza fisica in un luogo determinato. Il consiglio d'amministrazione può del resto riunirsi in un luogo predeterminato, senza alcun reale rapporto con il centro decisionale della società. Il luogo di riunione del consiglio d'amministrazione non può dunque costituire il solo criterio per individuare, sempre e con certezza, la sede dell'amministrazione centrale. Tale individuazione non può risultare da una valutazione giuridicamente formale, senza tener conto di una pluralità di elementi di fatto decisivi, la cui rispettiva portata potrebbe variare secondo il tipo di società in causa.
La nozione di stabilimento è essa stessa essenzialmente economica ed implica sempre un effettivo legame economico. Si tratta di situare concretamente il centro economico di gravità dell'impresa . Quindi, la nozione di amministrazione centrale corrisponde non solo all'insediamento dei servizi amministrativi principali, ma anche, e soprattutto, al luogo di effettiva direzione della società. La sede reale è di norma nel luogo dell'amministrazione centrale della società, che, a sua volta, è il luogo dove sono prese le decisioni relative all'attività indipendente e dal quale essa riceve impulso; in altri termini, è il centro d'esercizio di tale attività.
Ne discende, conseguentemente, che solo una minuziosa analisi e verifica caso per caso può soddisfare quegli elementi di collegamento con il territorio nazionale che possano fondatamente stabilire che il centro dell'amministrazione della società UE si trovi in Italia (e non, quindi, per via presuntiva).
Ma anche questa conclusione può non essere da sola sufficiente ad avvalorare la residenza "fiscale" della società UE in Italia. Precisamente, potrebbe sussistere () una stabile organizzazione della società estera laddove gli amministratori residenti, muniti di idonei poteri gestionali, abitualmente concludano in nome dell'impresa stessa contratti diversi da quelli di acquisto di beni.
In tale contesto, l'importanza che assume la stabile organizzazione è tanto più rilevante laddove si pensi che intanto lo Stato può tassare i redditi di impresa prodotti da un soggetto non residente, in quanto sia possibile localizzarne l'ubicazione della fonte (e, pertanto l'attività produttiva) nel suo territorio, attraverso la configurazione, appunto, di una stabile organizzazione dotata della forza di attrarre i redditi qui prodotti attraverso una struttura fiscalmente rilevante e stabile nel tempo.
In altre parole, tramite la stabile organizzazione, l'imprenditore estero assume, nello Stato italiano, una "presenza" sufficientemente qualificata, sostanziale e permanente da far ritenere che egli operi su un piano di astratta parità con le imprese residenti.
Ma allo Stato italiano non basta una norma di chiusura e di garanzia, quale quella recata dall'art. 162 del T.U.I.R. (46) che determina le condizioni, al verificarsi delle quali, è possibile individuare la presenza di una stabile organizzazione (materiale e/o personale) in Italia dell'impresa estera, alla quale l'imposta è applicabile limitatamente ai redditi qui prodotti, molto probabilmente perché spetta all'amministrazione finanziaria provarne l'effettiva presenza sul territorio. La soluzione è, dunque, il ricorso ad una presunzione predeterminata (assoluta) di residenza fiscale anche se, sotto certi aspetti, la scelta si pone in aperta contraddizione con le stesse norme interne (47) .
Conclusivamente, la discriminazione fondata sulla residenza degli amministratori, al pari di quella dei soci, costituisce un ulteriore elemento di illegittimità della disposizione interna con gli artt. 43 e 48 del Trattato, nonché con gli articoli 14, 18, 39, 49 e 50 in tema di libera circolazione delle persone e dei servizi.

Nota (12): Sentenza del 9 marzo 1999, causa C-219/97, punto 26.

Nota (13): In tal senso le conclusioni dell'AG La Pergola nel caso Centros Ltd, nota n. 16.

Nota (14): Sentenze: 28 gennaio 1986, causa 270/83, Commissione/Francia punti 13, 14 e 18; 17 giugno 1997, causa C-70/95, Sodemare punti 25 e 26; 16 luglio 1998, causa C-264/96, Imperial Chemical Industries, punto 20.

Nota (15): Sentenza 10 luglio 1986, causa 79/85, punti 14 e 16. Con la richiamata pronuncia, la Corte ha dichiarato incompatibile con gli artt. 52 e 58 (ora artt. 43 e 48) del Trattato l'esclusione dell'amministratore di una società da un regime nazionale di assicurazione-malattia, decisa dalle competenti autorità dello Stato membro dello stabilimento secondario (società affiliata) per l'unica ragione che la società madre è stata costituita conformemente alla legge di un altro Stato membro ed ha la sua sede sociale nel territorio di esso, pur non svolgendo attività commerciali in quello Stato ed operando esclusivamente nel Paese membro dello stabilimento secondario.

Nota (16): Sentenze: 13 luglio 1993, causa C-330/91, Commerzbank, punto 14; 12 aprile 1994, causa C-1/93, Halliburton Services, punto 15.

Nota (17): Sentenza 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, punto 32.

Nota (18): In tale contesto, secondo costante giurisprudenza della Corte di giustizia delle comunità europee, la libertà di stabilimento ha duplice portata: da un lato essa garantisce il trattamento dei residenti nello Stato ospitante, e vieta a tale Stato di limitare lo svolgimento di un'attività economica autonoma da parte dei cittadini di un altro Stato membro; dall'altro vieta che lo Stato di provenienza ostacoli lo stabilimento dei propri cittadini in un altro Stato membro Nella fattispecie prospettata la situazione è la seconda descritta. (Sentenze: 27 settembre 1988, causa 81/87, Daily Mail and General Trust, punto 16; 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars, punto 28; 11 marzo 2004, causa C-9/02 De Lasteyrie du Saillant, punto 42; 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer, punto 31; 12 settembre 2006, causa C-194/04, Cadbury Schweppes plc, punto 42.

Nota (19): Questo divieto di ostacoli "all'uscita", come si dirà in seguito, vale altresì per le misure fiscali Il divieto di ostacoli all'uscita in forma di misure fiscali ha ricevuto la sua prima applicazione nella sentenza ICI (16 luglio 1998, causa C-264/96), nei confronti della legislazione del Regno Unito che riservava il beneficio di uno sgravio fiscale alle società residenti che controllavano unicamente o principalmente società stabilite nel territorio nazionale. Esso è stato illustrato più volte in prosieguo di tempo (in particolare, sentenze: 18 novembre 1999, causa C-200/98, X e Y; De Lasteyrie du Saillant, cit.; 23 febbraio 2006, causa C-471/04, Keller Holding).

Nota (20): Sentenza 13 marzo 2007, causa C-524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, punto 61.

Nota (21): I trattati contro le doppie imposizioni fiscali, che si rifanno usualmente al modello OCSE (art. 4), non consentono di trovare una soluzione equitativa al problema: anzi, la complicano. Infatti, in base a questi modelli la sede di una società è dove essa ha la propria sede legale o domicilio, ovvero dove è amministrata o in base a criteri simili adottati in via unilaterale dagli Stati. Laddove questi criteri conducano a ipotesi di "doppia residenza fiscale", risulta dirimente dove la società è gestita e amministrata. In base ai trattati, quindi, opera la tie breaker rule che dovrebbe risolvere i casi di doppia residenza. Il problema è che la " tbr " è una procedura di natura amichevole che investe le amministrazioni di due Stati contraenti e non è automatico che uno dei due Stati riconosca l'efficacia della presunzione e continui, pertanto, ad affermare la residenza della società all'interno dei suoi confini, con conseguente diritto di tassare la stessa società proprio in base all'art. 4 del Trattato. Vero che l'art. 25 delle convenzioni modello Ocse mette a disposizione del contribuente, senza privarlo degli ordinari rimedi legali disponibili, una procedura detta amichevole, sottoponendo il proprio caso all'autorità competente del proprio Stato o dello Stato ove é ubicato il suo investimento. Ma si tratta pur sempre di una procedura attivabile non prima di una notifica che comporta una imposizione che il contribuente ritiene non conforme alla disposizione della Convenzione (siamo, quindi, già in fase processuale). Quest'ultima procedura non offre alcuna garanzia di eliminazione della doppia imposizione al contribuente, posto che gli Stati sono solo tenuti a tentare di eliminare il contrasto interpretativo: si tratta, in definitiva, di un'obbligazione di mezzi e non di risultato. Concludendo, nei casi di applicazione della presunzione ad una società costituita in altro Stato della comunità sussiste il rischio che, nei fatti, si giunga ad una doppia imposizione .

Nota (22): Rif. nota 9 e considerazioni espresse alla pagina 17.

Nota (23): In tal senso, sentenze: 15 gennaio 2002, causa C-439/99, Commissione/Italia, punto 22; 30 marzo 2006, causa C-451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti, punto 31; 13 marzo 2008, causa C-248/06, Commissione/Spagna, punto 21; 4 dicembre 2008, causa C-330/07, Jobra, punto 19.

Nota (24): Il tema andrebbe approfondito e sviluppato. Gli Stati hanno diritto di sovranità impositiva in relazione alle attività svolte sul loro territorio e il Trattato garantisce un'equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli stessi. Norme antiabuso o antielusione o di contrasto alla frode ed evasione fiscale tendono a preservare questo assetto, ma sempre più spesso assumono forme che tendono a salvaguardare ostacolando o comprimendo le libertà fondamentali che il Trattato garantisce ai singoli, siano esse imprese o persone fisiche. Possiamo discutere se sono da qualificare quali "restrizioni" o "discriminazioni", ma la sostanza non cambia. Da qui il motivo di considerare contrarie al Trattato tutte quelle norme che surrettiziamente si pongono anche quali forme "sottili" di protezionismo fiscale , a vario titolo giustificate dagli Stati membri e contro le quali il singolo è costretto a confrontarsi quotidianamente. Se da un lato è, anche socialmente, riprovevole che il singolo abusi del diritto interno e comunitario per sottrarsi ai propri obblighi, parimenti costituisce un tutte le volte in cui l'esercizio di una libertà fondamentale è gravemente ostacolato sulla base di una disciplina positiva o di presunzioni predeterminate volte a negare in radice un diritto garantito dal Trattato.

Nota (25): Sentenza Centros, cit, punto 27; 30 settembre 2003, causa C-167/01, Inspire Art, punti, 96 e 138.

Nota (26): Sentenze: Centros, cit, punto 28; 10 luglio 1986, causa 79/85, Segers, punto 16; Inspire Art, cit. punto 139.

Nota (27): Punto 20 delle conclusioni dell'avv. Generale La Pergola sul caso Centros Ltd., cit. La Corte aveva già da tempo sancito solennemente la diretta applicabilità delle disposizioni del Trattato nei casi Reyners (sentenza 21 giugno 1974, causa 2/74) e Van Binsbergen (3 dicembre 1974, causa 33/74), relativamente al diritto di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi, riconoscendo ad ogni cittadino comunitario un diritto individuale di stabilirsi e di esercitare la propria attività professionale in qualsiasi Paese della CE.

Nota (28): A tale ultimo fine è utile qui richiamare il progetto della Carta Europea dei diritti del contribuente, presentato dall'Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano alle alte istituzioni della Comunità e oggetto di audizione al Parlamento Europeo il 29 maggio 2008.

Nota (29): Giova, peraltro, rilevare che la costituzione di una società all'estero non é operazione semplice. Si pensi, infatti, alla valutazione dei costi che devono sostenersi per costituire la filiale , alla verifica dell'efficienza delle infrastrutture dello Stato ospite (poste, autostrade, porti, telecomunicazioni, ecc..), alla preventiva analisi dei costi di gestione (affitti, costi del personale, governance , compliance contabile e fiscale, servizi bancari, consulenze legali, ecc..., ovvero ai costi di service outsourcing ). La decisione è molto più complessa di quel che si possa pensare e il fattore fiscale, pur supponendo la sua valenza, é generalmente messo a confronto con i costi complessivi di gestione della società. E'molto difficile che soci/imprenditori sostengano superiori oneri di gestione rispetto al vantaggio fiscale conseguibile, anche in proiezione futura: è decisione antieconomica.

Nota (30): Sentenze: 11 dicembre 2003, causa C-364/01, Barbier, punto 71; Cadbury Schweppes plc, cit, punti 36 e 37.

Nota (31): Analogamente, la presunzione si applica: se la società UE è costituita da una o più persone fisiche residenti in Italia che ne detengono il controllo; se la società italiana che controlla la società UE è a sua volta controllata da persone (fisiche o giuridiche) extracomunitarie.

Nota (32): Attesa l'enorme discrezionalità dell'amministrazione italiana, potrebbe non essere sufficiente dimostrare che la sede della direzione effettiva è posta in altro Stato comunitario, cioè il luogo dove vengono prese le decisioni gestionali più importanti, mediante la mera esibizione dei verbali del consiglio di amministrazione, l'esistenza di uffici attrezzati e personale, i rapporti finanziari con istituti di credito locali ecc.

Nota (33): Nelle stesse ed identiche circostanze, la disparità di trattamento varrebbe anche se la società UE fossa controllata da persone (fisiche o giuridiche) extra comunitarie . Come sopra precisato, una società costituita secondo le norme di uno Stato membro acquisisce "l'equiparazione", ai fini dell'applicazione delle disposizioni del Trattato, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri, purché, secondo il programma generale per la soppressione delle restrizioni alla libertà di stabilimento, stabilito dal Consiglio il 18 dicembre 1961, sia soddisfatto il criterio di collegamento (ulteriore), di natura economica: quello del legame " effettivo e continuato " con l'economia di uno Stato membro. La presunzione ex art. 73 del T.U.I.R./917 torna applicabile, dunque, laddove la società UE fosse amministrata, in maggioranza, da persone fisiche residenti in Italia o anche da una società a responsabilità limitata italiana, secondo quanto permesso dalle norme di diritto societario domestico.

Nota (34): Sentenza Barbier, cit., punto 71.

Nota (35): Sentenze: Centros, cit., punto 27, e Inspire Art, cit. punto 96.

Nota (36): In tal senso, citate sentenze Centros, punto 18, e Inspire Art, punto 98.

Nota (37): Sentenze: ICI, cit, punto 21; Marks; Spencer, cit, punto 31.

Nota (38): In tal senso sentenze: Cadbury Schweppes, cit. punto 46; 18 luglio 2007, causa C-231/05 OyAA, punto 39.

Nota (39): In tal senso sentenze: ICI, cit., punto 26; 26 settembre 2000, causa C-478/98, Commissione/Belgio, punto 45; 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y, punto 62; 4 marzo 2004, causa C-334/02, Commissione/Francia, punto 27.

Nota (40): Allegato n. 3.

Nota (41): Allegato n. 4.

Nota (42): Il caso aveva ad oggetto la richiesta di ammissione al regime del consolidato fiscale nazionale nell'ipotesi di società estera fiscalmente residente in Italia.

Nota (43): Si veda l'esempio a pag. 12 sulla base dell'interpretazione della circolare n. 28/E cit. nella nota 5.

Nota (44): Soccorre aggiungere che il trasferimento all'estero della residenza fiscale di una società costituisce, per il legislatore italiano, operazione in sé soggetta alla disciplina antielusiva. L'art. 37- bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Decreto in materia di accertamento delle imposte sui redditi) rubricato nel titolo " Disposizioni antielusive "(Allegato n. 5) prevede che:
[1] Sono inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti.
[2] L'amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 1, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione .
[3] Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano a condizione che, nell'ambito del comportamento di cui al comma 2, siano utilizzate una o più delle seguenti operazioni:
... ... ... ... ...
e) operazioni di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 544, recante disposizioni per l'adeguamento alle direttive comunitarie relative al regime fiscale di fusioni, scissioni, conferimenti d'attivo e scambi di azioni, ; ...
Nel caso del trasferimento della residenza fiscale all'estero, il contribuente per sottrarsi alla presunzione di elusività deve dimostrare che, nella particolare fattispecie, l'effetto elusivo non poteva verificarsi. A tal fine il contribuente deve presentare istanza al direttore regionale delle entrate competente per territorio, descrivendo compiutamente l'operazione e indicando le disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione (comma 8 dell'art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600).
In realtà, il contribuente dovrà provare l'effettivo insediamento in altro Stato della comunità per non essere considerato - ancora e successivamente al trasferimento - residente fiscalmente nello Stato italiano, perché la determinazione dell'imponibile e la liquidazione (nonché versamento) delle imposte sulle plusvalenze " latenti " è disposizione normativa che non può essere disapplicata.
La norma in esame, infatti, è maggiormente diretta a vincere la presunzione di residenza ex art. 73 del D.P.R. n. 917/86, non dovendo il contribuente dare prova di valide ragioni economiche sottese alla sua decisione di trasferirsi in altro stato CE; diversamente, si rivelerebbe una "prova diabolica", facendo assurgere alla norma i connotati di una presunzione assoluta . Infatti, l'istituzione di una norma di portata generale, avente quindi i connotati di presunzione assoluta, a prescindere da un'effettiva evasione o frode fiscale, eccederebbe quanto è necessario per evitare una tale frode o evasione fiscale non rispettando, dunque, il principio di proporzionalità, e pregiudicherebbe gli obiettivi perseguito dal Trattato " ... e questo si verificherebbe anche se una norma di questo tipo fosse corredata da una semplice possibilità di deroga e fosse lasciata alla discrezionalità dell'autorità amministrativa (Sentenza 17 luglio 1997, causa C-28/95, A. Leur-Bloeum). Né si tace che se così interpretata, .

Nota (45): In tal senso, sentenze: 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars, punto 22; X e Y,cit., punto 37). Gli effetti derivanti dalla restrizione alla libera prestazione dei servizi, sarebbero l'inevitabile conseguenza di un possibile ostacolo alla libertà di stabilimento (sentenza 14 ottobre 2004, causa C-36/02, Omega, punto 27).

Nota (46): Allegato n. 6

Nota (47): Son compresenti nell'ordinamento tributario nazionale due norme che, nella sostanza, sono tra loro in contraddizione: quella dell'art. 73, commi 5- bis , ter e quater sulla presunzione di residenza fiscale e quella dell'art. 162 del T.U.I.R. che disciplina la stabile organizzazione di imprese non residenti. Ci riferiamo in particolare al 9 comma dell'art. 162 del T.U.I.R. che così recita: " Il fatto che un'impresa non residente con o senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato controlli un'impresa residente, ne sia controllata, o che entrambe le imprese siano controllate da un terzo soggetto esercente o no attività d'impresa non costituisce di per sé motivo sufficiente per considerare una qualsiasi di dette imprese una stabile organizzazione dell'altra .". Sotto un piano di pura logica, se il controllo di una impresa residente non costituisce motivo sufficiente per considerare quest'ultima una P.E. della società madre, il controllo (diretto o indiretto) da parte di soggetti residenti in Italia in una filiale UE che a sua volta controlla una società residente è, invece, motivo sufficiente per avvalorare una presunzione di residenza fiscale di quest'ultima. Il legislatore ha "saltato" un passaggio, perché, al limite, la discriminante della residenza domestica dei soci, è forse elemento più aderente per valutare i presupposti dell'esistenza di una P.E. in Italia. In sostanza, sarebbe stato più coerente, in presenza dei presupposti ex art. 73/917, presumere la società controllata in Italia quale P.E. della società madre non residente, escludendo in radice la residenza fiscale di quest'ultima. In realtà, questa semplice contraddizione avvalora ancor più la tesi che la disposizione di cui dell'art. 73, commi 5- bis , ter e quater del T.U.I.R. è norma che postula una presunzione di residenza fiscale di natura assoluta .

Art. 5

4. Motivi di inapplicabilità di eventuali deroghe comunitarie

Le considerazioni esposte nel precedente paragrafo 3 riguardo alla violazione, da parte dell'Italia, degli articoli 43 e 48 del Trattato CE sono soggette ai limiti contenuti nei principi generali dell'ordinamento comunitario secondo cui:
i) i cittadini di uno Stato membro non possono tentare, grazie alle possibilità offerte dal Trattato, di sottrarsi abusivamente all'impero delle loro leggi nazionali, né possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario (48) ;
ii) la lotta contro l'evasione o la frode fiscale e le necessità di un controllo fiscale, costituiscono motivi imperativi d'interesse generale, che possono, in linea di principio, giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento (49) .
Le restrizioni ai principi delle libertà garantite dal Trattato CE, sopra illustrate, possono essere - a parere di questa Commissione di Studio - esaminate congiuntamente.
In primo luogo occorre prendere atto del fatto che la costituzione o l'acquisizione del controllo di una società residente in altro Stato membro non costituisce di per sé un abuso, quanto l'esplicitazione più ampia della libertà di insediamento nel territorio comunitario, quand'anche una persona fisica o giuridica volesse insediarsi in altro Stato comunitario per mera convenienza fiscale (50) .
Come ha correttamente osservato anche codesta Commissione Europea (51) , la Corte di Giustizia ha espressamente confermato che è perfettamente legittimo tener conto di considerazioni di ordine fiscale per decidere dove creare uno stabilimento secondario (52) . L'obiettivo di ridurre al minimo l'onere fiscale costituisce di per sé una considerazione commerciale valida , purché le costruzioni attuate a questo fine non siano (53) . Se i contribuenti non sono incorsi in pratiche abusive, gli Stati membri non possono impedire l'esercizio dei diritti della libertà di circolazione solo perché altri Stati membri hanno una fiscalità poco elevata (54) .
Questo vale anche con riguardo a speciali regimi favorevoli nei sistemi fiscali di altri Stati membri (55) . Le distorsioni legate all'ubicazione delle attività imprenditoriali come conseguenza di aiuti di Stato non compatibili con il trattato CE e di concorrenza fiscale dannosa non autorizzano gli Stati membri a prendere misure unilaterali per combatterne gli effetti lesivi limitando la libertà di circolazione (56) (57) ; esse devono piuttosto essere risolte alla fonte mediante le appropriate procedure giudiziarie o politiche.
Certo, i cittadini di uno Stato membro non possono tentare, grazie alle possibilità offerte dal Trattato, di sottrarsi abusivamente all'impero delle loro leggi nazionali, né possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario (58) .
Ma non può considerarsi "in sé" un abuso il motivo di un lecito risparmio fiscale.
La costituzione ed il mantenimento del controllo di una filiale in altro Stato membro, come sopra analizzato, può essere anche connesso a motivi di strategia imprenditoriale, ed il fatto di minimizzare l'onere fiscale può essere una delle ragioni, ma non necessariamente quella esclusiva sebbene anche ciò non sia di ostacolo all'intrapresa economica che risulta sempre incentrata sul massimo conseguimento del profitto. La sede dove localizzare i propri affari è, dunque, scelta che può anche prescindere da mera convenienza fiscale e, più propriamente, volta a conseguire obiettivi economici di medio/lungo periodo laddove sono più favorevoli le condizioni per raggiungerli, in funzione di una pluralità di fattori che soddisfano e favoriscono la crescita e lo sviluppo dell'impresa (59) .
In ogni caso, la Corte di Giustizia ha precisato che " ... una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento ... è ammessa solo se concerne specificamente le finalizzate a sottrarre l'impresa alla legislazione dello Stato membro interessato " (60) .
La costituzione di una società sussidiaria deve pertanto corrispondere a una realtà economica, cioè ad un insediamento reale che abbia per oggetto l'espletamento di attività economiche effettive nello Stato membro di stabilimento (61) .
" Ne consegue che, perché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale " (62) .
Risulta però dalla giurisprudenza costante della Corte di Giustizia che la mera circostanza che una società residente crei uno stabilimento secondario, per esempio una controllata, in un altro Stato membro non può fondare una presunzione generale di frode fiscale, né giustificare una misura che pregiudichi l'esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (63) .
Infatti, " ... un trattamento fiscale differenziato derivante da legislazioni particolari e lo svantaggio che ne risulta per le società residenti che dispongono di una controllata soggetta, in un altro Stato membro, ad un livello di tassazione inferiore sono atti che potenzialmente possono ostacolare l'esercizio della libertà di stabilimento da parte di tali società, dissuadendole dal costituire, acquisire o mantenere una controllata in uno Stato membro ... Essi integrano, quindi, una restrizione alla libertà di stabilimento nel senso degli artt. 43 CE e 48 CE " (64) .
Pertanto, " la constatazione deve poggiare su elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi, relativi, in particolare, al livello di presenza fisica della società in termini di locali, di personale e di attrezzature. Se la verifica di questi elementi portasse a constatare che la società domiciliata in uno Stato CE corrisponde a un'installazione fittizia che non esercita alcuna attività economica effettiva sul territorio dello Stato membro di stabilimento, la creazione di questa società dovrebbe essere ritenuta costruzione di puro artificio. Potrebbe essere questo il caso, in particolare, di una società «fantasma» o «schermo». " (65) (66) .
Il principio è dirimente sotto due aspetti sostanziali;
1. riconoscibilità dell'autonoma attività imprenditoriale della filiale da parte dei terzi nel luogo prescelto di stabilimento;
2. individuazione degli elementi per determinare l' effective place of management and control secondo l'indirizzo " comunitario " elaborato dalla Corte di Giustizia.
Quanto al requisito della riconoscibilità , la Corte di Giustizia ne ha tracciato il profilo, per la prima volta, nel caso Eurofood ISFC (67) .
Nel caso Eurofood, procedimento incentrato nell'ambito del regolamento (CE) del Consiglio 29 maggio 2000, n. 1346, relativo alle procedure di insolvenza, la Corte è stata chiamata a stabilire il sistema di determinazione della competenza dei giudici degli Stati membri posto in essere dal predetto regolamento. In particolare il giudice del rinvio chiedeva quale fosse, nel caso di una società madre e della sua controllata aventi le rispettive sedi statutarie in due diversi Stati membri, l'elemento determinante per identificare il centro degli interessi principali della controllata .
Il contenuto di tale concetto è chiarito dal tredicesimo 'considerandò del regolamento, il quale afferma che " per «centro degli interessi principali» si deve intendere il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale, e pertanto riconoscibile dai terzi, la gestione dei suoi interessi ".
Per determinare il centro degli interessi principali di una società, la presunzione "" prevista dal legislatore comunitario a favore della sede statutaria di tale società può essere superata " ... soltanto se elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi consentono di determinare l'esistenza di una situazione reale diversa da quella che si ritiene corrispondere alla collocazione nella detta sede statutaria. Ciò potrebbe in particolare valere per una società fantasma, la quale non svolgesse alcuna attività sul territorio dello Stato membro in cui si trova la sua sede sociale ... " (68) .
Per contro, quando una società svolge la propria attività sul territorio dello Stato membro in cui ha sede, " ... il semplice fatto che le sue scelte gestionali siano o possano essere controllate da una società madre stabilita in un altro Stato membro non è sufficiente per superare la presunzione stabilita dal regolamento ... " (69) .
Laddove la società controllata, " ... esercita in modo abituale la gestione dei suoi interessi secondo modalità riconoscibili da terzi ed in osservanza completa e regolare della sua stessa identità societaria nello Stato membro dove è situata la sua sede statutaria, i requisiti di trasparenza e riconoscibilità sono per definizione soddisfatti ". , il fatto che la società madre ... " grazie al suo azionariato ed al potere di nominare gli amministratori, è in grado di controllare e di fatto controlla la politica della controllata " non soddisfa i suddetti requisiti. Quindi, " il semplice fatto che una società sia in grado, grazie al suo azionariato ed al potere di nominare gli amministratori, di controllare la politica di una controllata, anche se riconoscibile da parte di terzi, non dimostra che di fatto controlli tale politica " (70) .
Un aspetto intrinseco del concetto di " centro degli interessi principali " è l'esistenza delle realtà funzionali in grado di sostituire criteri meramente formali. " Qualunque soggetto che cerchi di vincere la presunzione ... ... ... comunque che gli elementi addotti soddisfano i requisiti di trasparenza e riconoscibilità. Per dimostrare che il centro degli interessi principali di una società controllata è situato in un luogo diverso ... ... sarebbero necessarie prove evidenti del prevalente e riconoscibile controllo da parte della società madre " (71) .
Alla luce di quanto sopra, la presunzione secondo la quale il centro degli interessi principali di una controllata è collocato in uno Stato membro "diverso" da quello in cui si trova la sua sede statutaria, può essere superata soltanto se elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi consentono di determinare l'esistenza di una situazione reale diversa da quella che si ritiene corrispondere alla collocazione nella detta sede statutaria. Per contro, quando una società svolge la propria attività sul territorio dello Stato membro in cui ha sede, il fatto che le sue scelte gestionali siano o possano essere controllate da una società madre stabilita in un altro Stato membro non è sufficiente per superare la presunzione (72) .
I principi sanciti nella sentenza Eurofood IFSC trovano analogo e pertinente riscontro ai fini della presente denuncia, per la convergente similitudine del concetto di " centro degli interessi principali ", che vale tanto ai fini dei procedimenti di insolvenza quanto sotto l'aspetto tributario.
Il legislatore italiano, nell'introdurre la presunzione ex art. 73/917 non si è posto minimamente il problema di verificare l'esistenza di principi comunitari di riferimento, dotando l'ordinamento di uno strumento per sollevare l'amministrazione finanziaria dalla necessità di provare l'effettiva sede dell'amministrazione di entità che presentano elementi di collegamento con il territorio dello Stato.
Né ha interpretato correttamente, a parere della scrivente Commissione di Studio, quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 22 gennaio 1958, n. 136, secondo la quale la sede effettiva della società deve considerarsi come " il luogo in cui la società svolge la sua prevalente attività direttiva ed amministrativa per l'esercizio dell'impresa, cioè il centro effettivo dei suoi interessi, dove la società vive ed opera, dove si trattano gli affari e dove i diversi fattori dell'impresa vengono organizzati e coordinati per l'esplicazione ed il raggiungimento dei fini sociali " (73) , rispondente ed equivalente all'indirizzo espresso dalla Corte di Giustizia nel caso Eurofood nella ricognizione del " centro degli interessi principali " e che implica ( e, quindi, anche da parte della stessa amministrazione finanziaria) che l' effective place of management and control è ubicato in luogo diverso da quello equivalente ad una " casella postale ", ovvero che la filiale UE è una società schermo o fantasma.
Ne consegue che il mero controllo di una società italiana da parte di una filiale UE a sua volta controllata da persone (fisiche o giuridiche) residenti in Italia, al pari di una società UE ove l'organo di amministrazione sia composto, in maggioranza, da soggetti residenti in Italia (74) , non può costituire che la società Madre abbia posto in Italia, né costituire presupposto per una inversione dell'onere della prova e nel contempo attribuire all'amministrazione finanziaria una discrezionalità senza alcun limite.
Né può costituire sufficiente ragione per considerare residente fiscalmente in Italia la filiale UE, la concomitanza che una società sia in grado, grazie al suo azionariato ed al potere di nominare gli amministratori, di controllare la politica di una controllata.
In definitiva, " ... la sede dell'attività economica di una società è il luogo ove vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale di tale società e ove sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest'ultima ... ", secondo l'interpretazione "comunitaria" fornita dalla Corte di Giustizia nel caso Planzer AG (75) .
Ciò non toglie che " La determinazione del luogo della sede dell'attività economica di una società implica , al primo posto dei quali figurano la sede statutaria, il luogo dell'amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società. Possono essere presi in considerazione anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, la tenuta dei documenti amministrativi e contabili e relativi allo svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie " (76) . Così un'interpretazione fittizia, come quella caratterizzante una società "casella postale" o "schermo", non potrebbe essere definita sede di un'attività economica (77) .
Conclusivamente, non si è in presenza di una forma di tutte le volte in cui la società eserciti effettivamente un'attività economica per una durata di tempo indeterminata, mercé l'insediamento in pianta stabile in un altro Stato membro, e la stessa società eserciti in modo abituale la gestione dei suoi interessi secondo modalità riconoscibili da terzi ed in osservanza completa e regolare della sua stessa identità societaria nello Stato membro dove è situata la sua sede statutaria, sì che i requisiti di trasparenza e riconoscibilità siano, per definizione, soddisfatti.
Resta, pertanto, che l'amministrazione finanziaria italiana dovrà provare , mediante accertamento di dati ed elementi di fatto, che il domicilio fiscale posto all'estero dalla società è fittizio .
Lo scopo perseguito dal legislatore italiano con l'art. 73, commi 5- bis , ter e quater del T.U.I.R. ha duplice natura:
a) la prima, collegata alla riduzione delle entrate fiscali;
b) la seconda, prettamente antielusiva e di contrasto all'evasione fiscale, allo scopo di porre un freno al fenomeno delle cosiddette esterovestizioni , consistenti nella localizzazione della residenza fiscale delle società in Stati esteri al prevalente scopo di sottrarsi agli obblighi fiscali previsti dall'ordinamento tributario italiano e, pertanto, sottrarre materia imponibile sulla quale esercitare il prelievo (78) .
Occorre premettere che, secondo una costante giurisprudenza della Corte di giustizia, i provvedimenti nazionali che possono ostacolare o scoraggiare l'esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato devono soddisfare quattro condizioni: ( i ) essi devono applicarsi in modo non discriminatorio, ( ii ) essere giustificati da motivi imperativi di interesse pubblico, ( iii ) essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e ( iv ) non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo (79) .
Va, inoltre, ricordato che gli Stati membri devono rispettare i principi generali del diritto che fanno parte dell'ordinamento giuridico comunitario, quali, in particolare, i principi di certezza del diritto e di proporzionalità (80) (81) .
Tutti i principi sopra indicati sono disattesi dall'art. 73, commi 5- bis , ter e quater del T.U.I.R.
E' manifesta la discriminazione operata dalla norma domestica, attesa la differenza di trattamento riservata in situazione perfettamente analoghe sotto il profilo degli investimenti attuati nel territorio italiano.
L'amministrazione finanziaria italiana non può , infatti, presumere la residenza di una società comunitaria che investa il suo patrimonio in quote di fondi di investimento immobiliare chiusi oppure nel "controllo" di società di capitali italiane, allorché i soci di maggioranza non sono residenti in Italia . Analogamente, la presunzione non opera qualora la maggioranza degli amministratori preposti alla gestione della società UE non sia residente in Italia .
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Gli elementi di collegamento con il territorio dello Stato sono perfettamente identici, in quanto ciò che rileva, nella sostanza, è il controllo di una società di capitali residente in Italia tramite una Filiale UE, ovvero la prevalenza degli investimenti attuati, da detta Filiale, in un OICVM immobiliare di tipo chiuso.
Laddove però la Filiale UE è controllata da soggetti residenti in Italia ovvero é amministrata da un consiglio di amministrazione o altro organo di gestione equivalente, formato in prevalenza da amministratori residenti nel territorio italiano, scatta la presunzione di residenza fiscale dell'ente.
Questa disparità di trattamento, ribadiamo, crea uno svantaggio (fiscale) per le società UE controllate da soggetti italiani, ovvero controllate da soggetti residenti in altri Stati della comunità che intendono affidare la cura dei propri interessi ad amministratori residenti in Italia. E' indubbio.
Fattispecie analoghe vengono, pertanto, trattate diversamente sotto il profilo della presunzione della residenza fiscale; una disparità di trattamento, discriminante, che contrasta con i più elementari principi di diritto comunitario.
Gli Stati hanno sempre opposto, quale giustificazione alle proprie disposizioni "restrittive", la tutela degli interessi economici derivanti da una riduzione delle entrate fiscali ovvero che le misure erano atte a prevenire il rischio di evasione e, pertanto, destinate ad impedire le frodi o gli abusi.
Questo argomento è stato contraddetto con forza dalla Corte di Giustizia.
La Corte ha sempre sostenuto che la riduzione delle entrate fiscali " ... non può essere considerata come un motivo imperativo di interesse generale che possa essere fatto valere per giustificare un provvedimento in linea di principio in contrasto con una libertà fondamentale " (82) .
Infatti, l'esigenza di impedire la riduzione del gettito tributario non rientra né tra gli obiettivi enunciati all'art. 46, n. 1, CE, né tra le ragioni imperative di interesse generale suscettibili di giustificare una restrizione a una libertà prevista dal Trattato (83) .
Risulta da una consolidata giurisprudenza, che la Corte di giustizia ha sempre respinto norme contrarie ai principi del Trattato, allorché fu posta di fronte all'argomento che le disposizioni interne miravano a prevenire ed evitare evasioni fiscali, statuendo che " ... ... una presunzione generale di evasione o di frode fiscale non può giustificare una misura fiscale che pregiudichi l'esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato " (84) .
Inoltre, sempre in base ad una giurisprudenza costante (85) , perché una disposizione anti-abuso o anti-evasione possa essere accolta, deve non solo essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito, ma è necessario, inoltre, " ... ... che essa non restringa le libertà fondamentali derivanti dal diritto comunitario in maniera eccessiva rispetto a quanto necessario per conseguire detto obiettivo (86) ..."; va da sé che non deve nemmeno provocare una disparità di trattamento in base alla residenza, vietata dal Trattato (87) .
Vi è dunque un'esigenza che salvaguardi il principio di proporzionalità , sia interno , nei confronti dei propri cittadini, sia esterno nei confronti di soggetti fiscalmente residenti in altri Stati CE.
Da quanto precede discende che il carattere di una misura nazionale controversa, impedisce di ritenerla giustificata dalle esigenze del controllo fiscale contro la frode o l'evasione, ed è quindi in contraddizione con una giurisprudenza consolidata della Corte.
I principi sopra esposti atteso che la norma italiana viola i fondamentali principi dell'ordinamento comunitario della causalità , della proporzionalità e della certezza del diritto , che costituiscono un pilastro della legislazione comunitaria (88) , secondo i quali il diritto dello Stato di contrastare eventuali comportamenti che potrebbero, al limite, costituire una forma di abuso delle norme Trattato, anche attraverso disposizioni anti-evasione , pur se formalmente leciti, trova un limite nella necessità che l'azione dello Stato:
- sia idonea a conseguire lo scopo perseguito, nel senso cioè che colpisca solo gli abusi della norma e non anche operazioni che non hanno questo fine ( principio di causalità );
- e non ecceda quanto necessario per raggiungerlo ( principio di proporzionalità ).
La norma antielusiva recata dall'art. 73, commi 5- bis , ter e quater del D.P.R. n. 917/1986, facendo gravare l'onere della prova sulla Filiale UE, introduce nell'ordinamento una sorta di presunzione assoluta della residenza fiscale, poiché rende di fatto gravoso , se non impossibile , l'onere per la società di provare l'effettivo insediamento nello Stato UE della sede della direzione effettiva, attesa la discrezionalità di decisione cui usufruisce l'amministrazione fiscale.
La conclusione di cui sopra è ulteriormente avvalorata dal fatto che le norme domestiche negano ogni tipo di procedura di verifica "preventiva", sì che la presunzione di residenza circoscrive la sua applicabilità all'attività di controllo e la sua verifica alla sede processuale a cominciare dalla fase di impugnazione dell'avviso di accertamento.
Quanto sopra è avvalorato dall'interpretazione fornita dell'Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 312/E del 5 novembre 2007 (89) , che ha considerato inammissibile l'istanza di interpello presentata da una società di capitali olandese, in quanto le pertinenti disposizioni nazionali (90) subordinano la possibilità di presentare istanza di interpello ordinario alla ricorrenza di "obiettive condizioni di incertezza sull'interpretazione di una disposizione normativa di natura tributaria" in riferimento a casi concreti e personali (91) , concludendo che " ... la prova contraria necessaria per superare la presunzione di «esterovestizione» di cui all'articolo 73, comma 5-bis prima richiamata, ... può essere offerta nella competente sede di accertamento e non tramite la procedura di interpello c.d. disapplicativo disciplinata dall'articolo 37-bis, comma 8, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (92) ".
Non è dunque permesso alle società UE di presentare:
- un interpello ordinario "conoscitivo/ricognitivo" al fine di rappresentare la situazione di fatto ed ottenere dall'amministrazione italiana una valutazione su condizioni e presupposti di applicabilità della norma;
- un interpello "antielusivo" ai sensi dell'art. 37- bis D.P.R. n. 600/73, disapplicativo della presunzione ex art. 73/917, fornendo le prove dell'insediamento nello Stato di sede e direzione effettiva, perché fattispecie non prevista dalla norma (93) .
Non vi è dunque nemmeno possibilità per la società comunitaria di fornire, , alcuna prova liberatoria per vincere la presunzione, sì che in assenza di una procedura preventiva o di regole puntuali l'art. 73 in commento finisce per imporre un regime di probatio diabolica : ne deriva un'insopportabile ed illegittima limitazione della libertà di stabilimento (94) .
Eppure, il principio di certezza del diritto s'impone con rigore particolare quando si tratta di una normativa idonea a comportare oneri finanziari, al fine di consentire agli interessati di conoscere con esattezza l'estensione degli obblighi che essa impone loro (95) . Ne consegue che è necessario che i soggetti passivi abbiano conoscenza dei loro obblighi fiscali (96) (97) .
Nel merito, pertanto, l'art. 73, commi 5- bis , ter e quater del D.P.R. n. 917/1986, finisce per fondare una presunzione generale di frode fiscale , misura che pregiudica l'esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (98) .
L' inversione dell'onere della prova si appalesa, dunque, misura sproporzionata ed eccessiva rispetto al fine perseguito. Infatti, occorre ricordare che la Corte di giustizia ha già avuto modo di dichiarare (99) che, conformemente al principio di proporzionalità, gli Stati membri devono avere ricorso a mezzi che, pur consentendo di raggiungere efficacemente l'obiettivo perseguito dal diritto interno, portino il minor pregiudizio possibile agli obiettivi e ai principi stabiliti dalla normativa comunitaria controversa. Così, se è legittimo che i provvedimenti adottati dagli Stati membri tendano a preservare il più efficacemente possibile i diritti dell'Erario, essi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine (100) .
Inoltre, anche fosse latente o potenziale il rischio di evasione, per accertare se l'operazione ha quale intento l'evasione fiscale, " ... le autorità nazionali competenti non possono limitarsi ad applicare criteri generali predeterminati, ma devono procedere, caso per caso, ad un esame globale dell'operazione, ... e tale esame deve poter essere oggetto di sindacato giurisdizionale " (101) .
Per cui, l'istituzione di una norma di portata generale sulla base di criteri come quelli previsti dall'art. 73, commi 5- bis , ter e quater del D.P.R. n. 917/1986, a prescindere da un'effettiva evasione o frode fiscale, eccede quanto è necessario per evitare una tale frode o evasione fiscale e pregiudica gli obiettivi perseguiti dagli artt. 43 e 48 del Trattato CE, tenuto inoltre conto che la norma è di fatto corredata di un'ampia discrezionalità lasciata all'autorità amministrativa (102) (103) .
Lo Stato italiano non si è posto minimamente il problema che il contribuente possa subire una doppia imposizione , sia in Italia che nello Stato di costituzione e sede della Filiale UE (104) . Nell'esercizio della propria potestà impositiva ha inteso semplificare ed agevolare il compito all'amministrazione finanziaria, senza prevedere alcuna norma di garanzia preventiva e senza nemmeno dover provare l'esistenza reale della sede di direzione effettiva.
E che fornire la prove sia alquanto difficile e, diametralmente, estremamente ampia la discrezionalità dell'amministrazione finanziaria italiana lo si può agevolmente intuire da alcune risposte dell'Agenzia delle Entrate a interpelli in materia di legislazione sulle CFC (105) o per la deducibilità di costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate in Stati o territori non UE aventi regimi fiscali privilegiati (106) .
E' stato, infatti, escluso l'esercizio di una effettiva attività economica di una società, controllata, "Cipriota" per il sol fatto che la struttura organizzativa presente a Cipro " appariva " e, pertanto, non idonea a dimostrare lo svolgimento, in loco, di una " attività gestionale e decisionale rilevante ", poiché (107) :
a) il contratto di locazione della sede sociale era stato stipulato nel gennaio 2007, mentre, con riguardo al 2006, anno per il quale si richiedeva la disapplicazione della normativa CFC, non era stata fornita la prova della disponibilità in Cipro di una struttura idonea allo svolgimento dell'attività dichiarata (108) ;
b) il contratto di fornitura di servizi legali e amministrativi, stipulato nel gennaio 2006 con uno studio legale cipriota, nonché il contratto di fornitura di servizi di revisione e di consulenza contabile e fiscale, anch'esso stipulato nel gennaio 2006 con una locale società di revisione, , a parere dell'Agenzia, che il personale disponibile in Cipro è giuridicamente estraneo alla società.
Altro esempio è fornito dal rigetto della richiesta di disapplicazione della norma di cui all'art. 110 del T.U.I.R. (109) , solo perché la controllata Svizzera di una società tedesca , svolge un'attività di servizi media offshore , cioè un'attività destinata prevalentemente a clienti non domiciliati nel territorio elvetico, tale da statuire che non vi sia alcun tipo di radicamento con il territorio elvetico. Questo malgrado la stessa Agenzia delle Entrate riconosca che " Tuttavia , l'esistenza in loco di detta struttura non si ritiene sufficientemente indicativa (!) di un'attività effettivamente radicata nel territorio, da parte della società che fornisce servizi "immateriali" destinati a clientela estera. L'esistenza soltanto della sede ovvero dell'attività decisionale della società non è, conseguentemente, (!) a far sì che la stessa attività possa considerarsi effettivamente svolta nel territorio ai sensi dell'art. 110, comma 11 del T.U.I.R. Data l'assenza di un collegamento strutturale con l'economia locale, perdono consistenza anche le ragioni giuridico-economiche che possano giustificare la costituzione della società in Svizzera ". (!)
Applicando questi "orientamenti" ad una Filiale UE, si può facilmente immaginare come in sede di accertamento le "ragioni" del contribuente saranno praticamente confutate e del tutto ignorate (110) .
Eppure, l'efficacia dei controlli fiscali, al fine di evitare che il contribuente possa sottrarsi al proprio obbligo tributario, è assicurata dalla direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette (GU L 336, pag. 15), come modificata dalla direttiva del Consiglio 16 novembre 2004, 2004/106/CE (GU L 359, pag. 30), che permette ad uno Stato membro di chiedere alle autorità competenti di un altro Stato membro tutte le informazioni che gli possono essere necessarie ed utili per l'accertamento d'imposta in quest'altro Stato membro (111) (112) .
Ne discende che l'unica vera prova che dovrebbe essere fornita dalla Filiale UE, senza alcun obbligo di interpello preventivo, risiede in un certificato rilasciato dall'amministrazione tributaria dello Stato della sede attestante l'effettiva residenza fiscale della società, peraltro prassi conforme ai fini dell'applicazione dei trattati contro le doppie imposizioni.
Il certificato consentirà di verificare la condizione di soggetto passivo alla locale imposta sul reddito delle società, interpretata come assoggettabilità di carattere generale ad imposizione () , soddisfatta da tutte quelle società potenzialmente soggette all'IRES (o alle corrispondenti imposte cui sono soggetti le società e gli enti non residenti), indipendentemente dalla circostanza che " godono, di fatto, di agevolazioni comunque compatibili con la normativa comunitaria " (113) .
Ciò non implica che sia precluso all'amministrazione tributaria italiana, qualora nutra dei dubbi, di accertarsi della realtà in questione ricorrendo alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette ovvero avviando proprie indagini e, quindi, con onere della prova a carico della stessa amministrazione italiana (114) .
Conclusivamente, le disposizioni di cui all'art. 73, commi 5- bis , ter e quater del D.P.R. n. 917/1986, violano i precetti degli artt. 43 e 48 del Trattato CE, risolvendosi sul piano in una presunzione assoluta e predeterminata di evasione/elusione fiscale, laddove è posto ad esclusivo carico della società l'onere della prova. Ciò in aperta violazione anche dei principi di equivalenza ed effettività della prova , in quanto la norma nazionale qui contestata rende eccessivamente difficile o addirittura praticamente impossibile alla società UE di superare la presunzione.

Nota (48): Sentenze: 7 febbraio 1979, causa 115/78, Knoors, punto 25; 3 ottobre 1990, causa C-61/89, Bouchoucha, punto 14; Centros, cit., punto 24; Cadbury Schweppes, cit., punto 35.

Nota (49): Sentenza 28 aprile 1998, causa C-118/96, Safir.

Nota (50): In tal senso abbiamo più volte fatto riferimento alla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia delle comunità europee, secondo la quale un cittadino comunitario, persona fisica o giuridica, non può essere privato della possibilità di avvalersi delle disposizioni del Trattato solo perché ha inteso approfittare dei vantaggi fiscali offerti dalle norme in vigore in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede. (Sentenze: 11 dicembre 2003, causa C-364/01, Barbier, punto 71 e Cadbury Schweppes, cit., punto 36. Risulta poi dalla giurisprudenza della Corte che un imprenditore ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale . In particolare, sentenze: 6 aprile 1995, causa C-4/94, BLP Group, punto 22; 9 ottobre 2001, causa C-108/99, Cantor Fitzgerald International, punto 33; 21 febbraio 2006, causa C-255/06, Halifax plc, punto 73). Quanto alla libertà di stabilimento, la Corte ha già dichiarato che la circostanza che la società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà (sentenze: Centros, cit., punto 27, e Inspire Art, cit., punto 96. Peraltro, a maggior rigore, occorre sottolineare come la Corte abbia già affermato che l'art. 43 CE (così come l'art. 39 CE) è applicabile già prima che venga intrapresa un'attività economica in un altro Stato membro; in tal modo dette disposizioni garantiscono che un cittadino di uno Stato membro possa recarsi e trattenersi in un altro Stato membro per cercare un'attività autonoma o dipendente (Sentenza 8 aprile 1976, causa 48/75, Royer, punti 31-33).

Nota (51): Comunicazione della Commissione Com (2007) 785 definitivo del 10 dicembre 2007, pagg. 3 e 4.

Nota (52): Sentenza 26 ottobre 1999 causa C-294/97, Eurowings Luftverkehrs AG, punto 44.

Nota (53): Come precisa codesta Commissione Europea (Com (2007) 785), per essere giustificate, le norme antiabuso devono essere circoscritte a situazioni in cui sussiste un ulteriore elemento di abuso . Nella giurisprudenza recente (causa Cadbury) la Corte di giustizia ha sostenuto che l'insediamento di una società è da quando, sulla base di elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi, in particolare a livello della sua presenza fisica in termini di locali, di personale e di attrezzature, , ossia una società reale che svolge attività economiche effettive e non una società "fantasma" o "schermo".

Nota (54): Cadbury Schweppes, cit., punti 36-38.

Nota (55): Conclusioni dell'AG Léger nella causa Cadbury Schweppes, cit., punti 55-60.

Nota (56): Comunicazione della Commissione Europea dell'11 novembre 1998, GU C 384/98, in particolare il punto 13.

Nota (57): L'argomento è stato trattato per la prima volta nel caso Elisa (11 ottobre 2007, causa C-451/05). Si trattava di una Holding lussemburghese del 1929 assoggettata all'imposta sul valore commerciale degli immobili posseduti in Francia. La normativa francese, considerata contraria all'art. 56 del Trattato CE dalla sentenza, produceva l'effetto di assoggettare ad imposta la proprietà immobiliare detenuta da persone giuridiche utilizzate (presuntivamente) come "schermo" da persone fisiche che sarebbero altrimenti soggette all'imposta sul patrimonio. L'imposta consentiva, pertanto, di contrastare, o quanto meno di rendere meno attraenti tali prassi, le quali, secondo lo Stato francese, non perseguono altro scopo che quello di eludere il pagamento dell'imposta sul patrimonio, altrimenti dovuta dalle persone fisiche in Francia. Nelle sue considerazioni, punti 114-117, l'AG J. Mazak concludeva che benché il regime giuridico lussemburghese applicabile alle holding 1929 è stato citato nella relazione del gruppo "Codice di condotta", incaricato di valutare le misure nazionali cui il detto codice può essere applicato, come esempio di misura dannosa, " ... ... questi elementi non possono influire sulla portata dei diritti conferiti agli operatori economici in forza delle libertà fondamentali. Come risulta dal suo preambolo, il Codice di condotta (Risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti di governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio del 1 dicembre 1997 su un codice di condotta in materia di tassazione delle imprese in GU 1998 C-2, pag. 2), costituisce un impegno politico e non pregiudica pertanto i diritti e gli obblighi degli Stati membri, né le rispettive competenze degli Stati membri e della Comunità derivanti dal Trattato. La menzione delle holding 1929 fra le misure fiscali nazionali dannose per il mercato unico non può dunque limitare il diritto riconosciuto a un investitore dal Trattato, in particolare ai sensi dell'art. 56 CE, di effettuare investimenti in un particolare Stato membro pur mantenendo la propria sede della direzione effettiva in un altro Stato membro, anche se tale investitore abbia una struttura societaria soggetta ad un sistema fiscale reputato dannoso per il mercato unico. La circostanza che le holding 1929 siano state qualificate come aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune non modifica quest'analisi. Infatti il Trattato, agli artt. 87 CE e 88 CE, contiene disposizioni specifiche volte ad assicurare la verifica della compatibilità di una tale misura con il mercato comune e ad annullarne gli effetti pregiudizievoli per quest'ultimo. La circostanza che una struttura societaria siffatta, ed il relativo sistema fiscale, non siano conformi alle regole del Trattato non può dunque autorizzare uno Stato membro a prendere misure unilaterali per combatterne gli effetti limitando la libertà di circolazione. Di conseguenza, un argomento basato sul carattere dannoso di uno specifico regime fiscale nazionale o di una struttura societaria non può essere accettato, in quanto tale, per giustificare il generale diniego di un'agevolazione fiscale, in forma di esenzione, a un'intera categoria di persone giuridiche con domicilio in un altro Stato membro. ".

Nota (58): Sentenze: 7 febbraio 1979, causa 115/78, Knoors, punto 25; 3 ottobre 1990, causa C-61/89, Bouchoucha, punto 14; Centros, cit., punto 24.

Nota (59): Soccorre, comunque, distinguere il legittimo insediamento effettivo delle società, normalmente operanti in uno Stato membro, dalle che potrebbero avere come scopo il trasferimento di utili. In quest'ultimo caso saremmo in presenza di " pratiche artificiose " che sicuramente legittimano gli SM a provvedere a norme di contrasto. Peraltro, i sistemi tributari dei maggiori Paesi industrializzati già prevedono disposizioni di chiusura e garanzia, quali quelle di trasfer pricing , basate sull' arm's lenght principle , che trova idoneo e pertinente riscontro nelle convenzioni contro le doppie imposizioni.

Nota (60): In tal senso, sentenze: ICI, cit., punto 26; 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst, punto 37; De Lasteyrie du Saillant, cit., punto 50; Marks; Spencer, cit., punto 57; Cadbury Schweppes, cit., punto 55; 2 maggio 2006, causa C-341/04, Eurofood IFSC, punti 34 e 35.

Nota (61): Sentenza Cadbury Schweppes, cit., punti 65 e 66.

Nota (62): Cadbury Schweppes, cit., punto 55. Per cui le costruzioni meramente artificiose sono tali da violare il diritto degli Stati membri di esercitare la propria competenza fiscale in relazione alle attività svolte sul loro territorio e da compromettere, così, un'equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri (sentenze Marks; Spencer e Schweppes).

Nota (63): Sentenze: ICI, Commissione/Belgio, X e Y, Commissione/Francia.

Nota (64): Cadbury Schweppes, cit., punto 46.

Nota (65): In tal senso sentenze: Eurofood IFSC, cit., punti 34 e 35; Cadbury Schweppes , cit., punti 67 e 68.

Nota (66): Occorre precisare che la "presenza fisica" della società in termini di locali, di personale e di attrezzature, è salvaguardata anche se quest'ultima ricorre a servizi o a prestazioni di terzi, anche in outsourcing . In definitiva si deva trattare di una entità funzionante in normale regime d'impresa, compenetrata nell'economia dello Stato membro di residenza, a nulla conferendo le eventuali decisioni connesse al risparmio degli oneri di gestione. Diversamente interpretando, si avrebbe che solo con l'assunzione diretta di personale, la stipula di un contratto di affitto, l'acquisto o il noleggio di attrezzature, sarebbero soddisfatte le condizioni di un insediamento effettivo della società interessata nello Stato membro e l'esercizio di un'attività economica reale; non è questa la definizione di "collegamento stabile" inteso dalla Corte di Giustizia. La nozione di stabilimento di cui alle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento implica l'esercizio effettivo di un'attività economica per una durata di tempo indeterminata , mercé l'insediamento in pianta stabile in un altro Stato membro (sentenze: Factortame; Commissione/Regno Unito ).

Nota (67): Causa C-341/04, cit.

Nota (68): Punti 34 e 36.

Nota (69): Punto 36.

Nota (70): Punti 119, 120 e 121 delle Conclusioni dell'Avv. generale Jocobs nella causa Eurofood IFSC, cit., e punti 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36 e 37 della Sentenza.

Nota (71): Punti 122 e 123 delle Conclusioni dell'Avv. generale Jocobs nella causa Eurofood IFSC

Nota (72): Eurofood IFSC, cit., punto 37.

Nota (73): Citata nella circ. 28/E richiamata alla nota n. 5 e allagata alla presente denuncia.

Nota (74): Allo stesso modo, il fatto che la società UE investa prevalentemente il suo attivo in fondi comuni di investimento immobiliare di tipo chiuso.

Nota (75): 28 giugno 2007, causa C-73/06, punto 63.

Nota (76): Planzer AG, cit., punto 61.

Nota (77): Planzer AG, cit., punto 62.

Nota (78): Circolare n. 28/E e Risoluzione n. 409/E, cit., dell'Agenzia delle Entrate.

Nota (79): Sentenze: 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, punto 32; 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, punto 37; Inspire Art, cit., punto 133.

Nota (80): In tal senso, Sentenze: 18 dicembre 1997, cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95 e C-47/96, Molenheide e a., punto 48; 11 maggio 2006, causa C-384/04, Federation of Technological Industries e a., punti 29 e 30; 27 settembre 2007 causa C-409/04, Telos e a., punto 48).

Nota (81): Fra questi principi fondamentali vi è quello insito nell'art. 48, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea è stata solennemente proclamata prima il 7 dicembre 2000 a Nizza (GU 2000 C 364, pag. 1) e successivamente il 12 dicembre 2007 a Strasburgo (GU 2007, C 303, pag. 1), che alla lettera c) dispone , che nel caso di specie non può considerarsi assolto solo perché il contribuente, a discrezione degli uffici tributari, che la società UE è stabilmente residente in altro Stato membro. Sebbene la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea non abbia ancora effetti giuridici vincolanti equiparabili a quelli del diritto primario, essa fornisce, quantomeno come fonte giuridica di riferimento, indicazioni sui diritti fondamentali garantiti dall'ordinamento giuridico comunitario. Sul punto anche le sentenze 27 giugno 2006, causa C-540/03, Parlamento/Consiglio, punto 38 e sentenza 13 marzo 2007, causa C- 432/05, Unibet, punto 37.

Nota (82): Sentenze: ICI, cit, punto 28; 6 giugno 2000, causa C- 35/98, Verkooijen, punto 59; 12 dicembre 2002, causa C- 324/00, Lankhorst-Hohorst Gmbh, punto 36.

Nota (83): Sentenze: 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint-Gobain ZN, punto 51; 26 ottobre 1999, causa C-294/97, Eurowings Luftverkehrs, punto 44; 3 ottobre 2002, causa C-136/00, Danner, punto 56; 26 giugno 2003, causa C-422/01, Skandia e Ramsted, punto 53.

Nota (84): Sentenze: 26 settembre 2000, causa C-478/98, Commissione/Belgio, punto 45; ICI, cit., punto 26; X e Y, cit., punto 62; Lankhorst-Hohorst Gmbh, cit., punto 37. Infatti, secondo la Corte, lo stabilimento di una "società" fuori da uno stato membro non comporta, di per sé, una evasione fiscale, se la stessa è comunque soggetta alla legge fiscale dello Stato di stabilimento (cioè di residenza). Sentenza 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e altri, punto 57.

Nota (85): Sentenze: 15 maggio 1997, causa C-250/95, Futura Participations e Singer; 14 settembre 2006, C-386/04, Centro di Musicologia Walter Stauffer.

Nota (86): Avv. Generale Jean Mischio nelle osservazioni sulla causa C-436/00 X,Y e Riksskatteverket.

Nota (87): Lankhorst-Hohorst Gmbh, cit., punto 37.

Nota (88): Sentenze della Corte di Giustizia Cadbury Schweppes, punto 47; 15 maggio 1997, C-250/95, Futura Participations e Singer, punto 26; 17 luglio 1997, C-28/95, Leur-Bloem, punto 48;1 1 marzo 2004, C-9/02, De Lasteyrie du Saillant, punto 49, C-446/03 del 13 dicembre 2005, Marks & Spencer, punto 35 e sentenze citate alla nota 79.

Nota (89): Allegato n. 7. Si tratta di una Istanza d'interpello, con la quale una società di capitali olandese riteneva che sussistessero elementi di fatto, situazioni ed atti idonei a dimostrare che la sede di direzione effettiva della società, prevista dall'articolo 4, comma 3 della Convenzione Italia-Paesi Bassi, intesa come il luogo in cui è localizzabile la "testa" della società, dove si decide l' an , il quantum ed il quomodo del reddito che potrà poi essere materialmente prodotto altrove, sia concretamente radicata in Olanda, elementi, dunque, tali da vincere la presunzione di cui all'art. 73, comma 5-bis del T.U.I.R.

Nota (90): Art. 11 della legge n. 212/2000 e articolo 1 del D.M. n. 209 del 26 aprile 2001. Allegati n. 8 e 9.

Nota (91): Secondo l'Agenzia delle Entrate " ... la questione posta dall'istante non poggia sulla prospettazione di obiettive condizioni di incertezza relative all'interpretazione dell'articolo 73, comma 5 bis del T.U.I.R., ma attiene, piuttosto, al giudizio di merito sulla validità degli elementi di prova da essa addotti per superare la presunzione di residenza in Italia voluta dal legislatore nazionale. ".

Nota (92): Si veda allegato n. 5.

Nota (93): Per i non residenti la possibilità di presentare interpelli è limitata ai casi disciplinati dall'art. 8 dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (ruling internazionale), convertito nella Legge 24 novembre 2003 n. 326, che non contempla l'ipotesi di residenza fiscale. Allegato n. 10.

Nota (94): Peraltro, allo stato attuale, la presunzione non può essere disapplicata seppur in presenza di una certificazione di residenza rilasciata dalle autorità estere, per esempio ai fini dell'applicazione dei trattati contro le doppie imposizioni; anche in simili circostanze, infatti, il contribuente sarà tenuto a dare prova della effettiva residenza fiscale e quindi sostanzialmente della localizzazione della gestione e direzione societaria. Ma questa, come per gli altri casi, non è fattispecie prevista dall'ordinamento italiano.

Nota (95): In tal senso sentenze: 15 dicembre 1987, causa 326/85, Paesi Bassi/Commissione, punto 24 e Halifax e a., cit., punto 72.

Nota (96): Sentenza 27 settembre 2007, causa C-409/04, Telos e a., punto 48, con adesione al principio della Commissione UE.

Nota (97): Anche codesta Commissione UE ritiene che " ... per garantire che transazioni e insediamenti effettivi non vengano indebitamente sanzionati è essenziale che, ove si presuma l'esistenza di una costruzione di puro artificio, il contribuente sia messo in grado, senza eccessivi oneri amministrativi, di produrre elementi relativi alle eventuali ragioni commerciali per le quali tale transazione è stata conclusa. La misura in cui al contribuente può spettare l'onere di dimostrare che le transazioni commerciali si sono svolte in buona fede si può determinare solo caso per caso. ... " (Com 785/2007).

Nota (98): Peraltro, la norma finisce talvolta per essere essa stessa contraria persino all'ordinamento tributario italiano. In due recenti sentenze (21 maggio 2008 n. 25374 e 21 gennaio 2009 n. 1465), la Suprema Corte di Cassazione ha statuito:
- Lo strumento dell'abuso di diritto deve essere utilizzato dall'amministrazione finanziaria con particolare cautela, dovendosi sempre tener presente che l'impiego di forme contrattuali e/o organizzative che consentano un minor carico fiscale costituisce esercizio della libertà d'impresa e di iniziativa economica, nel quadro delle libertà fondamentali riconosciute dalla Costituzione e dall'ordinamento comunitario.
- In tema di abuso del diritto, l'amministrazione finanziaria deve precisare gli aspetti che fanno ritenere che l'operazione del contribuente è priva di reale contenuto economico diverso dal risparmio di imposta. Incombe all'amministrazione finanziaria ridefinire l'alternativa accettabile all'operazione ritenuta abusiva del contribuente.

Nota (99): Sentenze: Telos e a, cit. punto 51; 18 dicembre 1997, causa C-286/94, Molenheide e a., punto 46.

Nota (100): Sentenze: 11 maggio 2006, causa C-384/04, Federation of Technological Industries e a., punto 30; Molenheide e a., cit., punto 47.

Nota (101): Sentenze: 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, punto 40; 17 luglio 1997 causa C-28/95, Leur- Bloeum, punto 41.

Nota (102): Sentenza Leur- Bloeum, cit. punto 44.

Nota (103): Peraltro, codesta Commissione UE nel procedimento di infrazione n. 2007/4575 nei confronti dell'Italia, avente ad oggetto la presunzione che la base imponibile I.V.A. per la cessione di immobili sia il valore normale, ha ritenuto che anche se la presunzione può essere confutata producendo prove atte a dimostrare che il valore indicato nella dichiarazione IVA corrisponde al corrispettivo effettivamente ricevuto, questa disposizione sia sproporzionata in quanto trasferisce l'onere della prova sui soggetti passivi in assenza di qualsiasi prova di frode fiscale.

Nota (104): Rif. nota n. 20.

Nota (105): Allegato n. 11 - art. 167, comma 5, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.).

Nota (106): Allegato n. 12 - art. 110, comma 11, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.).

Nota (107): Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 187/E del 5 maggio 2008. Allegato n. 13.

Nota (108): Eliminando in radice la circostanza che la società poteva essere "domiciliata" presso uno studio legale.

Nota (109): Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 100/E dell'8 aprile 2009. Allegato n. 14.

Nota (110): Sulla discriminante della dimensione della struttura si vedano le Risoluzioni dell'Agenzia delle Entrate n. 288/E dell'11 ottobre 2007 (Allegato n. 15), e la recente e n. 165/E del 22 giugno 2009 (Allegato n. 16).

Nota (111): In tal senso sentenze: 28 ottobre 1999, causa C-55/98, Vestergaard, punto 26; 26 giugno 2003, causa C-422/01, Skandia e Ramstedt, punto 42; Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit., punto 71; Centro di Musicologia Walter Stauffer, cit., punto 50; "N", cit., punti 52 e 53.

Nota (112): Peraltro, le Convenzioni volte ad evitare la doppia imposizione, prevedono una clausola generale, detta di assistenza alla riscossione, con la quale gli Stati si impegnano ad accordarsi reciproco aiuto per riscuotere le imposte oggetto della convenzione.

Nota (113): Sul punto si veda la Circ. dell'Agenzia delle Entrate n. 26/E del 21 maggio 2009 in relazione alle modifiche intervenute alle ritenute sui dividenti corrisposti alle società e agli enti residenti nella UE e nei Paesi aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo (Allegato n. 17).

Nota (114): Nello stesso senso sentenza Planzer, cit., punto n. 50.

Art. 6

5. Verifica della sussistenza dei requisiti di diretta applicabilità della norma comunitaria

Benché la materia delle imposte dirette rientri nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitare tale competenza nel rispetto del diritto comunitario (115) .
Pertanto, eventuali disposizioni tributarie in conflitto con il Trattato CE devono considerarsi non applicabili.

Nota (115): Sentenze: 11 agosto 1995, C-80/94, Wielockx, punto 16; Verkooijen, cit., punto 32; 4 marzo 2004, C-334/02, Commissione/Francia, punto 21; 15 luglio 2004; Lenz, cit., punto 19; 14 novembre 2006, C-513/04, Mark Kerckhaert, punto 15; sentenze 29 aprile 1999, causa C-311/97, Royal Bank of Scotland, punto 19; 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen, punto 19, e Marks & Spencer, cit, punto 29.

Art. 7

6. Considerazioni ricognitive e conclusive della commissione di studio

Da quanto richiamato nelle pagine che precedono, risulta che le disposizioni recate dall'art. 73, commi 5- bis , 5- ter e 5- quater del Testo unico delle imposte sui redditi confliggono con gli articoli 43 e 48 del Trattato CE e ne offendono lo spirito, costituendo un'insopportabile ed illegittima duplice discriminazione e restrizione alla libertà di stabilimento.
In particolare, l'inversione dell'onere della prova costituisce un'evidente discriminazione/restrizione alla libertà di stabilimento poiché:
- costituisce una misura "eccessiva" rispetto allo scopo di contrastare "pratiche intese a null'altro che ad eludere l'imposta normalmente dovuta sul reddito d'impresa" e di dare "efficacia ai controlli fiscali" in quanto, colpisce indiscriminatamente tutti quei soggetti che intendono costituire, acquisire o mantenere una società residente in altro Stato membro, che detenga il controllo di una società residente in Italia o allorché investa prevalentemente il suo patrimonio in OICVM immobiliari di tipo chiuso. E non sfuggono alla presunzione de qua nemmeno le società comunitarie il cui organo di gestione sia composto in maggioranza da persone residenti in Italia, qualora detengano una partecipazione di controllo in una società residente in Italia: è di tutta evidenza, difatti, che in questo caso la presunzione colpisce anche le società UE i cui soci siano residenti in altri Stati membri;
- costituisce una strenua ed ingiustificata difesa alla "" la quale, secondo una giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, non può essere considerata come una ragione imperativa di interesse generale che possa essere fatta valere per giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento. Infatti, un simile obiettivo è di natura puramente economica e non può pertanto costituire una ragione imperativa di interesse generale.
E' indubbio che anche solo il pericolo di una " doppia imposizione " comporta, di per sé, una misura che inibisce significativamente la decisione di qualsiasi persona (fisica o giuridica) a utilizzare una società UE per gli investimenti in Italia. Non ne limita solo il desiderio, ma altresì incide significativamente nella sfera dei suoi interessi economici e patrimoniali, allorché alla base del trasferimento, vi sia un potenziale accordo con un altro operatore economico ovvero una opportunità da sfruttare per la crescita e lo sviluppo degli affari.
La pervicacia del sistema tributario italiano che fonda la presunzione sulla mera detenzione di una partecipazione di controllo in una società residente in Italia o del prevalente investimento del patrimonio in fondi immobiliari di tipo chiuso, non può essere considerata, proprio perché iniqua, motivo giustificato per combattere un'evasione fiscale, oltre a rappresentare una misura assolutamente sproporzionata.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia appare puntuale e precisa nel censurare misure che vietano, ostacolano o scoraggiano l'esercizio la libertà di stabilimento, qual'è la norma recata dall'art. 73, commi 5- bis , 5- ter e 5- quater del T.U.I.R. (116) .
La detenzione di Filiali UE non può costituire una forma di abuso qualora chiunque intenda insediarsi in altro Stato della comunità per avvalersi di regole per la determinazione del reddito fiscale più favorevoli. Non si tratta di artifizi elusivi o di comportamenti evasivi, ma di decisione volta ad un legittimo risparmio di imposta, cioè di contenere un flusso finanziario a favore dello sviluppo dell'impresa ovvero a migliorare la remunerazione dei soci, quand'anche, ma non necessariamente, fosse il motivo prevalente.
Un soggetto italiano, sia esso persona fisica o giuridica, deve poter usufruire della libertà ex artt. 43 e 48 del Trattato qualora intenda insediare un'attività economica in un altro Stato membro, eventualmente insieme con altri soggetti residenti in altro Stato comunitario, a prescindere dalla circostanza che la sua filiale investa il suo capitale nel controllo, diretto o indiretto, di una società residente in Italia.
Dalla sentenza Centros si ricava il principio fondamentale secondo il quale, " ... il fatto che un cittadino di uno Stato membro che desideri creare una società scelga di costituirla nello Stato membro le cui norme di diritto societario gli sembrino meno severe e crei succursali in altri Stati membri non può costituire di per sé un abuso del diritto di stabilimento. Infatti, il diritto di costituire una società in conformità alla normativa di uno Stato membro e di creare succursali in altri Stati membri è inerente all'esercizio, nell'ambito di un mercato unico, della libertà di stabilimento garantita dal Trattato " (117) .
Inoltre, " ... il fatto che una società non svolga alcuna attività nello Stato membro in cui essa ha la sede e svolga invece le sue attività unicamente nello Stato membro della sua succursale non è sufficiente a dimostrare l'esistenza di un comportamento abusivo e fraudolento, che consenta a quest'ultimo Stato membro di negare a tale società di fruire delle disposizioni comunitarie relative al diritto di stabilimento " (118) .
Il diritto di stabilimento è essenziale per l'attuazione degli obiettivi prefigurati dal Trattato, che intende garantire, indistintamente a tutti i cittadini comunitari, la libertà di intrapresa economica, attraverso gli strumenti apprestati dal diritto nazionale, assicurando loro la chance di inserimento nel mercato, quali che siano gli intenti da cui il beneficiario possa esser mosso in concreto. " Altrimenti detto, è l'opportunità di iniziativa economica ad essere tutelata, ed insieme con essa la libertà negoziale di giovarsi degli strumenti a tal fine predisposti negli ordinamenti degli Stati membri " (119) .
Per cui é perfettamente legittimo tener conto di considerazioni di ordine fiscale per decidere dove creare uno stabilimento secondario. L'obiettivo di ridurre al minimo l'onere fiscale costituisce di per sé una considerazione commerciale valida, purché le costruzioni attuate a questo fine non siano .
Ne discende, conseguentemente, che non si è in presenza di una forma di tutte le volte in cui la società eserciti " effettivamente " un'attività economica per una durata di tempo indeterminata, mercé l'insediamento in pianta stabile in un altro Stato membro, e la stessa società eserciti in modo abituale la gestione dei suoi interessi secondo modalità riconoscibili da terzi ed in osservanza completa e regolare della sua stessa identità societaria nello Stato membro dove è situata la sua sede statutaria, sì che requisiti di trasparenza e riconoscibilità siano, per definizione, soddisfatti (120) .
Peraltro, la Corte di Giustizia, per la giurisprudenza sopra richiamata, da sempre sostiene che:
- la riduzione delle entrate fiscali " ... non può essere considerata come un motivo imperativo di interesse generale che possa essere fatto valere per giustificare un provvedimento in linea di principio in contrasto con una libertà fondamentale " (121) ;
- " ... ... una presunzione generale di evasione o di frode fiscale non può giustificare una misura fiscale che pregiudichi l'esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato " (122) ;
- inoltre, perché una disposizione anti-abuso o anti-evasione possa essere accolta, in tema di libertà fondamentali del Trattato deve, non solo essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito, ma necessita anche " ... ... che essa non restringa le libertà fondamentali derivanti dal diritto comunitario in maniera eccessiva rispetto a quanto necessario per conseguire detto obiettivo ... "; va da sé che non deve nemmeno provocare una disparità di trattamento in base alla residenza, vietata dal trattato (123) .
Nel merito, pertanto, l'art. 73, commi 5- bis , ter e quater del D.P.R. n. 917/1986, finisce per fondare una presunzione generale di frode fiscale , misura che pregiudica l'esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato.
L' inversione dell'onere della prova si appalesa, dunque, misura sproporzionata ed eccessiva rispetto al fine perseguito. Infatti, occorre ricordare che la Corte di Giustizia ha già avuto modo di dichiarare (124) che, conformemente al principio di proporzionalità, gli Stati membri devono avere ricorso a mezzi che, pur consentendo di raggiungere efficacemente l'obiettivo perseguito dal diritto interno, portino il minor pregiudizio possibile agli obiettivi e ai principi stabiliti dalla normativa comunitaria controversa. Così, se è legittimo che i provvedimenti adottati dagli Stati membri tendano a preservare il più efficacemente possibile i diritti dell'Erario, essi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine (125) .
Inoltre, anche fosse latente o potenziale il rischio di evasione, per accertare se l'operazione ha quale intento l'evasione fiscale, " ... ... le autorità nazionali competenti non possono limitarsi ad applicare criteri generali predeterminati, ma devono procedere, caso per caso, ad un esame globale dell'operazione, ... e tale esame deve poter essere oggetto di sindacato giurisdizionale " (126) .
Sul piano delle conseguenze pratiche l'art. 73, commi 5- bis , ter e quater del D.P.R. n. 917/1986, finisce per istituire una norma di di frode od evasione fiscale di portata generale, corredata di un'ampia discrezionalità lasciata all'autorità amministrativa, a prescindere da un'effettiva evasione o frode fiscale, ed eccede quanto è necessario per evitare una tale frode o evasione fiscale pregiudicando gli obiettivi perseguiti dagli artt. 43 e 48 del Trattato CE (127) .
La conclusione di cui sopra è ulteriormente avvalorata da fatto che le norme domestiche negano ogni tipo di procedura di verifica "preventiva", sì che la presunzione di residenza si circoscrive in sede di accertamento e nel successivo ambito processuale in fase di impugnazione dell'avviso di accertamento, con indesiderati oneri finanziari che la società UE dovrà sopportare a titolo di imposte, sanzioni, interessi e costi per il contenzioso.
Non è, infatti, permesso alle società UE di presentare:
- un interpello ordinario "conoscitivo/ricognitivo" al fine di rappresentare la situazione di fatto ed ottenere dall'amministrazione italiana una valutazione su condizioni e presupposti di applicabilità della norma;
- un interpello "antielusivo" ai sensi dell'art. 37- bis D.P.R. n. 600/73, disapplicativo della presunzione ex art. 73/917, fornendo le prove dell'insediamento nello Stato di sede e direzione effettiva, perché fattispecie non prevista dalla norma.
Non vi è, pertanto, nemmeno possibilità per la società comunitaria di fornire, , alcuna prova liberatoria per vincere la presunzione, sì che in assenza di una procedura preventiva o di regole puntuali le disposizioni qui contestate hanno l'effetto di imporre un regime di probatio diabolica .
Eppure, il principio di certezza del diritto s'impone con rigore particolare quando si tratta di una normativa idonea a comportare oneri finanziari, al fine di consentire agli interessati di conoscere con esattezza l'estensione degli obblighi che essa impone loro (128) . Ne consegue che è necessario che i soggetti passivi abbiano conoscenza dei loro obblighi fiscali (129) (130) .
Lo Stato italiano non si è posto minimamente il problema che il contribuente possa subire una doppia imposizione , sia in Italia che nello Stato di costituzione e sede della Filiale UE (131) . Nell'esercizio della propria potestà impositiva ha inteso solo semplificare ed agevolare il compito all'amministrazione finanziaria, senza prevedere alcuna norma di garanzia preventiva e senza nemmeno dover provare l'esistenza reale della sede di direzione effettiva.
Eppure, l'efficacia dei controlli fiscali, al fine di evitare che il contribuente possa sottrarsi al proprio obbligo tributario, è assicurata dalla direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette (GU L 336, pag. 15), come modificata dalla direttiva del Consiglio 16 novembre 2004, 2004/106/CE (GU L 359, pag. 30), che permette ad uno Stato membro di chiedere alle autorità competenti di un altro Stato membro tutte le informazioni che gli possono essere necessarie ed utili per l'accertamento d'imposta in quest'altro Stato membro (132) (133) .
Inoltre, le norme interne domestiche in tema di accertamento non prevedono (escludendo quindi la fattispecie in radice) che possa superarsi la presunzione neppure in presenza di una certificazione di effettiva residenza (fiscale) rilasciata dalle autorità estere, per esempio ai fini dell'applicazione dei trattati contro le doppie imposizioni; in simili circostanze, infatti, il contribuente é tenuto a dare prova della effettiva residenza fiscale e quindi sostanzialmente della localizzazione della gestione e direzione societaria.
In realtà, la sola e unica che fornire la Filiale UE dovrebbe essere costituita da certificato rilasciato dall'amministrazione tributaria dello Stato della sede attestante l'effettiva residenza fiscale della società e l'assoggettabilità alla locale imposta sui redditi , senza che ciò implichi che sia precluso all'amministrazione tributaria italiana, qualora nutra dei dubbi, di effettuare i debiti accertamenti avviando proprie indagini e, quindi, con onere della prova a carico della stessa amministrazione (134) .
La certificazione consentirà, pertanto, di verificare la condizione di soggetto passivo alla locale imposta sul reddito delle società, interpretata come assoggettabilità di carattere generale ad imposizione () , soddisfatta da tutte quelle società potenzialmente soggette a corporate tax , indipendentemente dalla circostanza che " godono, di fatto, di agevolazioni comunque compatibili con la normativa comunitaria ".
A giudizio di questa Commissione di Studio, infatti, anche ove permesso, un " interpello preventivo " non risolverebbe in radice l'ampia discrezionalità di valutazione di cui beneficia oggi l'amministrazione italiana (135) .
Meglio, dunque, che la "prova" sia costituita da una certificazione da cui risulti che la Filiale UE disponga nel proprio Stato di una sede di direzione effettiva della sua attività economica e assoggettabile ad imposizione.
Conclusivamente, le disposizioni di cui all'art. 73, commi 5- bis , 5- ter e 5- quater del D.P.R. n. 917/1986, violano i precetti degli artt. 43 e 48 del Trattato CE, risolvendosi in una presunzione assoluta e predeterminata di evasione/elusione fiscale, laddove è posto ad esclusivo carico della società l'inversione dell'onere della prova. Ciò in aperta violazione anche dei principi di equivalenza ed effettività della prova , in quanto la norma nazionale qui contestata rende eccessivamente difficile o addirittura praticamente impossibile alla società UE di superare la presunzione.
Vi è, inoltre, la discriminazione fondata sulla residenza degli amministratori, al pari di quella dei soci, che costituisce un ulteriore elemento di illegittimità della disposizione interna con gli articoli 14, 18, 39, 49 e 50 in tema di libera circolazione delle persone e dei servizi.
In definitiva la scrivente Commissione di Studio ritiene che le denunciate disposizioni dettate dall'art. 73, commi 5- bis , 5- ter e 5- quater del T.U.I.R. D.P.R. n. 917/1986 costituiscano una grave restrizione e discriminazione della libertà di stabilimento, attuata in conflitto con i dettami enunciati dagli articoli 43 e 48 del Trattato CE nonché con gli articoli 14, 18, 39, 49 e 50 in tema di libera circolazione delle persone e dei servizi e, di conseguenza, auspica che codesta Commissione Europea, nell'ambito dei suoi compiti di vigilanza e di tutela del diritto comunitario, possa presto intraprendere un'adeguata azione nei confronti dello Stato italiano ai fini di un sollecito superamento del segnalato conflitto normativo.

Nota (116): Sentenze: 15 gennaio 2002, causa C-439/99, Commissione/Italia, punto 22; 30 marzo 2006, causa C-451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti, punto 31; 13 marzo 2008, causa C-248/06, Commissione/Spagna, punto 21 e 4 dicembre 2008, causa C-330/07, Jobra, punto 19.

Nota (117): Sentenza Centros, cit, punto 27; 30 settembre 2003, causa C-167/01, Inspire Art, punti, 96 e 138.

Nota (118): Sentenze: Centros, cit, punto 28; 10 luglio 1986, causa 79/85, Segers, punto 16; Inspire Art, cit. punto 139.

Nota (119): Punto 20 delle conclusioni dell'avv. Generale La Pergola sul caso Centros Ltd., cit. La Corte aveva già da tempo sancito solennemente la diretta applicabilità delle disposizioni del Trattato nei casi Reyners (sentenza 21 giugno 1974, causa 2/74) e Van Binsbergen (3 dicembre 1974, causa 33/74), relativamente al diritto di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi, riconoscendo ad ogni cittadino comunitario un diritto individuale di stabilirsi e di esercitare la propria attività professionale in qualsiasi Paese della CE.

Nota (120): In tal senso sentenze: Eurofood, Planzer, Scheppes, cit.

Nota (121): Sentenze: 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, punto 28; 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkooijen, punto 59; 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst Gmbh, punto 36.

Nota (122): Sentenze: 26 settembre 2000, causa C-478/98, Commissione/Belgio, punto 45; 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, punto 26; 21 novembre 2002, causa C-436/00, punto 62; 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst Gmbh, punto 37.

Nota (123): Sentenza: 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst Gmbh, punto 37.

Nota (124): Sentenze: Telos e a, cit. punto 51; 18 dicembre 1997, causa C-286/94, Molenheide e a., punto 46.

Nota (125): Sentenze: 11 maggio 2006, causa C-384/04, Federation of Technological Industries e a., punto 30; Molenheide e a., cit., punto 47.

Nota (126): Sentenze: 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, punto 40; 17 luglio 1997 causa C-28/95, Leur- Bloeum, punto 41.

Nota (127): Sentenza Leur- Bloeum, cit. punto 44.

Nota (128): In tal senso sentenze: 15 dicembre 1987, causa 326/85, Paesi Bassi/Commissione, punto 24 e Halifax e a., cit., punto 72.

Nota (129): Sentenza 27 settembre 2007, causa C-409/04, Telos e a., punto 48, con adesione al principio della Commissione UE.

Nota (130): Anche codesta Commissione UE ritiene che " ... per garantire che transazioni e insediamenti effettivi non vengano indebitamente sanzionati è essenziale che, ove si presuma l'esistenza di una costruzione di puro artificio, il contribuente sia messo in grado, senza eccessivi oneri amministrativi, di produrre elementi relativi alle eventuali ragioni commerciali per le quali tale transazione è stata conclusa. La misura in cui al contribuente può spettare l'onere di dimostrare che le transazioni commerciali si sono svolte in buona fede si può determinare solo caso per caso. . ... " (Com 785/2007).

Nota (131): Rif. nota n. 20.

Nota (132): In tal senso sentenze: 28 ottobre 1999, causa C-55/98, Vestergaard, punto 26; 26 giugno 2003, causa C-422/01, Skandia e Ramstedt, punto 42; Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit., punto 71; Centro di Musicologia Walter Stauffer, cit., punto 50; "N", cit, punti 52 e 53.

Nota (133): Peraltro, le Convenzioni volte ad evitare la doppia imposizione, prevedono una clausola generale, detta di assistenza alla riscossione, con la quale gli Stati si impegnano ad accordarsi reciproco aiuto per riscuotere le imposte oggetto della convenzione.

Nota (134): Nello stesso senso sentenza Planzer, cit., punto n. 50.

Nota (135): Peraltro, la risposta dell'Amministrazione finanziaria all'interpello privando il contribuente di uno strumento (preventivo) per la soluzione del suo caso fiscale. Il contribuente deve, quindi, decidere nell'assoluta incertezza e questo non giova certamente al rispetto del legittimo affidamento. Sul punto si veda la Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 7/E del 3 marzo 2009, da pag. 12 a pag. 20 compresa. (Allegato n. 18).

Art. 8

Documenti successivi - Lettera Commissione Europea - 19 gennaio 2010

Art. 9

Documenti successivi - Lettera AIDC - 29 gennaio 2010

Art. 10

Documenti successivi - Lettera Agenzia delle Entrate - 12 aprile 2010

Art. 11

Documenti successivi - Lettera Commissione Europea - 4 giugno 2010

Art. 12

Documenti successivi - Lettera AIDC - 24 giugno 2010

Art. 13

Documenti successivi - Lettera Commissione Europea - 7 gennaio 2011

Art. 14

Note tecniche di commento del Relatore della denuncia Alessandro Savorana