AIDC - Sezione di Milano

Norme di comportamento N.205
DETRAIBILITÀ DELL'IVA ASSOLTA SULLE SPESE SOSTENUTE PER SERVIZI INFRAGRUPPO RESI DA SOGGETTI ESTERI


Massima 

L’Iva assolta dal soggetto passivo residente mediante l’inversione contabile applicata alle fatture relative a spese per servizi infragruppo resi da soggetti esteri deve essere riconosciuta come detraibile anche qualora siano contestati l’incongruenza della spesa o il comportamento antieconomico dell’impresa residente. Ai fini della detraibilità dell’Iva, l’impresa residente è tenuta solamente a dimostrare l’esistenza e la natura dei servizi acquistati, a fornire i relativi riscontri “giustificativi” e a provare che le relative spese presentano un nesso con le operazioni economiche compiute che danno diritto alla detrazione. 

Nei gruppi societari multinazionali viene spesso creato un “centro di servizio” – sovente, ma non necessariamente, localizzato presso la controllante - per la prestazione di servizi di varia natura a favore delle imprese appartenenti allo stesso gruppo. L’obiettivo economico-aziendale perseguito è quello di ottimizzare la gestione, evitando la duplicazione di alcune funzioni o garantendo il coordinamento di altre. I contratti che regolamentano queste prestazioni di servizi infragruppo nella prassi sono spesso indicati con il termine di “group service agreement” o “cost sharing agreement” e le spese sono spesso indicate con il termine di “management fees”. Ai fini delle imposte sul reddito, trattandosi di operazioni infragruppo, trova applicazione la disciplina vigente in materia di “prezzi di trasferimento” (art. 110, co. 7, del Tuir come integrato dal recente DM 14 maggio 2018). Tuttavia, si osserva frequentemente che in occasione di verifiche fiscali in società appartenenti a gruppi multinazionali venga contestata, dapprima ai fini delle imposte sul reddito e poi, de plano, anche ai fini Iva, la carenza del presupposto della “inerenza” dei costi sostenuti dall’impresa residente in relazione alla esecuzione di tali contratti. Il rilievo eccepito in queste circostanze non fa normalmente riferimento alla disciplina dei prezzi di trasferimento, bensì al più generale requisito della “inerenza” della spesa; viene cioè contestato alla società di non aver provato in modo adeguato l’”inerenza” di dette spese rispetto all’attività dell’impresa (tanto che la contestazione eccepita richiama normalmente l’art. 109, co. 5, del Tuir, e l’art. 19, co. 1, del Dpr 633/1972, quest’ultimo per l’imposta assolta e detratta mediante inversione contabile ai sensi dell’art. 17 del Dpr 633/1972). 

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Vertendo, tali contestazioni, sulla determinazione della corretta misura dei prezzi praticati nelle transazioni infragruppo, l’Amministrazione Finanziaria dovrebbe invece fare riferimento alla disciplina sui prezzi di trasferimento prevista dall’articolo 110, co. 7, del Tuir, così come integrata sul piano regolamentare dalle disposizioni applicative previste dal D.M. 14 maggio 2018, tenendo altresì in debita considerazione la prassi internazionale in materia (le “Linee Guida dell’OCSE sui Prezzi di Trasferimento per le Imprese Multinazionali e le Amministrazioni Fiscali”), così da garantire al contribuente, in ipotesi di contestazione, per esempio:

  1. la non irrogazione delle sanzioni previste per l’infedele dichiarazione (c.d. “penalty protection”), così come disposta dall’art. 1, co. 6, del D.Lgs. 471/1997, ove fosse stata predisposta la documentazione idonea di cui al Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate prot. n. 2010/137654 del 29 settembre 2010, nonché fornita adeguata informativa dei rapporti infragruppo nelle dichiarazioni dei redditi dei periodi d’imposta in contestazione;
  2. il diritto di far ricorso alle disposizioni delle procedure amichevoli convenzionali, ovvero della cd. “Convenzione arbitrale” (Convenzione n. 90/436/CEE del 23 luglio 1990, recepita e ratificata nell’ordinamento nazionale con la Legge 99/1993), al fine di evitare la doppia imposizione che scaturirebbe da simili contestazioni;
  3. le garanzie di carattere procedurale di cui al D.M. 14 maggio 2018. 

La definizione del requisito della “inerenza” nelle imposte sul reddito 

Sulla scorta della recente evoluzione giurisprudenziale in tema di nozione del “principio di inerenza”1, in primis, nella disciplina delle imposte sul reddito, si osserva quanto segue: 

  • pur essendo onere del contribuente provare l’inerenza del costo, il principio di inerenza “(...) si ricava dalla nozione di reddito d’impresa ed esprime una correlazione tra costi ed attività d’impresa in concreto esercitata, traducendosi in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo”;
  • in particolare, l’inerenza del costo non è disciplinata dall’art. 109, co. 5, del Tuir (il quale regola la diversa correlazione fra costi deducibili e ricavi tassabili, così da escludere la deducibilità per quei costi che sono correlati a ricavi esenti), bensì é immanente nella stessa nozione di reddito d’impresa;
  • quando l’Amministrazione Finanziaria intende negare l’inerenza del costo perché asserisce che gli elementi addotti dall’impresa a supporto sono assenti o comunque insufficienti o inadeguati, essa è libera di contestare l’incongruità o l’antieconomicità della spesa; tuttavia, in tali circostanze, l’asserita incongruità o antieconomicità della spesa assume rilievo solamente come un possibile elemento sintomatico di un’eventuale non inerenza della spesa stessa. Diversamente, né l’incongruità e né l’antieconomicità possono identificarsi con la stessa nozione di (non) inerenza del costo. Perciò, in queste circostanze, l’onere del contribuente consisterà esclusivamente nel provare “l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi”, ovvero che l’operazione da cui deriva il costo è un atto di impresa in quanto correlato allo svolgimento dell’attività e rispondente a scelte imprenditoriali. 
  • I requisiti della detrazione dell’Iva assolta sugli acquisti di servizi di infragruppo 

L’Iva relativa alle spese sostenute per l’acquisto dei servizi in oggetto, resi da società non residenti, viene assolta dal soggetto passivo residente mediante il meccanismo della inversione contabile (art. 17, co. 3, Dpr 633/1972), così che il soggetto residente rileva specularmente all’imposta a debito la corrispondente imposta detraibile ai sensi degli artt. 19 e ss. del Dpr 633/1972. Di norma, trattandosi di reverse charge 

1 Cassazione n. 450/2018, 3170/2018, 13882/2018 e 18904/2018. 

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e salvo il caso in cui l’impresa residente abbia un “pro rata” od un “pro quota” di detraibilità, l’IVA dovuta e quella detraibile coincidono2. Costituisce principio generale in materia di Iva quello per cui l’imposta assolta sugli acquisti è detraibile3 a norma: 

  • dell’art. 19, co. 1, del Dpr 633/1972, quando essa è addebitata al soggetto passivo “in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione”(c.d. “inerenza esterna dell’Iva”)4;
  • dell’art. 19, co. 2, del Dpr 633/1972, quando non riguarda l’acquisto o l’importazione di beni e servizi “afferenti operazioni esenti o comunque non soggette all’imposta (...)” (c.d. “afferenza” o “inerenza interna dell’Iva”).

Nel caso di specie, la “afferenza” dell’imposta assolta rispetto alle operazioni effettuate o che saranno effettuate dall’impresa non è posta in discussione, anche in considerazione del fatto che non è richiesta a tal fine una corrispondenza diretta e stretta delle spese con i ricavi dell’impresa. Per quanto concerne, invece, il requisito della “inerenza esterna”, occorre muovere il ragionamento a partire dalle argomentazioni sopra esposte che afferiscono, in prima battuta, al comparto delle imposte sul reddito, ma che trovano riflesso anche nei precetti della Direttiva 2006/112/CE; infatti, l’eccepita carenza di inerenza delle spese di cui si tratta – come si è esposto nel precedente inquadramento della fattispecie – ha sempre origine dal comparto delle imposte sul reddito e viene de plano traslata in fase accertativa sul piano dell’Iva, mediante l’eccezione del presunto difetto di carenza di elementi a supporto della detrazione dell’imposta assolta sulle fatture mediante il sistema dell’inversione contabile. Ebbene: - l’orientamento giurisprudenziale della Cassazione riconosce che ai fini Iva l’inerenza del costo non può essere negata in base ad un giudizio di congruità della spesa, a meno che sia dimostrata dall’Amministrazione Finanziaria la “macroscopica antieconomicità”; la semplice presunta eccessiva onerosità della spesa si esprime perciò solo come un elemento meramente indiziario dell’assenza di connessione fra la spesa e l’attività dell’impresa; - ai fini Iva, salvo il caso della macroscopica sproporzione di cui si è detto, non ha rilievo la mera incongruenza del costo del servizio ricevuto, in quanto, come riconosce anche la giurisprudenza di Cassazione5, la circostanza che un’operazione sia compiuta “ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato deve ritenersi irrilevante”; - in materia di Iva, l’onere probatorio dell’Amministrazione Finanziaria può perciò dirsi “aggravato”6, in quanto non assume rilievo, al di fuori delle situazioni anzidette, la sola incongruenza del costo o la sproporzione del valore del servizio prestato. Con riguardo alla dimensione “macroscopica” che dovrebbe contraddistinguere l’antieconomicità o l’incongruità della spesa per poterla rendere non inerente rispetto all’attività dell’impresa, non è dato poter individuare criteri quantitativi puntuali per una sua obiettiva misurazione, tanto in termini relativi quanto assoluti; a nostro avviso, il riferimento deve allora essere compiuto al connotato di “irragionevolezza” della spesa sostenuta, che avvenga in un contesto in cui la sua stessa dimensione rende plausibilmente esistente un fumus frodatorio sul comportamento del soggetto passivo. 

2 V. Corte di Giustizia Europea, cause C-95/07 e C-96/07 (Ecotrade).
3 Si vedano le Conclusioni dell’Avv. Generale 6 aprile 2017 nella causa C-132/16, Iberdrola, punto 30: “Nell’ambito della normativa in materia di IVA, la detrazione assolve, inoltre, una funzione diversa da quella della deduzione delle spese d’esercizio nella normativa in materia di imposte sul reddito. Nel quadro di un’applicazione dell’imposta in ciascuna delle fasi della commercializzazione, il meccanismo della detrazione consente di evitare una tassazione ripetuta (cumulo delle imposte). La detrazione garantisce che l’IVA gravi unicamente sul consumatore finale (...) e che il soggetto passivo (l’imprenditore) non ne sopporti l’onere (principio di neutralità). In tale contesto, il soggetto passivo agisce a ogni livello soltanto quale collettore d’imposta per conto dello Stato (...)”.
4 La Risoluzione n. 244/E del 23 luglio 2002 fa riferimento alla esistenza di uno “stretto rapporto di strumentalità” tra l’attività svolta e l’utilizzo del bene o del servizio.
5 Cassazione n. 2240/2018, che richiama Corte UE causa C-412/03.
6 Cassazione n. 18904/2018, cit.. 

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La giurisprudenza unionale in materia di detraibilità dell’IVA7 assolta sui costi generali ha sottolineato la necessità, ma anche la sufficienza, del collegamento economico fra prestazioni a monte ed a valle, quale evidenza del fatto che il costo delle prestazioni a monte sia incorporato nel prezzo dei beni o dei servizi forniti – a valle - dal soggetto passivo; in altri termini, è unicamente richiesto che le spese di cui si tratta facciano parte degli elementi costitutivi del prezzo per la totalità dei prodotti o dei servizi del soggetto passivo, ove non ricorra il caso – naturalmente – di un nesso diretto ed immediato con operazioni a valle che non diano diritto alla detrazione (ad es.: operazioni attive esenti). Perciò, anche laddove la contestazione sul fronte delle imposte sul reddito – che, come detto, è sovente il punto di ingresso della contestazione ai fini Iva - si evolvesse dal mero e generico presunto difetto di “inerenza” (non più perseguibile sic et simpliciter per le ragioni anzidette) verso argomentazioni accertative facenti riferimento alla eccepita incongruenza della spesa, oppure al comportamento antieconomico tenuto dal soggetto passivo, in quanto: 

  • trattasi di fattori solamente sintomatici di una presunta carenza di inerenza della spesa; 
  • ove non fosse provata dall’Amministrazione Finanziaria una palese macroscopica sproporzione del costo sostenuto per i servizi infragruppo rispetto all’attività dell’impresa, una sproporzione tale che fosse perciò sintomatica dell’estraneità della spesa rispetto all’attività stessa; oppure
  • non fosse eccepita una circostanza di abuso del diritto;

l’Iva assolta dal soggetto passivo residente mediante l’inversione contabile applicata alle fatture relative a dette spese, dovrebbe essere comunque riconosciuta come detraibile. Tale conclusione, ai fini Iva, rimane vera a prescindere da quale sia la norma la cui violazione viene eccepita dall’Amministrazione Finanziaria ai fini della contestazione nel comparto delle imposte sul reddito – ovvero, art. 109, co. 5, oppure art. 110, co. 7, del Tuir – ed anche dai contenuti e dagli esiti, sempre ai fini delle imposte sul reddito, dell’eventuale avviso di accertamento; quindi, quand’anche questo fosse definito mediante il ricorso a istituti deflativi del contenzioso tributario (ad es.: accertamento con adesione). Tale conclusione appare altresì avvalorata dalla disposizione contenuta nell’art. 6, co. 9-bis3, del D.Lgs. 471/1997, ai sensi della quale, in caso di imposta assolta mediante l’inversione contabile, anche in presenza di “operazioni inesistenti”, e fatta salva l’applicazione della sanzione amministrativa ivi prevista, “in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto, nelle liquidazioni dell’imposta, che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette (...)”. Parrebbe perciò davvero irrazionale se il sistema consentisse in caso di reverse charge l’azzeramento dell’effetto Iva dell’operazione, ove questa fosse eccepita come “inesistente”, ed invece negasse la stessa soluzione di “neutralità” Iva, qualora l’eccezione fosse invece riferita solo ad una presunta, e sovente parziale, non inerenza della spesa.