AIDC - Sezione di Milano

Norme di comportamento N.199
Rilevanza del contenuto letterale delle fatture ai fini IVA e delle imposte sul reddito


Ai fini IVA, la prescrizione inserita nell’art. 21, commi 1 e 2, lettera g) del DPR 633/72, secondo cui
la fattura deve essere emessa e contenere, fra l’altro, l’indicazione della “natura, qualità e quantità
dei beni e servizi formanti oggetto dell’operazione”, non comporta, in caso di incompleta o
imprecisa o parzialmente erronea descrizione, l’automatica indetraibilità dell’IVA addebitata al
cliente, soggetto passivo dell’imposta, se viene dimostrato, con documenti accessori, che sono
sussistenti i requisiti sostanziali dell’operazione.

Per la deduzione del costo ai fini delle imposte dirette sul reddito, l’esistenza della fattura non è di
per sé indispensabile. Ne consegue che, ancorché spesso sia uno dei principali documenti utili alla
verifica della corretta determinazione dell’imponibile ai fini delle imposte sui redditi, nondimeno, il
contenuto della fattura non é in sé determinante. Perché siano deducibili, infatti, i costi possono
essere dimostrati con documenti accessori che consentano di valutare se siano inerenti,
determinati (o determinabili), imputati al corretto periodo d’imposta ed effettivi.

AI FINI IVA
L’art. 21, c. 2, lett. g, DPR 633/72, nel prescrivere che la fattura emessa ai sensi del 1° comma deve
indicare la “natura, qualità e quantità dei beni e servizi oggetto dell’operazione” riproduce su base
nazionale il principio contenuto nell’art. 226 punto 6 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio UE,
che prescrive l’indicazione della “quantità e natura dei beni ceduti o l’entità e la natura dei servizi
resi”. Occorre innanzi tutto sottolineare che l’art. 21 della norma italiana indica letteralmente
“natura, qualità e quantità”, mentre l’art. 226 della Direttiva specifica “entità e natura” dei servizi
resi, senza prescrivere che sia necessaria una descrizione in maniera esaustiva dell’operazione
oggetto di fatturazione.

Al di là della differenza terminologica, la descrizione richiesta dalle norme euro-unionale e nazionale è utile per chi emette la fattura e per chi la riceve e, in generale, è
indice di corretta amministrazione, secondo i principi civilistici e contabili, facilitando il controllo
interno e revisionale. In più, la fattura regolarmente compilata rappresenta la prova scritta
necessaria per ottenere la tutela in sede giurisdizionale del credito, quale dimostrazione cartolare della sussistenza dell’operazione effettuata, invertendo l’onere della prova sul debitore.

Per stabilire quali siano le conseguenze del mancato completo rispetto dell’art. 226 della Direttiva e
dell’art. 21 della Legge Italiana, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della
Corte di Giustizia UE, il diritto dei soggetti passivi (clienti) di detrarre l’IVA dovuta o versata a
monte per i beni acquistati e per i servizi loro prestati, così come sancito dall’art. 178 della stessa
Direttiva 2006/112/CE, costituisce un principio fondamentale del sistema IVA italiano e
comunitario. Il sistema delle detrazioni intende rendere neutrale per l’operatore economico l’IVA
dallo stesso assolta ai suoi fornitori, alla sola condizione sostanziale che i servizi siano utilizzati a
valle da un soggetto IVA e che, a monte, detti servizi siano forniti da un altro soggetto IVA4
e che la fattura sia stata emessa. La Corte di Giustizia ha ripetutamente affermato che il suddetto
principio fondamentale di neutralità dell’IVA esige che la sua detraibilità a monte sia accordata se
gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche quando taluni obblighi formali siano stati omessi dai
soggetti passivi. Conseguentemente, l’Amministrazione Finanziaria, una volta che dal contribuente
abbia ottenuto ogni documento accessorio, che consenta di accertare che i requisiti sostanziali
siano stati soddisfatti e che non sussiste un “atteggiamento frodatorio” del contribuente, non può
imporre limitazioni al diritto del soggetto passivo destinatario della fattura di detrarre l’imposta
sull’operazione de-quo.

Quindi, l’Amministrazione Finanziaria non può limitarsi all’esame del
contenuto della fattura, ma deve tenere conto anche delle informazioni complementari fornite dal
soggetto passivo, come, del resto, previsto anche dall’art. 219 della stessa Direttiva 2006/112/CE,
che assimila alla “fattura” tutti i documenti o messaggi che modificano, integrano e comunque
fanno riferimento in modo specifico ed inequivocabile alla fattura originariamente emessa7.

In conclusione, l’Amministrazione Finanziaria non può negare il diritto alla detrazione dell’IVA con la
sola motivazione che una fattura non rispetti formalmente i requisiti previsti dall’art. 21, comma 2,
lett. g) del DPR 633/72, qualora essa disponga dei documenti accessori e delle informazioni di
qualsiasi tipo, fornite dal contribuente, per accertare che i requisiti sostanziali per l’esercizio di
tale diritto, siccome previsti dall’art. 178 della Direttiva 2006/112/CE, sono stati nel caso specifico
soddisfatti. Resta, in ogni caso, riconosciuto il potere dell’Amministrazione finanziaria di
sanzionare l’infrazione commessa dal cedente prestatore per il mancato rispetto dei requisiti
formali dell’art. 21, c. 2, del DPR 633/728, tenendo, tuttavia, in conto che i principi euro-unionali di
proporzionalità, effettività ed equivalenza, vietano agli Stati membri di irrogare una sanzione
pecuniaria sproporzionata rispetto alla gravità dell’infrazione.

AI FINI DELLE IMPOSTE SUL REDDITO
La registrazione della fattura relativa a beni o a servizi acquisiti è eseguita per detrarre l’IVA
addebitata dai fornitori nella liquidazione periodica, ma ha l’effetto ulteriore di iscrivere in
contabilità il costo relativo. In tal modo, il documento cardine delle operazioni IVA estende la
propria rilevanza alla rilevazione contabile dell’operazione passiva, che è prodromica alla sua
deduzione dal reddito imponibile. È quindi chiaro il motivo per il quale le prime e principali
informazioni relative a un’operazione passiva sono spesso tratte dalla fattura.
D’altra parte, il Codice Civile aggiunge le fatture, alle lettere e ai telegrammi che l’imprenditore
deve tenere e conservare (artt. 2214, 2220, Cod. Civ.), oltre che esibire su richiesta (art. 2711, Cod. Civ.).

Il D.P.R. n. 600/73, inoltre, richiama la fattura:
- all’art. 14, co. 1, indirettamente, quando richiede agli imprenditori e alle società di conservare i registri IVA,
- all’art. 18, riferendosi ai soggetti in contabilità semplificata, al co. 2, quando dispone l’annotazione degli estremi della fattura (o di altro documento emesso), e al co. 4, quando statuisce in ordine alle ulteriori registrazioni che estendono la valenza dei registri IVA agli obblighi connessi alle imposte dirette,
- all’art. 19, co. 1, riferendosi agli esercenti arti e professioni, quando richiede l’annotazione dei dati delle fatture,
- all’art. 22, ultimo comma, riferendosi alla tenuta delle scritture contabili, quando impone di conservare copia anche delle fatture emesse e ricevute,
- all’art 39, co. 1, riferendosi alla rettifica dei redditi d’impresa sulla base delle scritture contabili, quando dispone di tenere conto anche delle fatture per verificare la completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili.

Data la sua rilevanza contabile, civilistica e fiscale, estesa al piano delle imposte dirette, una
fattura esaustiva in termini descrittivi consente spesso al destinatario di trarne tutti i contenuti
essenziali alla sua corretta gestione, riducendo la possibilità di errori interpretativi (non essendo
tuttavia necessario che tutte le informazioni siano contenute nel corpo della fattura, ben potendo
quest’ultima contenere riferimenti ad altri documenti).
D’altra parte, occorre tenere conto che l’art. 2709, Cod. Civ include tra le prove documentali
costituenti prova contro l'imprenditore i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a
registrazione e che il Cod. Proc. Civ., all’art. 634, considera prove scritte “gli estratti autentici delle
scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie”.
Il valore di prova documentale della fattura correttamente registrata, tuttavia, é limitato al
processo sommario. Come ricordato dalla Corte di Cassazione10, infatti, in una causa ordinaria la
fattura non costituisce prova di un rapporto giuridico, ma solo un indizio (l’emissione e la
registrazione della fattura, pertanto, è sufficiente solo per ottenere un decreto ingiuntivo nei
confronti del debitore, quando quest’ultimo non vi si opponga).
Anche ai fini delle imposte dirette, la fattura registrata conserva il valore di indizio del rapporto
controverso.
Se con il crescere della capacità della fattura di rappresentare compiutamente il rapporto
dibattuto tende a crescere il valore indiziario della fattura, il suo contenuto, pur apprezzabile, non
è determinante al fine della deduzione del costo.
La verifica della deducibilità di un costo comporta l’esame del rispetto dei principi generali di
determinazione del reddito imponibile (così come emergenti dal complesso normativo grazie
all’elaborazione della Dottrina, della Prassi e della Giurisprudenza), utilizzando ogni mezzo e
documento disponibili, senza limitarsi alla fattura (che, peraltro, non sempre deve essere emessa),
né, tanto meno, alle sue eventuali carenze formali.
Anzitutto occorre verificare se il costo sia inerente, ovvero se sia correlabile con i componenti
positivi del reddito imponibile. Non deve trattarsi, peraltro, di una correlazione specifica, essendo
sufficiente una contrapposizione economica semplice e teorica, in base alla c.d. latenza probabile
degli stessi.
Il costo, inoltre, deve essere:
a) certo nell’an, non essendo deducibile alcun costo che sia solo presunto;
b) certo nel quantum, ovvero determinato o determinabile, non essendo deducibile alcun costo
che sia attendibilmente stimato.
Il costo, infine, deve essere imputato al periodo d’imposta corretto, dovendo contrapporsi ai
componenti positivi di reddito imponibili dello stesso periodo, secondo i criteri di imputazione
temporale fissati dal TUIR, i cui principi fondamentali di riferimento sono quelli di cassa e di
competenza.
In conclusione, la verifica della deducibilità dei costi per beni e servizi acquisiti comporta la
necessità di identificare la natura, la qualità e la quantità dei beni e dei servizi oggetto dell’operazione, ma tale identificazione non deve necessariamente derivare dalla lettura della
fattura.