AIDC - Sezione di Milano

Denuncia del 23/02/2016
Illegittimità comunitaria del Regime IVA sull’acquisto di tartufi da raccoglitori non professionali


COMMISSIONE PER L’ESAME DELLA COMPATIBILITA’ DI LEGGI E PRASSI TRIBUTARIE ITALIANE CON IL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA

DENUNCIA  FISCALITA’ INDIRETTA
Illegittimità comunitaria del Regime IVA sull’acquisto di tartufi da raccoglitori non professionali

23 Febbraio 2016
a cura di Benedetto Santacroce - Relatore ed estensore 

Scheda di sintesi

Sommario

  • Norma e prassi nazionali confliggenti
  • La giurisprudenza nazionale sul tema
  • Il prevalente diritto dell’Unione europea
  • La giurisprudenza della Corte di Giustizia UE
  • Inapplicabilità di deroghe alla norma confliggente
  • Conclusioni 

Norma e prassi nazionali confliggenti
L’art. 1, comma 109 della Legge n. 311 del 30.12.2004 (“Finanziaria 2005”), ha istituito un regime speciale IVA sulla vendita di tartufi operata da raccoglitori dilettanti ed occasionali non muniti di partiva IVA a favore di soggetti esercenti attività di impresa. 

A mente della disposizione in questione, in deroga alle ordinarie regole IVA, 

[i] soggetti che nell’esercizio di impresa si rendono acquirenti di tartufi da raccoglitori dilettanti od occasionali non muniti di partita IVA sono tenuti ad emettere autofattura con le modalità e nei termini di cui all’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni. In deroga all’articolo 21, comma 2, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, i soggetti acquirenti di cui al primo periodo omettono l’indicazione nell’autofattura delle generalità del cedente e sono tenuti a versare all’erario, senza diritto di detrazione, gli importi dell’IVA relativi alle autofatture emesse nei termini di legge. La cessione di tartufo non obbliga il cedente raccoglitore dilettante od occasionale non munito di partita IVA ad alcun obbligo contabile. I cessionari sono obbligati a comunicare annualmente alle regioni di appartenenza la quantità del prodotto commercializzato e la provenienza territoriale dello stesso, sulla base delle risultanze contabili. I cessionari sono obbligati a certificare al momento della vendita la provenienza del prodotto, la data di raccolta e quella di commercializzazione. [enfasi aggiunta]

La norma, prima di tutto, pare errata concettualmente, siccome prevede l’applicazione dell’IVA in reverse charge in relazione ad una vendita posta in essere da un individuo (il raccoglitore non professionale) che non è un soggetto passivo IVA. Quindi, tale cessione si porrebbe tout court fuori dal campo di applicazione dell’IVA per via della carenza di soggettività passiva del cedente. Questi, in quanto raccoglitore “dilettante e/o occasionale”, non agisce nell’esercizio di una attività di impresa, arte o professione, laddove, a mente dell’art. 2, paragrafo 1 della direttiva 2006/112/CE (“direttiva IVA”), per regola generale, perché una cessione di beni sia soggetta ad IVA è necessario che sia effettuata “da un soggetto passivo che agisce in quanto tale”. Pertanto, non sorgendo alcun debito IVA in conseguenza della cessione, non è neppure oggettivamente possibile disporre la traslazione del relativo (inesistente) onere impositivo in capo al cessionario secondo il meccanismo del reverse charge che per operare richiede, anzitutto, che una operazione si ponga in campo IVA. Non può infatti sfuggire che, essendo il reverse charge un mero meccanismo di traslazione del debito IVA, mancando “a monte” tale debito, il cessionario non può rendersi debitore di alcunché. In altre parole, in carenza del presupposto soggettivo necessario all’applicazione dell’IVA non è sistematicamente accettabile disporre la traslazione di un debito IVA fittizio in capo al cessionario.

Tuttavia, non è questo il profilo di incompatibilità della normativa de qua che si vuole qui evidenziare. Il motivo della doglianza di seguito esposta attiene il fatto che il regime IVA sui tartufi introdotto dalla Finanziaria 2005 comporta che il cessionario soggetto passivo IVA, mediante l’emissione di una autofattura, si renda debitore dell’imposta (in luogo del cedente non soggetto passivo) senza possibilità di portare in detrazione l’IVA a credito. Il cessionario, pertanto, rimane inciso dell’IVA “a monte” autoliquidata. L’IVA, così, assume l’impropria natura di un costo la cui entità si ripercuote su tutta la catena del valore alterando il prezzo di mercato del prodotto. È l’indetraibilità, dunque, il profilo di incompatibilità che si intende stigmatizzare e porre alla base dell’analisi che segue.

A ciò si aggiunga che al cessionario è preclusa la possibilità di rivendere il prodotto (tartufo) in regime di esenzione dall’IVA “a valle”, ai sensi dell’art. 10, n. 27-quinquies) del DPR 633/72. Tale inibizione è stata messa in chiaro dall’Amministrazione finanziaria nella circolare 26.9.2005, n. 41/E in cui, richiamati i principi affermati nella circolare 24.12.1997, n. 328/E, paragrafo 1.1.2, si dice che l’art. 10, n. 27-quinquies), “prevede l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto per ‘le cessioni che hanno per oggetto beni acquistati o importati senza il diritto alla detrazione totale della relativa imposta ai sensi degli articoli 19, 19-bis1 e 19 bis2’, vale a dire con esclusivo riferimento ad operazioni in cui l’impossibilità di detrarre l’IVA è fisiologica, in quanto dipendente dall’applicazione delle regole strutturali che disciplinano l’istituto della detrazione”. Nel caso del regime dei tartufi, invece, “il legislatore ha voluto stabilire una ‘indetraibilità oggettiva’, senza collocarla nelle ipotesi strutturali di cui al citato articolo 19-bis1”. Peraltro, continua l’Amministrazione finanziaria, “a voler ritenere applicabile l’articolo 10, n. 27-quinquies), l’imprenditore sarebbe sottoposto ad un doppio regime IVA, con applicazione, nel caso di successiva cessione del bene, dell’esenzione, per i tartufi acquistati da raccoglitori dilettanti od occasionali, e del regime di imponibilità, per gli acquisti da imprenditori, con una disparità di trattamento delle operazioni di cessione”.

Al di là della scarsa chiarezza delle motivazioni addotte dall’Amministrazione circa l’impossibilità di fatturare in esenzione le cessioni di tartufi acquistati senza detrazione dell’IVA, il quadro normativo-regolamentare scaturente dalla disciplina speciale dettata dalla Finanziaria 2005 e dalla relativa prassi amministrativa si palesa in violazione del principio di neutralità dell’IVA. 

La giurisprudenza nazionale sul tema
Non si segnala alcuna pronuncia giurisprudenziale significativa in materia. 

Il prevalente diritto dell’Unione europea
L’art. 1, paragrafo 2 della direttiva IVA prevede che, 

[i]l principio del sistema comune d’IVA consiste nell’applicare ai beni ed ai servizi un’imposta generale sui consumi esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero delle operazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase d’imposizione. A ciascuna operazione, l’IVA, calcolata sul prezzo del bene o del servizio all’aliquota applicabile al bene o servizio in questione, è esigibile previa detrazione dell’ammontare dell’imposta che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo. Il sistema comune d’IVA è applicato fino allo stadio del commercio al minuto incluso. [enfasi aggiunta]

In tema di detrazione, l’art. 168 della direttiva IVA conferisce a tale istituto la natura di diritto spettante al soggetto passivo che pone in essere operazioni imponibili “a valle”. A mente di questo articolo,  

[n]ella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo ha il diritto, nello Stato membro in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore gli importi seguenti: a) l’IVA dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno resi da un altro soggetto passivo […] [enfasi aggiunta]

In linea di principio, il diritto a detrazione non può essere sottoposto ad alcuna limitazione, tranne che nei casi eccezionali di cui agli artt. 176 e 177 della direttiva IVA, in cui il regime in analisi non è riconducibile. D’altra parte, gli Stati membri possono adottare misure straordinarie volte a prevenire casi di frode ma solo previa formale autorizzazione comunitaria. L’art. 395 della direttiva IVA stabilisce che 

[il] Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, può autorizzare ogni Stato membro ad introdurre misure speciali di deroga alla presente direttiva, allo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare talune evasioni o elusioni fiscali.

Ne deriva che, nel caso in esame, il regime speciale IVA per i tartufi introdotto dalla Finanziaria 2005 (e la relativa prassi amministrativa) è in contrasto con la normativa IVA comunitaria perché (i) nega immotivatamente al cessionario il diritto alla detrazione dell’IVA; (ii) duplica l’imposizione, non consentendo a quest’ultimo di rendere esenti le cessioni “a valle” con IVA non detratta, ex art. 10, comma 27-quinquies del DPR 633/72; (iii) non è stato autorizzato dal Consiglio UE quale misura in deroga. 

Per tutti questi motivi, il regime IVA de quo viola il principio di neutralità dell’IVA ed è stato illegittimamente introdotto e mantenuto in vigore dal legislatore nazionale. 

La giurisprudenza della Corte di Giustizia UE
L’orientamento della Corte di giustizia è in contrasto con la descritta impostazione normativa e la relativa prassi applicativa dell’Amministrazione finanziaria. 

Per consolidato orientamento della Corte di Giustizia 

[i]l diritto alla detrazione previsto agli artt. 17 e seguenti della sesta direttiva costituisce parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni. Il detto diritto va esercitato immediatamente per tutte le imposte che hanno gravato sulle operazioni effettuate a monte. Qualsiasi limitazione del diritto alla detrazione incide sul livello dell’imposizione fiscale e deve applicarsi in modo analogo in tutti gli Stati membri. Conseguentemente, sono consentite deroghe nei soli casi espressamente contemplati dalla direttiva. [cfr., ex multis, sentenza 19 settembre 2000, cause riunite C-177/99 e C-181/99, Ampafrance e a. – enfasi aggiunta]

In questo contesto, il sistema della rivalsa e detrazione assume un ruolo centrale al fine di assicurare la neutralità dell’IVA, infatti,

il sistema delle detrazioni mira a sgravare interamente l’imprenditore dall’onere dell’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell’IVA garantisce, in tal modo, la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle suddette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’IVA. [v., in particolare, sentenze 29 aprile 2004, causa C-137/02, Faxworld; 29 ottobre 2009, causa C?29/08, SKF, punto 56; 29 luglio 2010, causa C-188/09, Profaktor, punto 19 – enfasi aggiunta]

A fronte di ciò, la Corte riconosce agli SM la facoltà di adottare misure volte a contrastare fenomeni fraudolenti, siccome “la lotta contro ogni possibile frode, evasione ed abuso è un obiettivo riconosciuto e promosso dalla sesta direttiva IVA” (v. sentenze 29 aprile 2004, cause riunite C-487/01 e C-7/02, Gemeente Leusden e Holin Groep, , punto 76; 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax e a., punto 71; 17 luglio 2008, causa C-132/06, Commissione/Italia, punto 46; 29 luglio 2010, causa C-188/09, Profaktor, punto 25). Tuttavia, in forza del principio di proporzionalità, frutto di una consolidata giurisprudenza, 

[i] provvedimenti che gli Stati membri possono adottare non devono […] eccedere quanto è necessario per conseguire gli obiettivi diretti ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare le frodi. Simili misure non possono quindi essere utilizzate in modo tale da rimettere in discussione la neutralità dell’IVA, che costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA. [v., in tal senso, segnatamente, sentenze 18 dicembre 1997, cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95 e C-47/96, Molenheide e a., punto 47; 21 aprile 2005, causa C-25/03, HE, punto 80; 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07, Ecotrade, punto 66; 29 luglio 2010, causa C-188/09, Profaktor, punto 26 – enfasi aggiunta]

Ne consegue che l’indetraibilità dell’IVA gravante sui tartufi acquistati da un soggetto passivo presso un raccoglitore non professionale, prevista dalla Finanziaria 2005, è una misura non compatibile con la normativa comunitaria così come interpretata dalla Corte di Giustizia, siccome (i) viola la neutralità dell’IVA; (ii) non è conforme rispetto al principio di proporzionalità; (iii) non è stata autorizzata dal Consiglio UE. 

Inapplicabilità di deroghe alla norma confliggente

Le disposizioni riguardanti il regime speciale IVA sui tartufi introdotto dalla Finanziaria 2005, come si è detto più sopra, non risultano oggetto di deroghe di cui al regime di preventiva autorizzazione disciplinato dall’art. 395 della dir. 2006/112/CE.

6. Conclusioni 
In relazione all’argomento in trattazione, si rilevano seri motivi di contrasto della normativa e prassi nazionale sia con le regole IVA comunitarie che con la relativa giurisprudenza della Corte UE. 

In sintesi, come si è testé argomentato, il regime IVA sui tartufi presenta profili di incompatibilità comunitaria almeno sotto due aspetti, siccome esso (i) viola la neutralità dell’IVA, lasciando inciso dall’imposta il cessionario soggetto passivo; (ii) è stato adottato senza preventiva autorizzazione del Consiglio. Pertanto, sussistono fondate ragioni per adire la Commissione UE perché valuti l’opportunità di procedere all’emissione di una lettera di costituzione in mora nei confronti dell’Italia.  

Infine, anche se nella presente denuncia non viene considerata quale elemento di incompatibilità prevalente, il legislatore nazionale con la norma in esame ha abusivamente introdotto un caso speciale di reverse charge, senza diritto di detrazione in relazione a una operazione posta in essere da un “raccoglitore occasionale” e quindi da un non soggetto d’imposta che, in quanto tale fa sì che l’operazione stessa sia da considerarsi non rilevante ai fini Iva. Questa situazione rende impossibile nel sistema UE di sottoporre e “reverse charge” da parte del cessionario una cessione di beni non rilevante Iva. 

La scrivente Commissione di Studio auspica che codesta Commissione Europea, nell’ambito dei suoi compiti di vigilanza e di tutela del diritto comunitario, possa presto intraprendere un’adeguata azione nei confronti dello Stato italiano ai fini di un sollecito superamento del segnalato conflitto normativo.

 

Lodovico Gaslini     Alessandro Savorana
Presidente AIDC – Sezione di Milano
Presidente  Commissione  per  l’esame della  compatibilità con il diritto dell’Unione Europea

Allegato 1
Art. 1 comma 109 L 311/2004:
I soggetti che nell'esercizio di impresa si rendono acquirenti di tartufi da raccoglitori dilettanti od occasionali non muniti di partita IVA sono tenuti ad emettere autofattura con le modalita' e nei termini di cui all'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.633, e successive modificazioni. In deroga all'articolo 21, comma 2, lettera c) del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.633, , e successive modificazioni, i soggetti acquirenti di cui al primo periodo omettono l'indicazione nell'autofattura delle generalita' del cedente e sono tenuti a versare all'erario, senza diritto di detrazione, gli importi dell'IVA relativi alle autofatture emesse nei termini di legge. La cessione di tartufo non obbliga il cedente raccoglitore dilettante od occasionale non munito di partita IVA ad alcun obbligo contabile. I cessionari sono obbligati a comunicare annualmente alle regioni di appartenenza la quantita' del prodotto commercializzato e la provenienza territoriale dello stesso, sulla base delle risultanze contabili. I cessionari sono obbligati a certificare al momento della vendita la provenienza del prodotto, la data di raccolta e quella di commercializzazione”. 

Allegato 2
circolare 26.9.2005, n. 41/E dell’Agenzia delle Entrate – stralcio

Premessa
La presente   circolare  illustra  le principali  modifiche  apportate dalla legge 30 dicembre 2004 n 311 (in  avanti  finanziaria 2005) alla disciplina dell'imposta sul valore aggiunto.
Le nuove disposizioni concernono le seguenti tematiche:
disciplina Iva per i raccoglitori occasionali di tartufi;
omissis

 

1. Disciplina Iva raccoglitori occasionali di tartuf
Ai sensi   dell'articolo   1,  comma  109,  della  finanziaria  2005  i soggetti che,  nell'esercizio  di  impresa, acquistano tartufi da raccoglitori dilettanti ed  occasionali  non  muniti di partita Iva sono tenuti ad emettere autofattura nei  termini  e con le modalità  di cui all'articolo 21 del D.P.R. del 26 ottobre 1972 n. 633.
In  deroga  alle  disposizioni  del  predetto articolo 21,  non  devono  essere indicate nel documento emesso le generalità del cedente.
I soggetti  obbligati  ad  emettere l'autofattura sono tenuti a versare all'erario, senza  diritto  di  detrazione,  l'Iva  relativa  alle  operazioni autofatturate.
Da parte  sua,  il raccoglitore dilettante od occasionale non munito di partita Iva  che  ceda  i  tartufi non  è tenuto ad assolvere alcun obbligo ai fini dell'Iva.  Il  medesimo  raccoglitore  dovrà,  tuttavia,  indicare nella propria dichiarazione  dei  redditi, ai fini della determinazione del relativa reddito commerciale,  l'ammontare  dei  corrispettivi  percepiti e delle spese inerenti all'attività  occasionalmente  esercitata,  ai  sensi  dell'articolo 67, lettera i), del TUIR.

La non  detraibilità  dell'Iva esposta nelle autofatture non consente, in relazione  alla  successiva  cessione del prodotto, di avvalersi del regime di esenzione  di  cui  all'articolo 10,n. 27 –quinquies) del D.P.R. n 633 del 1972.

Come chiarito   con  circolare  n.  328  del  24  dicembre  1997  (cap. 1.1.2.), infatti,   il   citato   articolo   10,   n.   27-quinquies)  prevede l'esenzione dall'imposta  sul  valore  aggiunto per "le cessioni che hanno per oggetto beni  acquistati  o  importati senza il diritto alla detrazione totale della relativa  imposta  ai  sensi degli articoli 19, 19-bis1 e 19 bis2", vale a dire  con  esclusivo  riferimento  ad  operazioni in cui l'impossibilità di detrarre l'Iva  è  fisiologica,  in quanto dipendente dall'applicazione delle regole strutturali che disciplinano l'istituto della detrazione.

Nel caso  in  esame,  invece,  il  legislatore  ha voluto stabilire una "indetraibilità oggettiva",  senza  collocarla  nelle  ipotesi strutturali di cui al  citato  articolo  19-bis1.  Peraltro,  a  voler  ritenere  applicabile l'articolo 10,  n.  27-quinquies),  l'imprenditore  sarebbe  sottoposto  ad un doppio regime  Iva,  con  applicazione,  nel  caso  di successiva cessione del bene, dell'esenzione,  per  i tartufi acquistati da raccoglitori dilettanti od occasionali, e   del   regime   di   imponibilità,   per   gli   acquisti  da imprenditori, con  una  disparità di trattamento delle operazioni di cessione relative al  medesimo  bene  che  non  troverebbe giustificazione nella logica strutturale del tributo.

Si richiama   l'attenzione   sull'ulteriore   obbligo,  di  natura  non fiscale, cui  sono  tenuti  coloro  che commercializzano i tartufi, diretto al controllo della  provenienza  territoriale  degli stessi, a fini di tutela del prodotto nazionale.  Il  comma  109,  del  citato articolo 1 della finanziaria 2005, impone   ai   cessionari  di  comunicare  annualmente  alle  regioni  di appartenenza la  quantità  del  prodotto  acquistato  e  la  sua  provenienza territoriale. Al  momento  della  vendita,  inoltre,  gli stessi soggetti sono tenuti a  certificare  la  provenienza  del  prodotto,  la  data di raccolta e quella di acquisto.