AIDC - Sezione di Milano

Norme di comportamento N.198
Attribuzione ai soci del maggior reddito accertato in capo a società di capitali con ristretta compagine sociale


La presunzione secondo la quale nel caso di ristretta compagine sociale i maggiori redditi imponibili
definitivamente accertati in capo ad una società di capitali si presumono attribuiti pro quota ai suoi
soci può trovare applicazione solo qualora il maggior reddito imponibile accertato in capo alla società
implichi una comprovata esistenza di corrispondenti disponibilità finanziarie occulte.

Nell’ordinamento vigente, mentre il reddito delle società di persone è attribuito per trasparenza ai
loro soci in capo ai quali è assoggettato ad IRPEF, il reddito delle società di capitali è assoggettato ad
IRES in via autonoma e definitiva solo in capo alle stesse, mentre è soggetto ad ulteriore imposizione
IRPEF in capo ai soci il solo utile effettivamente distribuito agli stessi.

Esempi di casi in cui la presunzione in commento non può trovare applicazione sono gli accertamenti
di maggior reddito imponibile che trovano origine in
- costi effettivamente sostenuti ma ritenuti in tutto o in parte indeducibili,
- accantonamenti o ammortamenti recuperati a tassazione,
- rettifiche dei criteri di valutazione adottati dalla società,
- “spostamenti” di proventi od oneri da un esercizio ad un altro in violazione del principio di
competenza,
- applicazione delle regole in tema di transfer pricing,
- applicazione delle regole in tema di acquisti da società residenti in paesi a fiscalità privilegiata,
- applicazione delle regole in materia di Controlled Foreign Companies (CFC Rules),
- applicazione di strumenti, indirettamente sanzionatori o di tipo “statistico”, quali la disciplina
delle cosiddette società di comodo e gli studi di settore.

In assenza di una sua distribuzione (palese o occulta) non può quindi mai esservi imposizione in capo
ai soci dell’utile realizzato da una società di capitali.
Secondo un ripetuto orientamento della Corte di Cassazione (dal quale peraltro si sono discostati
taluni giudici di merito)“ in tema di accertamento delle imposte sui redditi, è legittima la presunzione di attribuzione pro quota ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria”.

Trattasi di una presunzione semplice ex art. 2729 c.c., di fonte giurisprudenziale, che, trovando
fondamento nella ristretta base azionaria e quindi nella “complicità che normalmente lega un gruppo
ristretto di soci”, viene ritenuta dalla Suprema Corte ragionevole e sufficientemente grave da
fondare di per se, ex art. 39 del DPR 600/73, l’accertamento in capo al socio del maggior reddito della
società che si presume da lui percepito in proporzione alla sua partecipazione, salva “la facoltà del
contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti” ovvero che sono stati percepiti da altri.
I pronunciamenti della Corte di Cassazione sopra richiamati trovano tutti fondamento nella
presunzione di “distribuzione” ai soci dei maggiori redditi accertati in capo alla società, per cui l’unica
prova contraria che viene offerta al contribuente è quella di dimostrare di non avere
finanziariamente “percepito” tali redditi.
Ne consegue quanto segue.
Tale presunzione, in ogni caso, può trovare applicazione solo e nei limiti in cui il maggior reddito
accertato in capo alla società discenda da fattispecie che implicano una comprovata formazione di
risorse finanziarie occulte, quindi da ricavi non dichiarati o da costi fittiziamente sostenuti
(oggettivamente inesistenti).
Viceversa, la stessa non può trovare applicazione nei casi in cui il maggior reddito imponibile
accertato nei confronti della società non sia chiaramente rappresentativo di una disponibilità
finanziaria occulta che possa essere stata distribuita ai soci; in tali casi, infatti, manca del tutto il
presupposto di imponibilità dei dividendi in capo ai soci ex art. 47 TUIR, rappresentato dalla
percezione degli stessi.

Si osserva, in particolare, che se in tali casi, nei quali in capo alla società non si è formata alcuna
disponibilità finanziaria occulta e quindi alcunché poteva essere distribuito ai soci, fosse ritenuta
applicabile la presunzione in oggetto, per il socio sarebbe a priori impossibile fornire quell’unica
prova contraria ammessa dalla Suprema Corte che è rappresentata dalla dimostrazione di non avere
percepito tali maggiori redditi.


Si osserva, infine, che in ogni caso la presunzione di distribuzione ai soci del maggior reddito
accertato in capo a società di capitali non può portare ad una illegittima duplicazione di imposizione
(in senso economico) in capo a soggetti diversi dello stesso reddito lordo. Il maggior reddito accertato
in capo alla società, infatti, non può essere considerato per intero distribuito ai soci e nuovamente
assoggettato a imposizione in capo agli stessi nel suo intero ammontare, in quanto già gravato da
imposizione in capo alla società per effetto dell’accertamento. Da un punto di vista economico,
infatti, il maggior reddito che può essere considerato definitivamente distribuito ai soci è pari solo al
maggior reddito accertato in capo alla società al netto delle imposte che su tale reddito, per effetto
dell’accertamento, la stessa è chiamata a corrispondere.