AIDC - Sezione di Milano

Norme di comportamento N.202
Effetti della rimozione dell'inadempimento tributario in ambito penale


Massima

In osservanza del divieto di disparità di trattamento, che è principio immanente dell’ordinamento, la rimozione dell’inadempimento tributario, attuata anche in applicazione degli istituti deflattivi del contenzioso e, segnatamente, del ravvedimento operoso e dell’integrazione delle dichiarazioni fiscali, determina i medesimi effetti, finanche di non punibilità del reato, senza alcuna distinzione in ordine alla tipologia di violazione sanata.

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L’istituto del ravvedimento operoso, disciplinato dall’articolo 13, D.Lgs. n. 472/1997, consente all’autore di omissioni o di irregolarità, commesse nell’applicazione delle disposizioni tributarie, di rimediarvi spontaneamente, fruendo di rilevanti riduzioni delle sanzioni amministrative ordinariamente irrogabili. La relativa disciplina è stata innovata dalla Legge di stabilità 2015 e dall’ultima riforma del sistema sanzionatorio, disposta dal D.Lgs. n. 158/2015, che ne ha implementato la portata. Affinché il ravvedimento operoso esplichi effetti ai fini della regolarizzazione della violazione, tuttavia, è necessario effettuare il versamento delle imposte dovute, unitamente alle sanzioni previste per la specifica violazione e agli interessi legali, ovvero presentare o integrare la dichiarazione fiscale, se l’adempimento è dichiarativo. Anche in ambito dichiarativo, infatti, è prevista l’emendabilità dell’errore, in ragione della natura della dichiara-zione fiscale di manifestazione di scienza e non di volontà negoziale. In tale contesto, invero, gli articoli 2 e 8 D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, rispettivamente ai commi 8 e 6-bis, consentono la correzione degli errori e l'integrazione delle omissioni commesse nella redazione delle dichiarazioni fiscali, mediante la presentazione di una successiva dichiarazione, integrativa dei dati errati o mancanti, che deve essere prodotta, anche in via telematica, utilizzando i modelli approvati per il periodo di imposta cui le integrazioni si riferiscono. Per procedere alla presentazione della dichiarazione integrativa la norma richiede unicamente che la dichiarazione originaria sia stata validamente e tempestivamente presentata. Il contribuente, dunque, ha la facoltà di rimuovere le violazioni commesse, mediante la predisposizione di una dichiarazione integrativa, che deve essere presentata entro limiti temporali normativamente determinati.

Il principale effetto giuridico del ravvedimento consiste nell’inapplicabilità della misura ordinaria delle sanzioni tributarie amministrative relative all'inadempimento regolarizzato. A esso consegue, inoltre, l’inapplicabilità del cumulo giuridico delle singole violazioni, secondo le regole disciplinanti il concorso di violazioni e la continuazione, dettate dall’articolo 12 D.lgs. n. 472/1997, e l’impossibilità che la violazione regolarizzata possa essere assunta quale precedente ai fini della recidiva o presupposto per l'applicazione di sanzioni accessorie. In ambito penale, il D.lgs. n. 158/2015, nel provvedere alla revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione della Legge delega n. 23/2014, ha attribuito una particolare valenza alla regolarizzazione delle violazioni tributarie. Infatti, con il decreto di riforma l’originaria disposizione contenuta nell’articolo 13 D.lgs. n. 74/2000 è stata scissa in due distinti articoli, enucleando le cause di non punibilità nel testo novellato dell’articolo 13 e assegnando le circostanze del reato al nuovo articolo 13 bis. Sono state, così, disciplinate nel primo provvedimento le cause specifiche di non punibilità, conseguenti al  pagamento del debito tributario nelle ipotesi, rispettivamente, di omessi versamenti e di dichiarazione infedele e omessa; mentre nel secondo è stata dettata la regola generale di attenuazione della sanzione penale, fino alla metà, quale effetto dell’adempimento dell’obbligazione tributaria, in tutte le altre ipotesi in cui permanga la responsabilità penale. In particolare, il nuovo testo dell'articolo 13 D.lgs. n. 74/2000, rubricato "Causa di non punibilità. Pagamento del debito tributario", al primo comma, prevede che i reati di omesso versamento di cui agli articoli 10-bis e 10-ter e di indebita compensazione di cui all'articolo 10-quater D.lgs. n. 74/2000 non siano punibili qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprensivi di sanzioni amministrative e interessi, siano estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle procedure conciliative e di adesione all'accertamento, previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.

A norma del secondo comma, poi, i reati di cui agli articoli 4 e 5 dello stesso decreto non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, siano estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. Per effetto delle modifiche apportate all’articolo 13 D.lgs. n. 74/2000, pertanto, il pagamento del debito tributario, finanche avvalendosi del ravvedimento operoso o della presentazione di dichiarazione integrativa, nei termini specificati, integra una causa di non punibilità dei citati reati connessi alle violazioni sanate. La norma contempla, però, come già specificato, unicamente le ipotesi di reato di cui agli articoli 4, 5, 10 bis, 10 ter e 10 quater D.lgs. n. 74/2000, così escludendo le ulteriori fattispecie delittuose e segnatamente quelle delineate dagli articoli 2, 3 e 8 D.lgs. n. 74/2000. Stante la mancata inclusione dei residui reati a base dichiarativa e del reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti nel testo novellato dell’articolo 13 D.lgs. n. 74/2000, essi devono intendersi estromessi dalla causa di esclusione della punibilità conseguente alla rimozione della violazione tributaria mediante gli istituti previsti dall’articolo 13 D.lgs. n. 472/1997. Pur non ignorando la plurioffensività di questi reati, né la funzione non meramente ancillare del diritto penale rispetto al tributario, l’esclusione non sembra giustificabile, nemmeno in ragione della maggiore pericolosità riconosciuta dal legislatore ai reati connotati da condotta fraudolenta, precipuamente ricorrenti in ipotesi di esposizione in dichiarazione di dati fittizi per mezzo dell’uso di fatture per operazioni inesistenti o compiendo operazioni simulate o altri artifici. Difatti, tenendo a mente il momento consumativo di tali reati, che si realizza con la presentazione della dichiarazione fiscale, non può dubitarsi che con il reinoltro delle dichiarazioni, integrative e sostitutive di quelle che esponevano le risultanze dei documenti, anche fittizi, unitamente al ravvedimento del debito d’imposta e al pagamento delle sanzioni correlate, venga completamente rimossa la violazione fiscale e, quindi, estinta l’obbligazione tributaria a monte dell’illecito. La dichiarazione integrativa ai fini fiscali, invero, annulla e sostituisce la dichiarazione originariamente e precedentemente presentata, con l’effetto che il modello acquisito dall’amministrazione finanziaria e definitivamente prodotto è unicamente quello emendato.

Tale rimozione, pertanto, pur lasciando inalterata la condotta oggettiva, merita di essere valorizzata al fine dell’esclusione dell’elemento soggettivo tipico delle fattispecie enunciate, consistente nel dolo specifico di evasione. E invero, l’articolo 2 D.lgs. n. 74/2000 dispone che sia punito chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indichi in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi. Del pari, la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici si configura, ai sensi dell’articolo 3 dello stesso decreto, allorché, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, si indichi in dichiarazione un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e a indurre in errore l'amministrazione finanziaria. A norma dell’articolo 8 D.lgs. n. 74/2000, è poi punito chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Senza poter tracciare, sul piano astratto, un automatismo fra ravvedimento operoso e insussistenza del dolo, di cui le ipotesi ex articoli 2 e 3 D.Lgs. n. 74/2000 richiedono la sussistenza al momento della presentazione della dichiarazione, occorre rilevare che il fatto che il contribuente, successivamente al deposito della dichiarazione, spontaneamente, sia adoperato per rettificare quanto precedentemente indicato costituisce un significativo indice dell’assenza di volontà di frodare il fisco. Circostanza ancora più significativa, sul piano probatorio, laddove il contribuente acceda a una delle forme di ravvedimento previste entro i termini più ravvicinati alla scadenza del termine di versamento. E allora, il venire meno del fine evasivo, in forza del ravvedimento posto in essere dal contribuente, non può che incidere sulla sussistenza del dolo specifico, con ciò determinando la non punibilità del reato, pur in assenza di espressa previsione nell’articolo 13 D.Lgs. n. 74/2000. Del resto, essendo perfettamente possibile ai fini fiscali emendare la dichiarazione in qualsiasi fattispecie, l’unico discrimine ai fini della piena validità e dell’efficacia della dichiarazione integrativa, anche al ricorrere di condotte fraudolente, sarebbe individuabile unicamente nel momento in cui interviene la correzione.

In ipotesi di delitti connessi alla presentazione delle dichiarazioni fiscali, infatti, il secondo comma dell’articolo 13 D.lgs. n. 74/2000 richiede unicamente che i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, siano estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. Al di fuori dei termini ivi indicati, pertanto, per tutte le violazioni non emendate si renderà applicabile la mera attenuante disposta dall’articolo 13-bis, in forza del quale le pene per i delitti sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell'articolo 12, alla sola condizione che i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. E allora, in presenza di dichiarazioni emendate, di integrale versamento delle imposte e, dunque, di estinzione dell’obbligazione tributaria entro i termini di cui all’articolo 13, l’unico elemento ostativo alla non punibilità delle ipotesi di reato resterebbe fondata solo su una mera scelta politico criminale del legislatore della riforma, che avrebbe così riservato l’effetto della non punibilità conseguente al ravvedimento ai reati diversi da quelli di frode, prescindendo dall’integrarsi della resipiscenza nelle altre ipotesi. Tale preclusione sarebbe, però, passibile di censura, poiché integrerebbe un’evidente disparità di trattamento, giacché applicherebbe, ingiustificatamente, misure diseguali a soggetti, che, allo stesso modo, hanno sanato interamente il debito tributario, integrando ed emendando le dichiarazioni infedeli, e, dunque, estinguendo l’obbligazione tributaria. In merito, l’unica obiezione (sollevata da parte della dottrina) potrebbe attenere all’inapplicabilità dell’articolo 13 D.lgs. n. 74/2000 in ipotesi di reato, che non presuppongano un debito d’imposta, come nel caso dell’articolo 8.

Obiezione agevolmente superabile, proprio in ragione della riformulazione del testo dell’articolo 13, con l’aggiunta al termine “tributo” dell’espressione “comprese sanzioni amministrative e interessi”, quale oggetto necessario di pagamento per accedere ai benefici ivi disposti. Difatti, la presentazione di una dichiarazione integrativa, posta in essere per sanare una dichiarazione infedele, comporta in ogni caso il versamento della sanzione autonoma connessa all’obbligo dichiarativo, anche in assenza di debito d’imposta. Se, dunque, è consentito presentare una dichiarazione integrativa in tutte le fattispecie, ottemperando al dettato delle disposizioni fiscali che disciplinano il ravvedimento e l’integrazione delle dichiarazioni, non devono poter sussistere valide ragioni ostative alla non punibilità del reato, a seguito di rimozione della violazione, anche in ipotesi di condotte originariamente fraudolente.